Taranto - La situazione dello stabilimento ArcelorMittal rimane ancora irrisolta

Si avvicina la data entro cui ArcelorMittal può recedere dal contratto di affitto

C’è una recente proposta netta del sindaco Rinaldo Melucci, che in effetti aleggia da tempo e che riguarda la chiusura dell’aria a caldo dell’exIlva, ora ArcelorMittal, poi la data del 30 novembre che si avvicina e la situazione rimane ancora irrisolta.

Ricordiamo che il 30 novembre è la data entro cui ArcelorMittal può recedere dal contratto di affitto pagando una penale di circa 500 milioni di euro.

Il confronto tra sindacati e governo è ripreso venerdì scorso e ci sarà un altro incontro a fine settimana.

Da oggi partono altre sei settimane di cassa integrazione Covid, per un numero massimo di 8.137 dipendenti.

Il governo è tornato a confrontarsi con i sindacati a distanza dall’ultimo incontro che si è svolto il primo ottobre.

Nell’incontro di venerdì scorso si è detto che ci sarà l’investimento dello stato in ArcelorMittal, attraverso Invitalia e che lo stato non avrà una partecipazione minoritaria, ma rilevante, che sarà maggiore rispetto a quella dell’inizio, quindi di maggioranza.

Invitalia ha già le risorse finanziarie per fare questo intervento. Ricordiamo che il governo intervenne  nella crisi della Banca Popolare di Bari con 900 milioni. Non furono necessari tutti, ma circa una metà e quindi sono rimasti un 470 milioni per fare questo intervento  in ArcelorMittal.

Secondo Arcuri, sarà un’azienda che tutelerà l’occupazione, quindi di 10mila 700 dipendenti di cui 8mila 200 sono a Taranto, ma a regime, cioè nel  2025 una volta che il piano in programma si sarà concluso.

Seguirà quindi un periodo non breve di cassa integrazione per ristrutturazione e l’occupazione dovrebbe risalire man mano che l’azienda si avvicina alle tappe finali del programma.

La produzione decisa sarà di 8 milioni di tonnellate e questo potrà accadere solo riaccendendo l’altoforno 5 che è spento dal 2015, essendo questo il più grande d’Europa e avendo una potenzialità produttiva rilevante.

Poi ci saranno anche gli altri altiforni più i forni elettrici ed è ovvio che tutte quelle tonnellate si potranno produrre solo con questo tipo di assetto impiantistico e potranno garantire, come si prevede, l’occupazione di gruppo.

Il governo a sua volta promette la decarbonizzazione, la sostenibilità ambientale, un impulso a tutte le opere ambientali, ciò che la città di Taranto sta aspettando dal 2012.

Sono passati otto anni e non si sono visti grandi passi in avanti tanto che  nelle scorse settimane si è dovuto ricorrere al decreto  del ministro dell’ambiente Sergio Costa, che ha intimato ad ArcelorMittal di accelerare i tempi di copertura dei nastri trasportatori.

Perché è vero che c’è stato il Covid per cui ultimamente i lavori si sono fermati, però questi dovevano essere completati ben prima e nonostante ciò ArcelorMittal  ha impugnato al Tar il decreto del ministro.

Per cui quando si parla di investimenti ambientali, di decarbonizzazione e così via è ovvio che lo scetticismo, la perplessità la facciano da padrone.

Si è in un contesto, in una città che ha assistito troppe volte a tanti annunci, ha visto trascorrere tanti e troppi anni, senza che ci sia stata una svolta.

Come dicevamo, il sindaco Melucci si è espresso sull’aria a caldo ritenendo di fare un accordo sulla base di quello che si è realizzato a Genova.

Non è la prima volta che il sindaco di Taranto assume questa posizione e pare che non risulti almeno ufficialmente che ci sia stato un minimo di confronto, uno scambio di vedute tra il governo e le istituzioni della città.

Ed è singolare che si parli del futuro di una fabbrica così grande, così rilevante per la città oltre che per l’economia del paese, si discutano scenari e progetti e poi  non si abbia il buon senso e si crei l’opportunità per avere un confronto con le istituzioni di un territorio su cui poi le scelte andranno a ricadere.

Del resto questo è un male antico per Taranto, ricordiamo quando l’Ilva era dello stato.

L’ufficio acquisti era a Genova, poi a Milano, facendo sì che tutto il problema restasse a Taranto e le decisioni produttive ed economiche si prendessero altrove, con il risultato di un territorio che è stato martoriato negli anni, tanto che  oggi tocca parlare delle macerie  avvenute nei decenni passati.

 

 

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Articolo pubblicato il 17/11/2020