Scandalo Wirecard. Il fallimento dei controllori, tedeschi in primis

Il crollo della società di pagamenti digitali teutonica sta scardinando il sistema di controllo delle nazioni. E la Commissione chiede di indagare sul ruolo della Germania. L'inizio della fine di un sistema?

Qualcuno non ha vigilato su Wirecard. O comunque non lo ha fatto come avrebbe dovuto e ora si cercano soluzioni per evitare che tutto possa accadere di nuovo

 

Dieci giorni dopo lo scandalo che ha coinvolto la società per un ammanco di cassa da 1,9 miliardi, circa un quarto del valore complessivo degli asset della società, molti si chiedono cosa non abbia funzionato nei meccanismi di controllo che avrebbero potuto evitare il crack.

 

Gli occhi sono puntati sulla Bafin, la Consob tedesca, rea di essersi resa conto troppo tardi di quello che stava succedendo alla fintech fondata da Markus Braun. E anche l'Ue chiede chiarimenti a Berlino. Wirecard dal 17 giugno a oggi ha bruciato buona parte della sua capitalizzazione al Dax, passando da un valore per azione di 104 a 2,5 euro, bruciando buona parte dei suoi 20 miliardi di market cap.

Il primato di Wirecard, l'imbarazzo tedesco

 

Un record per il listino tedesco, e un primato: è la prima società del Dax 30 ad aver dichiarato l'insolvenza. Il caso Wirecard imbarazza e non poco le istituzioni teutoniche. La Bafin ha prima difeso a spada tratta la società dalle inchieste che denunciavano buchi in bilancio, salvo poi optare per un repentino cambio di atteggiamento. Ma lo scandalo era già scoppiato.

 

Le ragioni di questo atteggiamento protettivo da parte delle autorità tedesche sono soprattutto legate al ruolo che Wirecard ricopriva nel mercato finanziario di Berlino: era per tutti il fiore all'occhiello della nuova finanza tedesca, simbolo per oltre un decennio della sua capacità di aggredire con successo il mercato dei pagamenti digitali, la sola in grado di competere con i centri mondiali del fintech, come Londra o New York.

Bini Smaghi: "Creare un organismo di controllo federale"

 

Ed è proprio a causa di questo atteggiamento che oggi molti si interrogano e propongono soluzioni. Commentando lo scandalo Wirecard, sul Financial Times Lorenzo Bini Smaghi, ex componente del consiglio direttivo della Bce, ha scritto che non ci potrà mai essere un'unione dei mercati dei capitali europei senza un sistema unico di vigilanza: "Tutti i politici, a livello nazionale e europeo, sono pubblicamente favorevoli alla creazione di un'Unione dei mercati dei capitali, ma sono in realtà riluttanti a prendere le misure necessarie. E una delle decisioni chiave da prendere è la creazione di una forte istituzione federale incaricata di vigilare sui mercati finanziari", è la tesi di Bini Smaghi.

 

Ma "le forze che sostengono lo status quo", scrive, "sono forti" e le fragilità di questo sistema "derivano dall'eccessiva vicinanza tra gli enti finanziari vigilati e i rispettivi supervisori" e "dall'eccessiva vicinanza tra questi ultimi e le autorità politiche locali". E conclude: "Se il caso Wirecard non venisse considerato sufficientemente grave per agire in modo più deciso verso un supervisore unico del mercato europeo, piu' forte e indipendente, in futuro si verificheranno inevitabilmente altre crisi che colpiranno i risparmiatori e i contribuenti europei".

 

L'Ue chiede una commissione di inchiesta: "Certificare il ruolo della Germania".

Per scardinare queste pericolose vicinanze quindi, servirebbe un controllore unico europeo, capace di salvaguardare il risparmio al di là delle questioni politiche che potrebbero far chiudere un occhio ai controllori nazionali. Nella tarda serata di ieri l'Unione europea ha fatto la sua prima mossa, chiedendo all'Esma (l'autorità europea per la sicurezza dei mercati) di verificare le eventuali responsabilità dei regolatori tedeschi nel caso Wirecard.

 

La Commissione ha chiesto all'Esma che sia avviata un'analisi conoscitiva su cui l'autorità dovrebbe riferire entro il 15 luglio. In particolare, Bruxelles vuole accertare che le risposte normative della Germania ai primi segnali di difficoltà della società "fossero adeguati a proteggere la fiducia degli investitori Ue" e che non ci siano stati ostacoli amministrativi o legali che hanno impedito l'effettiva applicazione degli obblighi di rendicontazione finanziaria e, nel caso, siano state applicate sanzioni a eventuali violazioni.

 

Forse un primo passo verso un ripensamento europeo degli organismi di vigilanza nazionali dei mercati.

 

AGI Agenzia Italia

 

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Articolo pubblicato il 28/06/2020