L’EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: AIE. Si grida contro le emissioni, ma si uccide la democrazia.

Le tante opacità che emergono tra gli obiettivi degli Accordi di Parigi sul clima.

I Paesi industrializzati stanno cercando di risalire la faticosa china post pandemica ed ecco che c’è chi si sbizzarrisce nel tracciare percorsi, un po’ lunari, almeno per questi anni.

 

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), un ente internazionale formato dall’Ocse nel 1974 a seguito dello sciopero petrolifero proclamato dai Paesi arabi dell’Opec,  ha stilato un rapporto speciale che dovrebbe portarci alla rinuncia completa del petrolio in poco più di un quarto di secolo. Il lavoro, nelle intenzioni dei proponenti, è da intendersi come uno degli studi preparatori per la prossima conferenza internazionale sul clima, la Cop26 che si terrà a Glasgow il prossimo novembre e che dovrà mettere in pratica le strategie per raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi.

 

L’Agenzia internazionale per l’Energia suggerisce 400 passi per raggiungere l’obiettivo “net zero” (tante emissioni di CO2 vengono prodotte, tante ne devono essere assorbite). Fra questi passi ne troviamo alcuni che avranno un effetto immediato sulla nostra vita di tutti i giorni.

 

Ad esempio, tutte le caldaie a gas dei nostri condomini dovranno sparire dal mercato entro il 2025, compreso il recentissimo teleriscaldamento, ancora in via di attuazione in molte  nostre città. Anche le automobili non potranno più essere alimentate a benzina, comprese quelle ibride. Entro il 2035, quindi tra 14 anni, dovranno sparire dalla circolazione ed essere sostituite integralmente dalle auto elettriche, che oggi, a metà del 2021, sono ancora un prodotto di nicchia, con poca autonomia e difficili da ricaricare. Entro il 2050, anche tutti i veicoli da trasporto dovranno essere elettrici, sulla scia dell’obiettivo net zero emissioni entro il 2050. Questi includono, a partire da oggi, l’azzeramento di tutti gli investimenti nei progetti di rifornimento di combustibili fossili e nessun ulteriore investimento per nuovi impianti a carbone.

 

Entro il 2035, non verranno più vendute auto passeggeri con motore a combustione interna ed entro il 2040 il settore energetico mondiale dovrà raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero».

 

L’Aie suggerisce di interrompere immediatamente l’esplorazione e l’estrazione di nuovi giacimenti di combustibili fossili. Niente più gas e petrolio. Niente più miniere di carbone: non scavarne di nuove e abbandonare del tutto le vecchie. Già solo questo punto dovrebbe rendere chiaro di quale cambiamento epocale si sta parlando, considerando che l’industria del gas e del petrolio produce un Pil pro capite mondiale di 1800 dollari (pro-capite: per ogni individuo).

 

Ebbene, per l’Aie questo deve abbattersi del 75% entro il 2030, fino a 450 dollari pro capite. Si parla della distruzione di un intero settore industriale, senza considerare gli ingenti investimenti in corso per rendere i veicoli ecocompatibili. Ma cosa dovrebbe sostituirlo in tempi così rapidi?

 

La scarsa attinenza di queste indicazioni con la realtà, non considera minimamente l’energia nucleare (l’unica fonte a zero emissione che produce energia in modo stabile e in quantità nettamente superiori rispetto alle centrali termiche) e punta tutto sulle rinnovabili. Oggi queste ultime forniscono il 29% di energia, l’obiettivo è che arrivino a produrne il 90% entro il 2050. Per raggiungere questa meta, devono essere installati campi eolici e solari ad un ritmo 4 volte superiore rispetto a quello del 2020, uccidendo così la nostra agricoltura. Praticamente si dovrebbe installare un campo eolico al giorno, per nove anni di fila.

 

Per  seguire quest’indicazione e convertire tutti i mezzi di trasporto, dalla benzina all’elettrico, dovrebbero essere effettuati massicci investimenti nelle stazioni di ricarica delle batterie, da 1 milione attuale a 40 milioni entro il 2030. In appena 9 anni, dunque, l’obiettivo è di costituire 39 milioni di punti di ricarica al costo stimato di 90 miliardi di dollari in un decennio.

 

L’ulteriore follia consisterebbe nella  trasformazione delle abitazioni, per renderle energeticamente efficienti. Sicuramente i nuovi criteri di risparmio energetico influenzeranno tutti i nuovi progetti, pubblici e privati. Ma il problema sarà adeguare anche tutti gli edifici già esistenti. Il tutto richiederà massicci investimenti pubblici, senza calcolare le incompatibilità tecniche risolvibili solamente con l’abbattimento degli edifici. Quanti governi, specialmente dopo questa crisi, potranno permetterseli?

 

Fatih Birol, economista turco, attuale direttore esecutivo dell’Aie, ritiene che: «La via suggerita dall’Aie per un futuro migliore porterà ad un aumento storico di investimenti nell’energia pulita che creerà milioni di nuovi posti di lavoro e genererà nuova crescita economica. Instradare il mondo in questa direzione richiederà una politica forte e credibile da parte dei governi, integrata da una cooperazione internazionale molto più stretta».

 

Balle colossali, partorite da un mondialismo che già in altri campi sta creando squilibri anche sulla vita dei singoli individui. Non si tiene conto di quanti lavoratori che adesso operano in settori quali il carbone, il gas e il petrolio saranno in grado di riciclarsi nella nuova industria? Quanti dovranno essere di nuovo instradati a spese del contribuente, o mandati in pensione, o mantenuti con sussidi pubblici? Sono incognite gravi, soprattutto alla luce della crisi economica causata dal Covid nell’ultimo anno.

 

Come sempre dietro al peloso buonismo degli ambientalisti si cela un attacco forsennato alla democrazia, azzerata di fatto da scelte mondialiste discutibili, non foss’altro per la rapidità degli interventi proposti. Birol ha parlato chiaro: “politica forte e credibile da parte dei governi e cooperazione internazionale molto più stretta. ”Chi non è d’accordo, che fine farà? 

 

E quei governi che si opporranno a tali progetti? Se tutto è basato su soldi pubblici e programmi governativi, non solo non è più ammissibile una competizione interna fra idee differenti di sviluppo economico, ma neppure una vera competizione internazionale. Un singolo Paese, specie se grande produttore di energia, che dovesse disobbedire a un programma così ambizioso e rapido, potrebbe rovinare tutto. Cina, India e Russia non sono controllabili con queste logiche. Puntano ancora al loro grande sviluppo industriale.

 

Possono dire anche “sì” nelle conferenze internazionali sul clima, ma continuare a costruire centrali termiche, come sta già facendo la Cina. Mentre per il mondo delle democrazie europee e nord-americane è un altro paio di maniche. Tutta la politica economica internazionale occidentale, ormai, gira attorno a questi progetti, a costo di penalizzare l’economia reale e quindi i cittadini. Un nuovo Trump, che si opponeva al Green New Deal, probabilmente non sarebbe neppure più candidabile nei prossimi anni. Ma qualcuno nella traballante Europa potrà almeno alzare il ditino per esprimere il ragionato dissenso sui contenuti o sui tempi di attuazione?

 

Spes ultima dea!

 

Francesco Rossa - Condirettore Responsabile e Direttore Editoriale

 

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Articolo pubblicato il 23/05/2021