Nazionalismo tecnologico: la strategia della Cina per essere una potenza globale

La Repubblica Popolare Cinese punta sulla tecnologia per dominare il Mondo

Non è stato facile rimettere in carreggiata lo sviluppo tecnologico nella Repubblica popolare cinese. Dopo la sua fondazione nel 1949, un'élite di scienziati e tecnici vicini al Partito Comunista Cinese (PCC) si rese conto dell'importanza di avere una propria industria tecnologica e optò per la pianificazione statale dello sviluppo scientifico.

 

Fu così che decenni fa, la Cina annunciò una strategia nota come "nazionalismo tecnologico": lo stato prevede di investire in ricerca e sviluppo insieme alle sue grandi aziende tecnologiche per dipendere meno dall'estero. Questo legame tra il settore pubblico e quello privato, insieme ad un piano per influenzare i mercati internazionali, ha consentito una grande crescita tecnologica nel Paese. Ora la leadership del colosso asiatico in tecnologie come il 5G sorprende e preoccupa i suoi concorrenti.

 

I leader cinesi hanno reso la tecnologia una priorità nazionale almeno dagli anni '70. Hanno cercato di unire le forze tra lo Stato e il settore imprenditoriale per diventare una potenza tecno-scientifica e aumentare così le loro prestazioni economiche. La tecnologia è essenziale per aumentare la produttività e le esportazioni di un paese. Ma per la Cina, è diventato anche una misura del suo potere e della sua influenza all'estero; negli ultimi anni un fronte di scontro vitale nella lotta con gli Stati Uniti.

 

Washington ha risposto con attacchi, sanzioni e barriere commerciali contro la Cina e le sue grandi aziende tecnologiche. La bilancia commerciale tra le due potenze si è orientata verso la Cina, e il presidente Donald Trump ha cercato di invertirla per tutto il suo mandato, concentrandosi sulla riduzione delle importazioni dei loro prodotti, soprattutto da questo settore. Ora, il presidente cinese Xi Jinping vuole che il gigante asiatico parli direttamente con i suoi concorrenti nei futuri settori tecnologici e strategici con il progetto “Made in China 2025”.

 

 

Componenti di una strategia tecno-nazionalista

 

 

La Cina è uno dei principali esportatori di tecnologia al mondo. Dalla fine degli anni '70 ha seguito una strategia nazionalista della tecnologia: investimenti in ricerca e sviluppo, pianificati dallo Stato insieme ai suoi campioni tecnologici, per ridurre la sua dipendenza dalle tecnologie straniere. Questo processo ha combinato un crescente protezionismo tecnologico ed economico insieme a un forte interventismo che hanno fatto sì che, tra gli altri, l'azienda cinese Huawei guidasse lo sviluppo della rete 5G.

 

 

Huawei e la geopolitica del 5G

 

Potenze come la Cina o gli Stati Uniti sono cresciute di pari passo con i loro esperti nei rispettivi settori del digitale e delle telecomunicazioni. L'innovazione in questo settore è cruciale, poiché offre anche l'opportunità ai paesi pionieri di stabilire gli standard tecnologici che gli altri dovranno seguire. Una volta fissati questi standard, i paesi che ricevono nuove tecnologie sono rallentati nel loro sviluppo perché relegati al ruolo di acquirenti e si allontanano dalla produzione, che genera influenze e dipendenze che sono all'origine di rivalità politiche.

 

Un esempio fra tutti sono i protocolli di comunicazione wireless locale o Wi-Fi, concepiti negli Stati Uniti. Con la formazione della Wi-Fi Alliance nel 1999, questi protocolli sono diventati gli standard mondiali per la connettività locale (WLAN). Dopo che l'Istituto statunitense di ingegneria elettrica ed elettronica ha stabilito lo standard WLAN nel 2001, la Cina per motivi di sicurezza ha pensato di progettare un proprio WAPI. Ma la sicurezza non era la sola preoccupazione di Pechino. La motivazione era sopratutto economica: il governo cinese voleva forzare le aziende americane che volevano vendere i loro prodotti in Cina, come Intel, a dotarli di questo protocollo, pagandolo alle aziende cinesi. Il WAPI, tuttavia, non è stato accettato come standard internazionale e la Cina ha perso la battaglia contro la Intel e la tecnologia Wi-fi. La Intel, forte del suo primato, ha minacciato di interrompere la vendita dei chip necessari per realizzare la maggior parte dei laptop cinesi.

