Cosa hai guadagnato "homo sapiens" dal tuo stile di vita, e cosa non hai più?

Momento di analisi in questo tempo di restituita libertà; postumi da coronavirus.

Un’analisi che si è spinta a ritroso, con un occhio alle origini dell’umanità, per poi tornare alle nostre vite tecnologiche, frenetiche, alle metropoli affollate, all’atmosfera neppure più ultima frontiera, trafficata quota d’infinito; migliaia di satelliti, altrettanti già spazzatura.

Ne abbiamo fatta di strada dalle palafitte ai comodi divani piazzati in faccia alle tivù, dalla caccia con le frecce alle catene di fast-food, ai supermercati, alle consegne a domicilio in tempi di pandemia, pur isolati se in casa. Noi umani ormai siamo ovunque anche se fermi; iPhone, tasti, new technology, 5G.

Cosa abbiamo acquisito e cos’altro abbiamo perso in questi millenni di progresso sempre più veloce, avido di scoperte e di invenzioni, di oggetti inutili ma ipnotici, di salute, di immortalità, di kilowatt e m² in più?

Certamente viviamo più a lungo, almeno in termini numerici. La salute ci sorride e nuovi virus a parte, i progressi della medicina e un placido stile di vita, a molti fan sognare di morire sani arrivando a 100. Pare che se si rinunciasse ad eccessi e certe sostanze, se ci si nutrisse bio e calasse l’inquinamento, si potrebbe ambire pure a qualche annetto in più, ma sempre in una RSA.

Poi, di colpo il virus, le zone rosse, le colonne di camion militari, i medici, le bare, le cifre della protezione civile, il Papa che pregava nella piazza vuota. In quel momento abbiamo avuto paura di non vivere più di così?

Durante l’emergenza CoViD e il lockdown "iorestoacasa", ci siamo aggrappati ai 1000 canali della TV e si scriveva sperandolo, "andrà tutto bene" mentre impauriti e confusi "Fratelli d'Italia", abbiamo giurato: “non lo rifarò mai più”.

A partire dalla 3ª fase invece, siamo tornati a fionda tra le nostre incoerenze, acuendo i vizi e moderando le virtù, vomitandoci sulle strade vuote, ripopolando di nevrosi le città, lesti a consumare, a inquinare il globo con fumi, liquami e plastica, a rinnovare usanze e illusorie sicurezze. Qualcuno che ha perso il lavoro è disperato, qualcun’altro è morto, ma questo è capitato a tutti, fin dagli albori dell’umanità.

Dopo una breve parentesi, durante la quale il sistema produttivo, terziario, energetico e sanitario sono stati messi in crisi da un virus che ancora volteggia, al via di “liberi tutti”, siamo tornati ostaggio nei nostri sclerotici, democratici schemi sociopolitici, fatiscenti & corrotti. Da impauriti patrioti uniti, siamo tornati presto aspri, divisi e imbestialiti. C’è molto che non va, ma il sistema rotola su se stesso, non si ferma, corre sempre verso ciò che sarà.

Uomini evoluti abbiamo superato l’era del sudore, del lavoro manuale, della presenza attiva. Già ci soppiantano i robot, l’intelligenza artificiale; qualcos’altro che farà al posto nostro quel che serve e pure il resto: gesti, conti, prodotti, e la ruota continuerà a girare. I fabbricanti non deluderanno miliardi di clienti sempre ansiosi di novità.

Non abbiamo più calli alle mani e se andiamo a cavallo è per il piacere dall'atletico gesto. Siamo grassi, mollicci, privi di fisicità, ma si può rimediare: palestre, pomate, integratori. Gli attrezzi e le diavolerie offerte in tv assicurano un fisico bestiale, costo 3 × 2; un vero affare!

Manca il rapporto con lo sforzo naturale, il confronto con l’animale, con il bosco, con l’albero, con miglia da percorrere sul carro; unico mezzo di viaggio. Abbiamo poca elasticità del corpo, abitudine alla lotta, resistenza allo sforzo. Siamo bellissimi, stirati dall’acido ialuronico, molto profumati, automobilisti; firmate scatole in colonna, con ben poco d’uomo primitivo dentro.

