Viaggio tra le carcasse delle Olimpiadi Invernali 2006: milioni di euro per impianti ed edifici sprecati.

Grandi e piccole opere giacciono inutilizzate e spente. Un problema dibattuto da quasi 14 anni e non ancora risolto

Dopo la clausura imposta dal CoViD 19, in questi giorni di un 2020 dal giugno piovoso, il richiamo di una escursione verso le suggestive località alpine a pochi km da Torino, si è snodato in cerca di strutture sportive, oggi scheletri lasciati sul terreno delle Olimpiadi invernali di Torino 2006. Impianti equamente distribuiti tra Torino e le più rinomate stazioni invernali teatro della kermesse internazionale.

Gli sprechi nelle valli : Pragelato e i trampolini

Risalendo la Val Chisone, la prima medaglia allo spreco è certamente a Pragelato e al suo comprensorio di trampolini destinati allo ski jumping e costati oltre 34 mln di euro.

A suo tempo, si praticarono i dovuti disboscamenti per costruire due trampolini destinati alle gare e tre per il training. Il proposito intendeva dar seguito all’attività agonistica e alla formazione di giovani atleti, oltre all’affitto degli impianti per l’allenamento di squadre internazionali. Non fu così. Dopo alterne fortune, nel 2011 il reimpiego sembrava cosa fatta grazie a un accordo tra la giunta comunale e il Cda della società Live Nation che li aveva in gestione. Si svolsero alcuni eventi, ma l’uso di certe strutture dovrebbe essere oculatezza degli organi sportivi più che iniziativa legata alla passione dei privati.

Saltata la presenza di Torino alle olimpiadi 2026 Milano-Cortina, nel 2019, le autorità dei Comuni Olimpici della Via Lattea, hanno scritto al presidente del CONI Malagò chiedendo chiarezza sul futuro degli impianti e un loro impiego sportivo, altrimenti demandando al Coni il loro eventuale smantellamento, il cui costo è stimato in € 5 mln

La speranza di reimpiego dei trampolini rimaneva aggrappata alle dichiarazioni del presidente Alberto Cirio sul rilancio turistico del Piemonte. Vago miraggio per il futuro delle strutture, ma in questo 2020 del Coronavirus, ciò che già era fermo, si è spento.

La pista di Cesana Pariol e altre opere inutilizzate

Superando Sestriere e calando verso la Valle di Susa, tra gli interventi nati, vissuti il tempo di uno sparo e poi defunti, rientra l’impianto del biathlon di SanSicario, costato 25 mln di euro e  rientrato nel limbo dell’inutilizzo dopo il breve momento dell’Olimpiade.

Discendendo verso valle, la pista di Cesana Pariol, rappresenta lo spreco alpino più oneroso delle Olimpiadi. Per la realizzazione della pista di Bob, slittino e skeleton furono utilizzati 110 mln di euro, e quasi 2 all’anno per mantenere un mostruoso serpente di oltre 1400 m steso sui prati. Soldi spersi nella foresta disboscata, poiché la società destinata alla gestione dell’impianto, la Parcolimpico srl, chiuse per i costi di gestione nel 2011, perciò: risorsa defunta in una nazione carente in questo tipo di piste. Altri soldi sono andati a consulenze per lo smantellamento.

Per le opere di Sauze d’Oulx il discorso è breve: l’impianto di freestyle, costato 9 mln, illuminazioni comprese, per 6 giorni di attività, è stato smantellato nel 2012. Eppure, non è questo l’ultimo epitaffio, il peggio lo si incontra tornando in città.

Villaggio Olimpico di Torino

La passerella che dal Lingotto Parking valica la ferrovia (di cui è prevista l’intera copertura) è un emblema di quel 2006. Porta al Villaggio Olimpico, costato 145 mln di euro e destinato a riconvertirsi in un complesso residenziale & suggestivi portici con locali ad uso commerciale al termine delle olimpiadi.

Alla fine dell’evento sportivo il Villaggio fu assegnato alla “Fondazione XX marzo 2006”; ente incaricato da Comune, Provincia e Regione per la gestione degli immobili. Invece di valorizzare il quartiere, per questioni di bilancio i locali sono stati venduti a lotti e in comproprietà con più soggetti, esiliando così la possibilità di un management organico & produttivo.

