Donne e società nell'Egitto faraonico

Di Riccardo Manzini

Il ruolo della donna nella storia è sempre stato tenuto in una posizione marginale, benché si siano evidenziate eccezioni di grande rilievo.

Questa realtà si è confermata anche in epoca moderna e non è ancora definitivamente risolta nei nostri tempi attuali.

Pertanto, esplorare questo particolare aspetto non è solo una curiosità da soddisfare, ma è soprattutto una doverosa ricerca per colmare e rendere giustizia al ruolo dell’altra “metà del cielo” nel lungo percorso della storia umana.

Ci giunge in merito un articolo del dr. Riccardo Manzini - medico chirurgo ed egittologo di lungo corso – che affronta questa tematica nel mondo antico, con particolare riferimento alla realtà dell’Antico Egitto, che riportiamo con il ricco corredo di immagini.

Nel ringraziare l’Autore, per la sua precedente e attuale collaborazione, auguriamo buona lettura (m. b.).

 

Donne e società nell’Egitto faraonico

 

Pur vagheggiando imprecisate differenze tra le varie civiltà si ha in genere la sensazione molto superficiale che nel Mondo Antico la donna abbia avuto un ruolo secondario e sottomesso, sia per la rarità con cui compaiono in quella Storia nomi femminili che per la nostra tradizione culturale basata per gran parte su testi religiosi marcatamente maschilisti.

Approfondendo questo argomento risulta però evidente che non solo emergono a riguardo sostanziali differenze tra le varie civiltà, ma che in alcune società il ruolo della donna fu molto rispettato ed in altre, come quella egiziana, addirittura fondamentale.

Sebbene sia difficile ricostruire la biografia dei personaggi del mondo antico in quanto la Storia ci ha lasciato in genere le tracce degli avvenimenti e raramente delle persone, dagli studi è infatti emerso come il ruolo della donna nell’Antico Egitto fosse riconosciuto e tutelato. Valga come esempio che la consorte potesse essere ripudiata, ma le si sarebbe dovuta restituire l’intera dote e fornire un vitalizio che garantisse a lei ed ai suoi eventuali figli una condizione di vita pari a quella da cui era stata allontanata.

Apparentemente questa affermazione sembra in contraddizione con la prevalenza di personaggi maschili negli antichi riferimenti, se non si fosse compreso che questa è dovuta per gran parte alla destinazione simbolica della loro veste ufficiale e non ad una scelta discriminante. Illuminante in tal senso è la figura del sovrano che il rituale non celebrava per una sua fisicità maschile prevaricante, ma in quanto simbolo del Paese ed inimitabile “essenza” della nazione. Di conseguenza il cerimoniale ufficiale non poteva che venerare un’unica figura emblematica, cui apparivano secondarie anche quelle delle consorti.

La realtà era invece molto diversa in quanto l’uomo-sovrano costituiva l’emblema visibile del Paese, ma la sua stessa esistenza era subordinata alla vincolante e fondamentale presenza femminile di una regina. La legittimità di un sovrano, per quanto di stirpe regale, era infatti trasmessa unicamente per via femminile attraverso la figlia del predecessore, il cui matrimonio (quanto meno formale) era l’unico mezzo che consentisse di assurgere lecitamente al trono.

Per tale ragione nella storia egizia troviamo citate sorelle del sovrano come sue spose, ma tale unione era generalmente solo simbolica per garantire la legittimità della successione; la riprova di ciò è data proprio dal cambiamento di dinastia indicato dagli annalisti che sembra avvenisse ogni qual volta la figlia dell’ultimo sovrano di una dinastia fosse convolata in matrimonio con un personaggio che non era suo fratello.

Poiché il sovrano egizio era solito possedere un harem, in assenza di figli maschi, ma anche per evitare eccessive discendenze tra consanguinei, la successione di un sovrano poteva avvenire anche attraverso il matrimonio tra una sua figlia (in genere la primogenita) ed il figlio avuto da una concubina che così acquisiva legittimità al trono. Ad ennesima riprova delle prerogative di emancipazione che la donna aveva in quella società, è significativo che anche le regine avessero un proprio harem.

Il ruolo della regina non era quindi solo vincolante per la stessa esistenza del sovrano e pressoché paritario al suo, ma assumeva anche un proprio tacito riconoscimento ufficiale autonomo, come dimostrato dalle tombe di alcune regine che presentano la tipologia e le dimensioni delle tombe faraoniche.

Particolarmente significative in tal senso sono gli edifici piramidali di alcune di queste regine (slide 1) in quanto testimoniano la condivisione anche delle maggiori simbologie di quella società che erano confluite a generare quel modello architettonico di esclusivo appannaggio del sovrano.

Per altro l’importanza sociale delle regine ed il loro ruolo paritario nella regalità sono anche deducibili da molte statue in cui il sovrano e la propria consorte compaiono raffigurati di pari dimensioni, in cui il differente ruolo è solamente indicato dall’atteggiamento (slide 2).

