L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Sara Garino: "Il Cinque Maggio"

La dimensione storica e letteraria di una giornata che ha cambiato le sorti d'Europa

Nell’ambito della celebre Lettera sul Romaticismo indirizzata al Marchese Cesare D’Azeglio, il sommo Alessandro Manzoni sottolinea come, tanto la Poesia e la Letteratura quanto la Politica, debbano sostanzialmente essere improntate ad avere “l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”.

All’uopo, essendo l’Arte delle Lettere viatico e strumento con cui l’Uomo, in ogni epoca, “ai posteri narrar se stesso imprese”, s’addensa allora d’ulteriore significato un altro miliare passaggio manzoniano. Infatti, “cos’è la storia senza la politica? Una guida che cammina, cammina, con nessuno dietro che impari la strada, e per conseguenza butta via i suoi passi; come la politica senza la storia è uno che cammina senza guida”…

Quale e quanta trepida e vindice corruscazione dovrebbe allor infondere un tal pensiero nei nostri stanchi e imbelli animi assopiti, quasi proni di fronte all’accettazione di una realtà politica la quale, sempre più, disimbandisce il già misero “desco poveretto” dell’Italia, offrendo all’Europa e al Mondo il tristo siparietto del “tanto strazio” in cui “cadde lo spirto anelo” italico!

Dove albergano – se ancor albergano – l’orgogliosa consapevolezza della Storia, con i suoi corsi e ricorsi, nonché la volontà di sciogliere all’urna, con protagonismi concreti ed efficaci, un quotidiano “cantico” d’opere e d’azioni “che forse non morrà”?

Quando ci rifiuteremo, finalmente, di restare con “le braccia al sen conserte”, immersi nel nostalgico ricordo “dei dì che furono”, di fronte “al tacito morir d’un (altro) giorno inerte”?

I Lettori avranno riconosciuto, negli ultimi virgolettati, alcuni versi mutuati dall’accorata e commossa ode Il Cinque Maggio.

La lirica viene composta dal Manzoni per commemorare il 5 Maggio 1821, giorno della dipartita di Napoleone Bonaparte, quando – di fronte “al subito sparir di tanto raggio” – “così percossa, attonita la terra al nunzio sta”. Similmente a come, “dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro”.

Nondimeno, sarebbe improprio supporre che il noto incipit della poesia, “Ei fu”, sia in grado di suscitare alla mente solo ricordi scolastici…

Così come La Commedia presenta e diversifica il ruolo del Dante poeta (esterno e onnisciente rispetto all’opera) da quello del Dante viaggiatore (protagonista immerso nell’opera, nonché da essa trasportato in un cammino di purificazione e ascesi insino a “riveder le stelle”), allo stesso modo occorre distinguere fra la dimensione letteraria del Cinque Maggio cantata dal Manzoni e la sua portata storico-politica.

Come vedremo, con echi poetici efficacemente calabili anche nell’ambito di certune nostre vicende odierne… e ulteriori accadimenti storici che pesantemente hanno inciso sul dipanarsi della Storia sia francese sia europea.

Dunque la comunità è “muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale, né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà”… (ieri come oggi, se ci si riferisce qui all’urgente necessità di moderni statisti e strateghi, capaci di risollevare le sorti patrie e continentali).

Infatti, pur sottintendendo la numerosità degli atti bellicosi intrapresi dall’Imperatore, Manzoni riconosce a Bonaparte il ruolo di “vasta orma” della Provvidenza, frutto della volontà imperscrutabile di quel “Massimo Fattor” al cospetto del quale, costretti, “nui chiniam la fronte”.

Il medesimo concetto d’arrendevole fiducia nella “benefica Fede ai trionfi avvezza” (già insito, peraltro, nella dantesca profezia del Veltro) si ritrova anche in seno ai Promessi Sposi, ove la sempre positiva progettualità del deus ex machina echeggia, speranzosa, nella constatazione di come non si turbi la gioia degli uomini “se non per prepararne loro una più certa e più grande”.

A latere delle campagne militari, l’apporto culturale e illuministico dell’epopea bonapartesca (successiva al tumulto della Rivoluzione e al terrifico calar della ghigliottina) è stato, infatti, di preminente significatività. Su tutto, basti ricordare l’emanazione del Codice Napoleonico (Code Civil des Français, 21 Marzo 1804), alla base del Diritto moderno.

Di Napoleone, Alessandro Manzoni esalta vieppiù quella strenua risolutezza e abilità decisionale che “dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno”. Con due soli grandi fallimenti (la battaglia di Lipsia del 1813 e quella di Waterloo del 1815) che precipitarono disastrosamente l’Imperatore “due volte nella polvere”.

