La distruzione del suolo italiano

Il suolo è un bene non rinnovabile: cementificato, impermeabilizzato, monetizzato e compromesso nella sua natura, non ci perdonerà

L’Italia, che noi continuiamo a ritenere il paese più bello del mondo, ha una superficie di 302 mila kilometri quadri di cui, il 41,6% è di conformazione collinare, il 35% è montagnoso e solo il 23,2% è pianeggiante.

 

Da un dossier di Legambiente, il 7,64% della superficie italiana è cementificata, pari a circa 1/6 della superficie coltivata, che è il bacino di due Beni primari: agricoltura e allevamento

 

La distruzione del paesaggio agrario Italiano

Alcune aree della penisola poi, dopo aver subito una massiccia deforestazione, attualmente si presentano come una continuità di territorio urbanizzato, prodotto di più P.R.G spesso disorganici e interessati distributori di case a schiera e villette confinanti con superfici coltivate superstiti, cosicché diventa difficile tracciare i confini delle zone costruite e quelle agricole. Scompare per sempre quel disegno della centuriazione che da 2000 anni è stato eredità, ricchezza e memoria agricola di lungimiranza della civiltà romana.

Inoltre, la recente migrazione di cospicui % di popolazione dalla città verso nuove costruzioni nella prima cintura, ha fatto sì che i perimetri delle città italiane, densamente popolate, si sono diluiti verso la campagna, con rapporti di urbanizzazione tra cubatura e verdeanomalo” di miriadi di villette, che hanno privatizzato una forte percentuale di terreni, i quali non sono più coltivabili, pur essendo curate isolette verdi: i fioriti, inutili giardini privati. 

Questo fenomeno ha portato ad uno spopolamento dei centri urbani, dove in alcune città, il 25% delle abitazioni oggi è vuoto e spesso in stato di abbandono, altrettanto per una quota ancora più elevata di capannoni e zone industriali dismesse per cessata attività o per delocalizzazione. Legambiente ha una completa documentazione sulle percentuali di terreno compromesso, relativa ad ogni regione italiana.

In Italia si consuma suolo anche per le infrastrutture, che insieme agli immobili ricoprono quasi l'80% del territorio alterato (strade asfaltate e ferrovie 28% - strade sterrate e altre infrastrutture di trasporto secondarie 19% - edifici 30%) e parcheggi, piazzali e aree di deposito (14%).

 

Il terreno è una risorsa non rinnovabile

A questo punto occorre sottolineare che il terreno è una risorsa racchiusa nei suoi limiti di superficie non rinnovabile. Una volta cementificato un territorio selvatico richiede un tempo illimitato per ritornare allo stato naturale. Ogni qual volta si sottrae terreno alla “ terra”, si crea una impermeabilizzazione del suolo e un aumento della temperatura di quell’area, che influisce nel microclima moltiplicandosi per il numero di interventi. Costruire dunque è una grande responsabilità che nel nostro paese è abusata, nel nome della leggerezza, dell’individualismo, del guadagno spicciolo e in sostanza, di un’ignoranza in materia, della quale non possiamo essere fieri.

 

Certe porzioni d’Italia, dalla Città metropolitana di Torino a metà della Lombardia e del Veneto, dalla pianura emiliana a superfici lineari del litorale romagnolo, hanno percentuali di urbanizzazione molto elevati, così come colate di asfalto nell’area Pedemontana, dando origine a un Nord Italia prealpino completamente destabilizzato nella sua originale orografia boschiva e poi agricola. Lazio, Campania, Puglia & Sicilia non si fanno mancare il calcestruzzo.

Da qui, un aumento della temperatura al suolo e verso l’infinito, cosa che innesca soprattutto al Nord una deviazione delle perturbazioni, con diminuzione delle precipitazioni per lo più d’inverno, dando origine ai sempre più frequenti fenomeni estremi, quali trombe d’aria, grandinate e downburst  nelle stagioni più calde.

L’urbanizzazione abusiva, reato che in molte aree dello stivale si è impiantato come usanza illecita non perseguita, ha contribuito a compromettere ancora di più il fragile equilibrio idrogeologico delle aree collinari. Sorvolando sui degradanti aspetti estetici e urbanistici, il risultato si è materializzato in frane e allagamenti spesso drammatici che puntualmente interessano i suoli instabili di zone disboscate o abbandonate. Terreni che smottano a valle oppure inondano, non assimilando più le piogge che si convogliano in letti di canali e torrenti dimenticati dall’incuria.

L’illusione ecologica dei pannelli fotovoltaici

Altre aree di terreno perdute per svariate cause sono i boschi bruciati, i terreni contaminati da rifiuti, le porzioni sempre più interessate dalla desertificazione, i poderi di pannelli fotovoltaici, che anch’essi, sempre più diffusi, sottraggono porzioni di suolo al suo ruolo permeabile e al suo patrimonio biologico. Certe scelte energetiche andrebbero indirizzate alla copertura degli edifici. Non farebbero danni.

I terreni agricoli coperti da pannelli fotovoltaici infatti, procurano immediati vantaggi economici all’agricoltore, ma a parere di molti pedologi, producono un grave danno a medio termine, poiché gli impianti sono previsti per una durata di 20-25 anni. Dopo questo periodo il terreno diventa inerte e in genere, dopo l’utilizzo energetico, resta abbandonato.

La riconversione a terreno agricolo è difficilissima, richiede una rianimazione della terra, rimasta per 25 anni senza respiro, senz’acqua e senza luce, senza vita organica e microbica, danneggiata come ogni altro essere vivente, essendo i ritmi biologici del suo ecosistema completamente alterati.

Vi sono alcune iniziative di coltivazione del terreno al di sotto dei campi di collettori solari con vegetali adatti, ma il ritorno economico è blando e la lungimiranza delle persone interessate, non sempre è adeguata agli estremi del problema visti sulla lunga scadenza.

L’agenda 2030 e il recupero verde di aree dismesse

A partire dal nuovo millennio, il consumo di quel poco suolo appetibile rimasto in Italia, ha subito un fisiologico rallentamento, ma non basta. Sarebbe importante impegnarsi nel rispettare l’agenda 2030 che per quell’anno prevede il consumo del suolo pari allo 0%, ma si può fare di più. Come sottolinea anche l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale, i procedimenti di rigenerazione di suoli compromessi sono cosa rara.

Invece, vecchia battaglia di chi scrive vorrebbe che, da parte delle progettazioni comunali, oltre a una cura del patrimonio alberato sarebbe auspicabile un recupero delle superfici ex industriali e commerciali dismesse, trasformandole ovunque in boscosi parchi urbani, in modo da assorbire CO2, offrire ossigeno e aree di relax all’interno delle città, nelle aree limitrofe e lungo le circonvallazioni, arricchendo così anche un paesaggio urbano e suburbano sovente degradato.

Operazioni non prese in esame, mentre, con l’impianto di alberi d’alto fusto e di legno pregiato, si potrebbe anche abbinare alle aree ombreggiate e al recupero di terreno permeabile, il legname; materia prima fonte di reddito. La Terra, la gente di buona volontà e l’atmosfera non aspettano altro.

 

Dipinti di Jacek Yerka e Emre Yasin

 

Richiami per approfondimento dati: Legambiente & Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

http://www.vita.it/it/article/2017/04/21/legambiente-in-italia-cementificato-il-7-del-territorio/143125/

https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/suolo-e-territorio/il-consumo-di-suolo

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 28/07/2020