Eppure non abbiamo perso l’ancestrale fascino dell’ambiente naturale. Lo sfidiamo con arditi sport fini a se stessi, favoriti da ogni tecnologico aiuto, giunti al luogo dell’impresa con un 4 × 4, con un elicottero... A piedi, di sicuro no. Perduti nella foresta forse vivremmo sei giorni, non uno di più.

Smarrita la selvaggia reminiscenza, ogni imprevisto è difficoltà. Giudichiamo in base al costo, viaggiamo rapidi perdendo il bello della lentezza, delle genti incrociate strada facendo, dell’itinerario. Giunti sul posto, arraffiamo nel tempo concesso dal viaggio organizzato, quindi torniamo a narrare le gesta in ufficio, a casa, in società.

Abbiamo smarrito geniali manualità, non sappiamo accendere un fuoco, modellare un metallo, intrecciare un legno, spellare un coniglio che prima ancora lo si deve acchiappare. Tutte le cose si vanno a comprare.

Abbiamo i riflessi lenti, perso l’istinto. C’è poca inventiva nel singolo, meno creatività, tutto c’è già, forgiato in un’altra era e adesso se ne colgono i frutti, basta inserire la carta di plastica che tutto di noi possiede e sa. Il meglio del bello è già stato creato; forma funzione e colore; è “vintage” quell’oggetto dalla linea perfetta.

Siamo qualche miliardo di troppo sulla Terra inquinata, ma si parla di Marte, rosso punticino lassù. Non ci arriveremo mai, e per farci cosa poi? A piantar licheni mentre qui si disbosca la foresta equatoriale? Che strana razza siamo, "sapiens" di sicuro o forse, ma chissà cosa pensano di noi le bestie e le piante…

Sono in calo le belle arti, certa musica, la prosa, la poesia. Forse batte meno il cuore per le pene d’amore, per il sole che nasce, per il battello che scorre sul fiume. Il rispetto e il timor di Dio stanno svanendo sotto i colpi del miracolo virtuale, dell’“anch’io lo so fare”; meno rispetto per il viaggio nell’aldilà. Semmai si vedrà. Intanto, in qualche famiglia si è consumata un’inspiegabile strage.

La carenza di spiritualità e di quel mistico stupore d’essere vivi si riflette nell’introspezione, nel rapporto con se stessi e con la comunità. Dai dispersi nuclei familiari, tristi individualisti soli seguono lo spot di quell’oggetto che ancora non hanno.

L’amore è diventato un concetto astratto affidato a una canzone, c’è un proliferare del lessico grasso e della villania, l’immondizia abbrutisce il quartiere, ma noi uomini del terzo millennio, chiusi in casa con un virus alla porta, "distanti ma uniti", si conversava lo stesso dallo schermo di un iPhone. Adesso usciamo con la mascherina, qualcuno no, i contagi sono in calo, a ottobre si vedrà, "iorestoacasa-nonèpiù".

Tra poco ci vedremo in 3D, forse riusciremo a materializzarci altrove. Abbiamo un microchip, dipingiamo in Photoshop, lavoriamo da casa e da lì facciamo shopping. Chi governa decide, ma è permesso protestare. I social network sono pieni di questa libertà; è il grande incaglio d’ogni verità! La storia umana è un documentario che descrive l’inizio e prevede la fine; è in onda con regolarità sui programmi culturali.

Ma perché mi manca già quel silenzio per le strade attraversate dagli animaletti, e quell’aria limpida che tornava a mostrare la bellezza delle stelle soltanto pochi mesi fa?

Coronavirus è stato un evento che ha messo in discussione le accelerazioni più anacronistiche della nostra razza e della civiltà. Madre natura si è ripresa la scena per il tempo di un istante, mostrandoci la sua magica, divina bellezza; è uguale a quella di 10.000 anni fa. Qualcuno ha pensato che è stato un messaggio… Forse, chissà… 

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Articolo pubblicato il 18/07/2020