Pur in diverso contesto, quanto bisogno di operosa e ragionata tempestività invocherebbero oggi le nostre neghittose Istituzioni, spesso impreparate, immeritatamente arriviste, use al “servo encomio” del potente di turno nonché al “codardo oltraggio” e vilipendio di quei consessi che andrebbero invece serviti con “disciplina e onore”? …

Quanto le mire e le egoistiche elucubrazioni personali dei singoli soverchiano oggi “la procellosa e trepida gioia d’un gran disegno” che sia, realmente, orientato al perseguimento del benessere collettivo?

Quanti cuori indocili servono e, nel servire, soffrono e s’offrono pensando unicamente al proprio cursus (dis)honorum? Sinonimo di quel “concitato imperio” che, in sfregio a meriti e competenze, pare invece transitar solo attraverso un cieco e pedissequo “celere ubbidir”…

Ci si dimentica così della fondamentale attenzione per un “regno” più grande e condiviso, che travalichi il corto raggio della bramosia personale, orientandola verso la ricerca di un costruttivo e fecondo buon governo.

Col risultato di plasmare un Paese sempre più servo, sempre più vile e più deriso… Non libante commensale al convito dei popoli, ma sottomesso esecutore della nerboruta soperchieria economica altrui, previdentemente costruita e comprensibilmente esercitata dalle Nazioni più orgogliose e perspicaci.

Del resto, si sa: spesso la Politica (quantunque non solo da noi e non solo nell’ambito della nostra epoca) deficia di lungimiranza…

In proposito, la giornata del 5 Maggio fornisce, di nuovo, un valido esempio.

Infatti, in tal data dell’anno 1789 il monarca Luigi XVI inaugura in Francia i lavori degli Stati Generali, convocati con lo scopo di discutere il riassetto del rovinoso e finanziariamente malconcio apparato statale. Per l’occasione, dopo il discorso introduttivo del Re, il Ministro delle Finanze Necker tiene una lunga arringa, volta a edulcorare la svilente e miserrima realtà delle casse di Stato francesi.

Inoltre, si cerca strenuamente di differire la discussione sul sistema di voto (aspetto che, a quanto risulta, pare ancora accomunarci con la Francia del tempo…): se “per Ordine”, modalità che avrebbe visto prevalere le due categorie privilegiate di Clero e Nobili, oppure “per Testa”, cioè facendo la semplice conta di consensi e dinieghi. In quest’ultimo caso il Terzo Stato, rappresentando il 98% della popolazione complessiva, sarebbe come ovvio uscito numericamente trionfatore.

A fronte dello stallo, i deputati del Terzo Stato decidono di costituirsi in Assemblea Nazionale deliberante, la cui guida viene affidata a Jean Sylvain Bailly, astronomo e noto accademico. Per soffocare l’iniziativa, Luigi XVI ordina allora la chiusura della Sale des Ordres (Sala degli Ordini) dove avevano preso avvio i lavori degli Stati Generali. Così, estromessi e allontanati da Versailles, i rappresentanti del Terzo Stato denunciano il tradimento del Re, riunendosi in un nuovo locale (prima destinato ad attività ludiche) e ivi riproponendosi di combattere la tirannia.

È il 20 Giugno 1789 e, decorsi neanche due mesi dal 5 Maggio, con il Giuramento della Pallacorda viene giustappunto marcata la seconda, importante, tappa della da lì a poco dilagante Rivoluzione francese.

Tornando all’epica lirica del Manzoni e al suo augusto protagonista (figlio della Rivoluzione e dell’improvviso vuoto di potere e di carisma venutosi a ingenerare), essa sottolinea all’uopo come Napoleone abbia vissuto a cavallo di “due secoli, l’un contro l’altro armato” ma che, nondimeno, ambedue “sommessi a lui si volsero”.

Il paragone potrebbe forse sembrare ardito ma, per quanto concerne l’Italia, qui la mente corre veloce a più d’un personaggio politico, sopravvissuto al passaggio di secolo e traghettatosi, intonso e in sella, dalla prima alla seconda Repubblica. Per approdare (infatti, di nuovo “ei si nomò” per il vellutato scranno) sino ai neghittosi giorni nostri… dove “il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar”.

Fu vera gloria”?, si domanda il Manzoni.

Immensa invidia, pietà profonda, inestinguibil odio e indomato amor” caratterizzano il “tristo esiglio” dell'Imperatore nei sei anni successivi alla disfatta di Waterloo.

Il solo fatto che, nel tempo, si continui a ricordare Napoleone – e nella fattispecie con così profondo lirismo – testimonia come le sue siano state davvero “eterne pagine” di Storia.

Invece, che cosa si scriverà fra secoli circa l'operato dei nostri attuali politici?

Non resta che dire “ai posteri l'ardua sentenza”…


SARA GARINO

Collaboratore 

CIVICO20NEWS

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Articolo pubblicato il 29/04/2018