L'importanza geostrategica del dominio dei mari

La lezione dalla Geopolitica: Chi controlla gli stretti controlla i mari, chi controlla i mari controlla il mondo.

Chi domina le acque domina il mondo.

Da sempre nella storia del pianeta, la superficie d’acqua è superiore a quella della terra.

A distanza di secoli, anche se in forme differenti, chi controlla i mari e gli stretti risulta essere ancora il padrone del globo terracqueo.

Tuttavia, “la gerarchia delle onde” non si decide solo sulle acque. Tantomeno negli scontri navali. Ma se il periodo dei galeoni è finito da un pezzo, il controllo delle rotte commerciali, insieme alla protezione delle proprie coste nazionali, resta l’obiettivo principale di una grande potenza; inclusi i sempre più disputati affacci marittimi, sulla cui delimitazione vanamente s’affannano i giuristi, come se il diritto determinasse i rapporti di forza, e non viceversa.

Nel campo strategico, la marittimizzazione favorisce le idee positive di bene comune e patrimonio da preservare, rivelando i vantaggi per i partner nello sfruttamento e nella spartizione delle risorse, così come nello sviluppo delle tecnologie necessarie. Ciò che conta è il mantenimento del libero accesso per un profitto collettivo e una competizione sana e cooperativa. In mancanza di equipaggiamenti o di infrastrutture marittime condivise, il coordinamento in chiave securitaria e una solidarietà partecipata permettono spazi regolati dalle medesime norme, come la convenzione di Montego Bay del 1994 a disciplina di uno spazio sempre meno res nullius e sempre più res communis. Gli scambi marittimi si sono sviluppati a tal punto da non poter essere interrotti senza grave danno per tutti: per tale ragione devono essere oggetto di consenso reciproco e le potenze hanno interesse a tutelarli da conflitti.

Il commercio è la linfa della storia e la gran parte delle merci viaggia sull’acqua. L’Asia ne è la nuova frontiera, soprattutto per impulso della Repubblica Popolare Cinese. Per l’Italia, con Roma prima e con le Repubbliche marinare poi, il Mediterraneo ha giocato da sempre un ruolo cruciale. E vuole continuare a farlo, nonostante le ingerenze di Turchia e Francia.

Ma tali priorità di grandezza si difendono intrecciando e modulando il dominio delle rotte di superficie, tracciate dai traffici e dalle correnti, con la prevalenza in almeno altri cinque fattori rilevanti.

Primo fattore: le Zone economiche esclusive (Zee), estese fino a 200 miglia dalla linea di base degli Stati costieri. Emblema della territorializzazione del mare, voga degli ultimi decenni.

De facto, strumenti di grandezza cari alle nazioni ambiziose, che amano combattere in categorie superiori alla rispettiva taglia. Classico il caso della Francia, che, grazie a dipartimenti e possedimenti d'Oltremare, dispone della seconda Zee al mondo, subito dopo gli Stati Uniti. Sommando terra e mare, Parigi s’irradia idealmente sovrana su uno spazio maggiore di quello della Cina.

Secondo fattore: le acque strategiche profonde, dove rapidi e invisibili corrono i sommergibili nucleari lanciamissili balistici, arma navale suprema, più rilevante delle troppo vulnerabili portaerei, che rendono razionalmente impossibile la guerra nucleare. Giacché consentono a uno Stato azzerato su terra da un attacco atomico di punire l’aggressore colpendolo via sottomarino con missili dotati di testate altrettanto distruttive. Sottacqua corrono inoltre condotte energetiche essenziali.

Terzo fattore: gli approdi terrestri, basi e porti entro cui tipicamente fluisce il traffico fra uno stretto e l’altro, dove la distinzione tra infrastrutture militari e civili è spesso sottile, grazie alle moderne tecnologie duali o al mero camuffamento.

Quarto fattore: il cielo sopra il mare. Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi le portaerei hanno plasticamente connesso l’uno all’altro. Molti le valutano tuttora determinanti, forse perché da settantacinque anni non si sono mai scontrate fra loro. Sono aeroporti mobili, certo, ma pur sempre affondabili. Assai costosi e stracarichi di marinai d’élite. Sacrificabili quindi solo in casi estremi, quando fosse sotto attacco il territorio nazionale. Ma le portaerei restano sempre molto ricercate da ogni Marina che intenda definirsi superiore alle altre.

Quinto e ultimo fattore: lo spazio cosmico. Gli stessi princìpi che la US Navy adotta per gli oceani si riflettono nella strategia del cosmo.

Così il cambio di orbita più efficiente per un satellite artificiale sarà il percorso commerciale e militare del futuro fra stazioni spaziali; con il satellite analogo alla nave, la rotta cosmica identica a quella oceanica, il porto spaziale simile all’approdo marittimo.

Il quinto fattore non appartiene ad un avvenire lontano. È fattore dell’equazione strategica corrente. Quando il 14 giugno 2018 un satellite cinese ha gettato l’ancora su un'orbita lunare, stabilendo la comunicazione fra la Terra e la Luna, il Pentagono l’ha subito classificato come minaccia alla sicurezza nazionale. Quasi preannunciasse l’avvento in quel porto cosmico di una navicella d’attacco capace di carpire informazioni segrete gestite dai satelliti geostazionari a “stelle e strisce”.

George Friedman, influente geopolitico statunitense, ha stabilito che il dominio del mare (Command of the sea) sta passando dall’aria allo spazio, dopo essere trascorso dal mare all’aria. Per effetto dello sviluppo dei missili ipersonici, di cui russi e cinesi vanno fieri, i cui sensori possono individuare e colpire le portaerei, penetrandone gli scudi pur sofisticati. Il Pentagono deve quindi concentrarsi nello sviluppo di satelliti militari d’avanguardia; poichè solo dal cosmo si può avere percezione sufficientemente ampia del teatro strategico in questione. Condizione indispensabile per identificare i missili nemici e obliterarli prima che possano colpire assetti americani, non solo navali, e minacciare le rotte marittime.

In sintesi: «Il dominio dello spazio sta diventando il fondamento per il dominio del mare».

La talassocrazia degli Stati Uniti va avanti da oltre un secolo. Nessuno mette in dubbio la superiorità della Marina americana; con le sue 11 portaerei e i suoi 14 sottomarini nucleari d’attacco, dotati di missili balistici a testata atomica. Dimostrazione navale del fatto che la globalizzazione esiste in virtù della Pax Americana, concetto che traduce la pretesa per cui non v’è angolo di mondo dove Washington non coltivi interessi nazionali in corrispondenza di un rinnovato dominio globale dei mari.

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Articolo pubblicato il 23/04/2021