Tutte le donne egizie godevano di un ben preciso ruolo anche di fronte alla legge, in quanto potevano ereditare, stipulare atti di compravendita e disporre dei beni del coniuge, ma questi ultimi per il solo benessere dei figli in quanto non potevano appropriarsene

In caso di morte del coniuge le regine potevano assumere il potere regale come tutrici dei figli qualora questi fossero troppo giovani, ed anche tale ruolo era incontestabilmente riconosciuto dalla società egizia; ma esistono alcuni esempi di regine che oltrepassarono tale limite.

Famoso è il caso della figlia di Thutmosi I, Hatschepsut, che sposò il proprio fratello Thutmosi II conferendogli come d’usanza il titolo regale. Poiché però questi morì senza avere un discendente diretto maschio, la sovranità passò al figlio di una sua concubina che successivamente assurgerà al trono con il nome di Thutmosi III, ma che all’epoca era molto giovane.

Per tale ragione Hatschepsut governò inizialmente in nome di Thutmosi III come sua tutrice, ma ci prese gusto avocandosi gradualmente tutte le prerogative di un vero sovrano (slide 3) e ritardando di molti anni la legittimazione dell’erede, fintanto che non ne venne drasticamente esautorata.

É significativo in tal senso che Hatschepsut giunse a celebrare i riti riservati al faraone ed a farsi raffigurare in vesti maschili, e che sia giunta a cercare di instaurare un vero matriarcato destinando a suo successore la propria figlia Neferura (slide 4), il cui nome fu posto in cartiglio (esclusivo dei regnanti), per di più preceduto dall’epiteto “figlia” (Sat) in cui si sottolineava il sesso invece del consueto “figlio” (Sa).

Ma già in precedenza vi era stato l’esempio di Sobekneferu, figlia del sovrano della XII dinastia (Medio Regno) Amenemhat III, che regnò per pochi anni sull’Egitto, assumendo per prima l’intera titolatura riservata al sovrano, costituita dai 5 nomi religiosi (slide 5).

Sebbene per comodità tutti i faraoni siano oggi conosciuti con un solo nome ogni faraone successivo all’Antico Regno possedeva una titolatura completa costituita da 5 nomi che indicavano altrettante vesti religiose o sociali. Così vi era un nome-Horo che assumeva al momento dell’incoronazione in quanto prestava il corpo a quel dio, un nome-Horo d’oro di controverso significato, un nome-nebty (le due Signore) come accettato dalle due divinità che tutelavano gli antichi due regni, ed i due nomi racchiusi in cartiglio (una linea chiusa vagamente ovale) corrispondenti al nome avuto alla nascita e quello dinastico. L’assunzione della titolatura regale da parte di Sobekne-feru indicava quindi la sua decisa volontà di regnare da sovrano e non in attesa di legittimare un pretendente.

Forse il più chiaro riconoscimento dell’importanza del ruolo della donna nella società egizia avvenne però nel periodo amarniano, in cui il riformatore Akhenaten si fece raffigurare quasi abitualmente affiancato dalla regina Nefertiti anche nell’atto di svolgere le attività pubbliche (slide 6), volendo testimoniare la condivisione paritaria di ogni aspetto del ruolo regale.

La presenza di importanti regine che segnarono la civiltà egizia comprende molti altri nomi, tra cui spicca Ahmose Nefertari, consorte del primo sovrano della XVIII dinastia (Nuovo Regno) Ahmose, la cui fama di donna buona e giusta la fece divinizzare come protettrice della Necropoli tebana (slide 7).

Ma anche nella religione egizia veniva riconosciuto alla presenza femminile un ruolo di primaria importanza, in quanto la dea Maat per certi versi legittimava gli altri dèi similmente a quanto competeva alla regina nella società egizia. Pur non acquisendo mai un ruolo prioritario, del tutto estraneo alla teologia egizia, questa dea (slide 8) costituiva infatti l’entità teologica vincolante per l’intero Pantheon egizio, in quanto era la Custode dell’Ordine Cosmico da cui dipendeva la stessa esistenza delle altre divinità.

Seppur le notizie a riguardo siano comprensibilmente ancora più rare ed indirette, anche nell’ambito della quotidianità delle famiglie questa importanza della donna è riscontrabile in molti indizi, principalmente nella presenza pressoché imprescindibile della moglie accanto al defunto nelle celebrazioni pittoriche (slide 9), nei rilievi parietali funerarie (slide 10) o nelle statue (slide 11).

Certo nell’economia familiare del popolo esistevano differenti occupazioni legate al sesso, documentate dagli uomini prevalentemente impegnati in attività artigianali e le donne in quelli casalinghe, ma le donne compaiono altresì in ambiti artistici come musicanti, danzatrici, ecc. (slide 12).

Di certo nelle celebrazioni delle piacevolezze domestiche riportate sulle pareti di molte tombe o nei modellini tanto amati dagli egizi (slide 13) la donna costituisce sempre un elemento imprescindibile per illustrare gli avvenimenti memorabili e sereni.

Riccardo Manzini

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 14/04/2021