La perenne tensione fra Pechino e Nuova Delhi
“Sono tre miliardi e mezzo. Sono più giovani di noi, lavorano più di noi, studiano più di noi. Hanno schiere di premi Nobel per la scienza. Guadagnano stipendi con uno zero in meno dei nostri. Hanno arsenali nucleari ed eserciti di poveri. È «Cindia»: Cina e India, il dragone e l’elefante.”
Era l’anno 2006. Così scriveva Federico Rampini nel suo libro “L’Impero di Cindia” . Molto di quello da lui trattato si è avverato. Purtroppo però, ad oggi, “il dragone e l’elefante” più che agire all’unisono, risultano sempre più in conflitto fra di loro.
Non è solo negli ultimi mesi che assistiamo a continui attacchi dell’India contro la Cina lungo i confini montuosi.
L’antico conflitto sino-indiano del ‘62, che vide l’India privata di un’importante porzione di territorio himalaiano, rischia di non essere solo un triste ricordo.
Il crescente nazionalismo indù in opposizione all’ “impero neoconfuciano” cinese alimenta continui scontri, dalle forti tensioni al confine fino alla reciproca guerra tecnologica e commerciale.
Nel 1892 i cinesi fissarono i paletti confinari con l’India sulla cosidetta “Linea Johnson”. In seguito a dispute di confine, sfociate in scontri armati con l'Impero Manciù, una spedizione militare britannica entrò a Lhasa, la capitale tibetana, cacciandone le guarnigioni cinesi.
Da allora però molto è cambiato.
E l’'India, nonostante il sostegno logistico statunitense, oggi come nel 62’, corre il pericolo di un attacco cinese su più fronti.
Se la Cina deve fare attenzione al Bhutan e al Tibet, regioni da sempre filo-occidentali e legate strategicamente all’India; quest’ultima, oltre ad avere una sua vulnerabilità interna dovuta ad una realtà religiosa e socioeconomica molto eterogenea, esternamente ha un potenza nucleare come il Pakistan; storico alleato cinese pronto ad attaccarla. Se poi aggiungiamo il crescente numero di maoisti filo-cinesi, nel Nepal e nella regione interna del Punjab, la preoccupazione indiana risulta alle stelle.
All’Intelligence indiana non sono poi sfuggiti i numerosi porti commerciali e militari cinesi costruiti lungo i maggiori punti strategici dell’Oceano indiano.
Ma se il controllo del Golfo Persico e dello stretto di Malacca risultano fondamentali, la situazione nella vicina isola dello Sri Lanka è pure peggio. La base militare cinese, che lì alberga, non fa dormire sonni tranquilli a Nuova Delhi.
Ultimamente, il crescente deficit di fiducia reciproco si è spostato sul divieto indiano verso le app cinesi. Ingenuo deterrente indù verso il crescente appetito di Pechino, il quale non intende permettere a nessuno di fermare la sua corsa verso il dominio globale.
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Articolo pubblicato il 09/01/2021