Il 27 agosto del 1950 moriva suicida Cesare Pavese. Il ricordo di Franco Vaccaneo nel suo libro dedicato allo scrittore.

Cesare Pavese, un nome indissolubilmente legato alle Langhe, in particolare a Santo Stefano Belbo, un angolo di Piemonte tappezzato di vigneti, in cui Pavese è cresciuto, giocando fra i filari d'uva. Di lui ci rimangono poche notizie  riguardanti la sua vita privata e le storie d'amore che l'hanno caratterizzata, elementi affidati alla memoria collettiva, giunta intatta fino ai giorni nostri. Molto viene detto a proposito di questi elementi fondamentali della sua esistenza, anche se non dobbiamo scordarci del fatto che Pavese, in primo luogo, è stato il grande scrittore, custode di tradizioni ed abitudini antiche di un mondo contadino che ormai vive solo nei ricordi e che, anche grazie a  ai suoi scritti, si è  perpetuato intatto fino a noi.

Ne parliamo con il professor Franco Vaccaneo, che incontro a Santo Stefano Belbo la città in cui Pavese nacque il 9 settembre 1908 ed a cui rimase particolarmente legato. Passeggiamo fra il silenzio dei vitigni da cui  la città  è incorniciata, in una splendida giornata di inizio autunno; a lui chiedo di raccontarmi episodi  della vita dello scrittore da cui sia possibile comprendere al meglio il suo animo poetico. E' una delle poche persone in grado di farlo con cognizione di causa; il professore è stato infatti per anni il responsabile della "Fondazione Cesare Pavese", il cui obbiettivo è quello di consentire, agevolare e promuovere la divulgazione, la valorizzazione e lo studio delle opere letterarie del grande autore,  in ambito nazionale ed internazionale, unitamente alla riscoperta ed alla valorizzazione dei luoghi pavesiani.

Il lavoro del professor Vaccaneo è una biografia aggiornata a tutto campo in cui sono descritti aspetti inediti del mondo di Cesare Pavese. Dall’infanzia nella campagna delle Langhe, «paese di verdi misteri», alla scoperta della città, fine dell’adolescenza e inizio della vita adulta. Vi sono raccontati i luoghi amati, i libri, le testimonianze degli amici, gli infelici amori di un uomo e di uno scrittore vissuto, secondo il giudizio di Primo Levi, «nella disperazione», ma in cui intere generazioni di lettori, dopo il 27 agosto 1950, data del suo tragico suicidio, hanno trovato consolazione e ispirazione.

Vaccaneo evidenzia, analizzando alcuni brani dello scrittore, come il nucleo più consistente dei luoghi pavesiani sia sempre quello langarolo, quello delle località prossime a Santo Stefano Belbo, il suo paese natale. Ben evidenziata è anche la sofferenza di Pavese nel ripensare al paesaggio dell'infanzia, che dovette abbandonare alla morte del padre e come questa sofferenza divenne una notevole fonte di ispirazione per la stesura dei suoi più celebri lavori.  

"La campagna - afferma Vaccaneo - "restò sempre il paese dei verdi misteri per il ragazzo che veniva d’estate, anche quando quel ragazzo, ormai adulto, portava a compimento le intuizioni pre razionali dell’infanzia. Sono i due volti del Piemonte: Santo Stefano Belbo e Torino, la campagna ancestrale e la città aperta al mondo moderno".

Uno degli aspetti più interessanti e suggestivi di questo recente lavoro su Pavese è rintracciabile nel capitolo:"Se Pavese ritorna sulle sue colline". Vaccaneo immagina che allo scrittore  sia concesso di poter uscire dalla tomba su cui sono incise le sue parole: "Ho dato poesia agli uomini" e di poter dialogare con lui, tenendo a mente quanto Pavese lasciò scritto nella camera d'albergo in cui decise di togliersi la vita, il 27agosto 1950: "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi", con la sua firma al fondo del triste biglietto trovato accanto a lui.

Nella sua intervista impossibile, Vaccaneo, fa emergere la vera essenza di Pavese  in modo preciso e credibile, permettendo al lettore di ascoltare dalla voce dello scrittore, quanto la sua vita si fosse rivelata difficile, attraversando periodi tempestosi, compresi tra fascismo, guerra e dopoguerra,  un'epoca in cui non era consentito sottrarsi alle proprie responsabilità civili, puntualizzando quanto poco o nullo interesse provasse per le ideologie. 

Nel corso del colloquio immaginario emerge la vera essenza  di una persona che voleva semplicemente vivere in pace con se stessa e il mondo, restando in disparte fumando la pipa, girovagando nei luoghi amati, restando "...tra la gente semplice, osservando il mondo attorno a me, senza farmi vedere..". Poche parole che chiunque ami la serenità interiore riconoscerà e farà proprie; una condizione difficile da realizzare allora come oggi, una delle ragioni che minarono in maniera irreversibile la serenità dello scrittore.   

L'espediente letterario di Vaccaneo si rivela molto interessante e aderente alla figura del tormentato personaggio che ci sembra di vedere comparire al nostro fianco mentre conversa con noi, aggiustandosi gli occhiali e tenendo ben salda in mano la sua inseparabile pipa. Il colloquio fantastico conduce il lettore fino alla citazione di quello che fu il suo ultimo romanzo, "La Luna e i falò", scritto tra il 18 settembre e il 9 novembre 1949 e pubblicato nella primavera del 1950, un lavoro in cui sono contenuti tratti autobiografici, dedicato a Constance Dowling, l'attrice cinematografica di cui Pavese si innamorò perdutamente, senza venire  contraccambiato.  

Di lui restano i suoi libri, gioielli della letteratura, autentiche medicine per lo spirito, ma in particolare vale la pena ricordare l'ultima frase di Pavese che Vaccaneo offre all'attenzione dell'appassionato lettore. Un monito che dovrebbe essere assimilato e fatto proprio da chiunque si illuda di riuscire di poter creare composizioni e testi capaci di impressionare i coetanei compagni di viaggio in una avventura terrena, davvero troppo breve per poter manifestare il proprio talento. Ed ecco allora che Pavese regala una istruzione preziosa, giustamente riportata da Vaccaneo in chiusura del suo prezioso testo, una istruzione che tutti noi dovremmo assimilare e fare nostra per essere migliori e comprendere la vera essenza di quel che siamo chiamati a realizzare in una vita che, per tutti, forse, è sempre troppo breve. Dice Pavese:   

"Essere qualcuno è un’altra cosa. Ci vuole fortuna, coraggio, volontà. Sopra tutto coraggio. ll coraggio di starsene soli come se gli altri non ci fossero e pensare soltanto alla cosa che fai. Non spaventarsi se la gente se ne infischia. Bisogna aspettate degli anni, bisogna morire. Poi, dopo morto, se hai fortuna diventi qualcuno".

Il testo  di Franco Vaccaneo è arricchito da un CD allegato al suo lavoro: una special edition del cantautore Mariano Deidda, noto per il suo impegno  nella trasformazione in musica dei versi di grandi artisti, una serie di composizioni di musica popolare che accentua l'emozione derivante dalla lettura  dei capolavori pavesiani e che rende unico e prezioso un libro immancabile nella biblioteca di ogni studioso dello scrittore. Un personaggio tormentato che ha arricchito, abbellendolo con le sue parole, un secolo che si vuole breve per gli orrori da cui è stato caratterizzato.

CESARE PAVESE, vita, colline, libri

Priulli e Verlucca  € 15,20  

Foto tratte dal testo citato

 

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Articolo pubblicato il 08/10/2020