 

Tuttavia, la potenza tecnologica della Cina di Xi si basa su diverse aziende tecnologiche leader nei propri settori: Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi e Huawei, note con l'acronimo BATX. Il primo, Baidu, è un motore di ricerca; Alibaba è una piattaforma di commercio online simile ad Amazon; Tencent include il commercio online e possiede Qzone, un social network simile a Facebook; e gli ultimi due sono principalmente dedicati alla produzione di terminali e telecomunicazioni.

 

Queste aziende sono l'alternativa cinese all'americana GAFAM : Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft.

 

Il suo boom ha contribuito al settore dei servizi che ha rappresentato il 53,9% del PIL cinese nel 2019, mentre all'inizio del mandato di Xi era del 45,5%.

 

BATX cresce di circa il 50% ogni anno, divenendo fondamentale per trasformare l'economia cinese che è passata dall'essere basata sull'esportazione di materie prime e prodotti a basso costo all'esportazione di prodotti finali ad alto valore aggiunto.

 

Baidu, Alibaba e Tencent hanno aumentato i consumi interni in Cina e rilanciato l'economia di molte zone rurali del paese. Inoltre, accumulano capitale virtuale sotto forma di big data estratti dalla digitalizzazione di molte aree della vita quotidiana dei cittadini cinesi. Attraverso WeChat di Tencent, che mescola social media e messaggistica istantanea, o Alipay, il sistema di pagamento di Alibaba; queste aziende accumulano dati che consentono loro di sviluppare potenti algoritmi di intelligenza artificiale.

 

L'Artificial Intelligence di Alibaba viene utilizzata per regolare il traffico nelle città cinesi con alti livelli di inquinamento, o nella lotta contro covid-19. Da parte sua, Baidu, ha finanziamenti dall'esercito cinese per progettare il “China Brain”, ovvero il “Cervello Cina”, un progetto di ricerca incentrato sia sui big data che sull'interazione uomo-macchina.

 

Il nazionalismo tecnologico di Xi mescola interventismo e protezionismo. La Cina limita gli investimenti stranieri nelle sue società al fine di avere il maggior controllo possibile e preservare il processo decisionale nel paese.

 

Tuttavia, la Repubblica Popolare cinese non è l'unico paese con una strategia tecno-nazionalista. Gli Stati Uniti, il Giappone e le tigri asiatiche - Corea del Sud, Hong Kong, Singapore e Taiwan - hanno implementato programmi simili dalla metà del XX secolo, investendo nella propria tecnologia per ridurre la dipendenza dalle importazioni straniere. In questi paesi, lo Stato può finanziare lo sviluppo tecnologico e mitigare il costo di un eventuale fallimento per le aziende che operano nel suo territorio. Molte delle società leader nel settore della tecnologia hanno avuto forti legami con l'apparato statale cinese e la sua industria militare. È il caso della Silicon Valley, in California, dove le Big Tech Usa (Apple, Google, Facebook, Twitter) hanno fatto accordi commerciali con alcune società della città cinese di Shenzen, fra cui Huawei, la quale ha forti legami con l’esercito popolare cinese. Il legame economico e la connivenza fra queste realtà è evidente, e la cosa preoccupa non poco il Pentagono e i Servizi di sicurezza atlantici.

Il nazionalismo tecnologico ha reso la Cina un polo alternativo agli Stati Uniti. Questa situazione è figlia di una lunga progettualità cinese nell’ambito tecnologico, economico e militare. Non è casuale che gli ultimi tre presidenti cinesi vengano tutti da settori ingegneristici.

 

L’assenza di un canone standard internazionale che regoli la tecnologia, e il rapporto fra i Paesi con essa, induce le grandi potenze a farsi una continua guerra commerciale. Questa situazione rischia di degenerare, e la tensione fra la Cina e il blocco Occidentale aumenta giorno per giorno. Pechino, nonostante i continui attriti con Washington, sembra intenzionata ad andare fino in fondo con questa politica aggressiva.

Una cosa è certa, il Pentagono e le forze NATO non staranno a guardare.

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Articolo pubblicato il 02/03/2021