Il risultato si è palesato in mala gestione e un degrado sia civile che immobiliare del distretto che ha portato spesso la zona del fu Villaggio Olimpico al centro della cronaca per ripetuti momenti di forti tensioni sociali, criminalità e malvivenza.

Il palazzo Vela

Per ospitare le gare di pattinaggio di figura e short track, fu indetto un bando per rinnovare Palazzo Vela. La gara andò all’arch. Gaetana Aulenti e all’ing. Arnaldo De Bernardi, e il progetto, che vide l’eliminazione delle straordinarie vetrate originali, fu oggetto di un restauro della volta e la costruzione di un doppio stabile al di sotto della stessa, con un costo di 54,5 mln di euro.

Il nuovo Palavela, ha seguitato a ospitare gare ed eventi su ghiaccio anche dopo le olimpiadi, il rimpianto quindi non è legato all’oblio, quanto al discusso operato che ha sminuito il progetto originale del Palavela, sfigurato nella sua primitiva bellezza e svalutato nella sua maestosa architettura che consentiva ogni genere di evento, spogliando ancor di più quel magnifico distretto che fu “Italia 61”, vanto di quella Torino futuristica che ormai non c'è più.

Cosa ha funzionato e cosa no

Nel 2009 la crisi degli enti locali ha richiesto partner privati, perciò la fondazione XX Marzo ha messo a bando il 70% delle quote di Parcolimpico srl, creata per gestire gli impianti della Via Lattea, e oggi il 90% delle strutture sono dirette da Live Nation. Ma il privato investe solo in ciò che restituisce rendita: le piste da sci. In Piemonte, bob, jumping e discipline minori non riscuotono interesse. Oggi, l’esperienza insegna che aver progettato strutture destinate a durare anni, anziché per il tempo dell’Olimpiade può essere stato uno degli errori più significativi.

Dunque, le Olimpiadi di Torino 2006 hanno lasciato in eredità tanti e onerosi casi di cattiva gestione delle risorse iniziali, degli impianti e delle costruzioni destinate agli sport, ma la montagna ne ha giovato comunque. La risonanza dell’evento ha fatto sì che il turismo straniero nella Via Lattea sia aumentato del 110% e fermo restando gli sprechi, le olimpiadi 2006 sono state una luminosa vetrina per Torino, stanandola dalla sua provincialità e mostrando in mondovisione il volto di una regione operosa, ricca di storia e di bellezza.

A cosa ammonta l’eredità?

A Torino sono stati costruiti tre villaggi olimpici e molti altri luoghi edificati o adattati per l’occasione: il rinnovato stadio comunale, oggi l’Olimpico, l’Oval Lingotto, l’esagerato Palasport Olimpico “Isozaki”, il Palavela. In provincia si è costruito a Bardonecchia, a Cesana, a San Sicario, a Pinerolo (Palaghiaccio), a Pragelato, a Sauze d'Oulx e a Sestriere. Opere destinate a 15 giorni per 15 discipline. Tutti interventi la cui scarsa utilità nel tempo, oltre a essere legata alle loro tipologie è perlopiù rimasta nelle mani delle capacità di gestione degli enti preposti a degno prosieguo della loro esistenza, quasi sempre mancato.

L’appuntamento perduto con il 2026

Nel 2018, anno dell’assegnazione delle Olimpiadi 2026, sindaco di Torino era l’attuale Chiara Appendino. Nel marzo di quell’anno, da parte del Consiglio Metropolitano, vi fu un’interpellanza per impegnare la sindaca ad aderire ai XXV Giochi invernali, poi conferiti all’asse Milano-Cortina, mentre Torino, dopo una serie di oscillazioni politiche, aperture e defezioni, mozioni e smentite, non fu più della partita.

Un’occasione perduta?

Difficile dirlo. Di certo la Via Lattea aveva già delle strutture che avrebbero potuto offrire altre due settimane di gloria e Torino, infarcita di eredità olimpiche, avrebbe potuto riciclarne alcune a costo quasi zero. Ma se la storia non si fa con le ipotesi, e se poco di tanto è stato finora riutilizzato correttamente, la speranza impone di immaginare qualche idea prossima ventura, che possa restituire all’uomo ciò che a suo tempo è stato scippato alla natura, oppure agire viceversa.

Immagini riportate secondo licenza CC BY 3.0 IT 

Da Città di Torino www.comune.torino.it 

 

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Articolo pubblicato il 18/06/2020