I fondamenti e le trappole della Geopolitica

Analizziamo per gradi gli errori e la corretta interpretazione delle relazioni internazionali

Non esiste geopolitica senza uso delle carte. Ricorrere alle carte è fondamentale per studiare la contrapposizione dei progetti e delle intenzioni di due o più contendenti in un conflitto di potere. Ma è anche essenziale studiare come ciascun attore le impiega come strumenti per legittimare le proprie rivendicazioni. Mappare perciò comporta redigere precedentemente un'agenda o un piano di azione.

 

Questo però non deve indurci nel primo grande errore della materia geopolitica, ovvero: il determinismo geografico. La geografia politica ha, come sopradetto, un ruolo cruciale nell'analisi e nei possibili comportamenti di uno Stato, tuttavia, la geografia non è l'unico fattore da analizzare. Il fattore umano rimane sempre imprevedibile, e con esso imprevedibili rimangono gli scenari futuri, i quali si possono solo ipotizzare.

 

Per fattore umano, unità minima d'analisi geostrategica, si intende lo studio delle collettività nel suo insieme. Di conseguenza, le sue singole vulnerabilità che la compongono, e, nel suo complesso, la sua narrazione nazionale (nota anche come “pedagogia nazionale”), risulta piuttosto complessa da analizzare. Ovvero, il modo di narrare sé stessi all’interno della propria comunità dipende sempre da più fattori socio-politici, i quali, quasi sempre sono legati alla propria storia patria. Il fattore umano, sia nelle sue singole componenti, che nel suo insieme, ci portano dunque ad un’altra conclusione; ovvero, al fatto che gli attori della geopolitica agiscono sempre in modo complesso e flessibile. Mai in maniera statica o prevedibile.

 

Gli attori geopolitici non sono monolitici. Così come non lo è la Storia. Occorre perciò conoscere in profondità le burocrazie che garantiscono la continuità dell'interesse strategico di un paese o di un'organizzazione. E le procedure attraverso cui vengono prese le decisioni e avvengono i conflitti di potere interni agli apparati.

 

Compito di chi si occupa di geopolitica è carpire questi apparati e i loro obbiettivi nazionali, i quali vengono rispettivamente declinati in tattica (breve periodo) e in strategia (lungo periodo).

 

E qui arriviamo ad un'altra “trappola” a cui spesso incappano gli studiosi di relazioni internazionali. Ovvero la confusione terminologica e concettuale fra tattica e strategia. Pensare ad esempio che il Vietnam o l'Afghanistan sono stati scenari di guerra fallimentari tali da portare al collasso gli Stati Uniti significa appunto confondere una sconfitta tattica per una strategica. Perdere una battaglia o una guerra in una zona remota del mondo è una sconfitta militare tattica, magari anche un danno d'immagine, ma sicuramente non equivale a perdere un conflitto mondiale o continentale tale da provocare una battuta d'arresto per la propria strategia nel lungo periodo.

 

I grandi leader degli attuali “imperi” in gioco sicuramente sono dei grandi tattici; solo la Storia però ci potrà dire se saranno stati anche degli ottimi strateghi.

 

Altro secondo errore in una possibile analisi geopolitica, presente soprattutto nelle nostre latitudini continentali, è l'economicismo e il fascino che esercitano le guerre valutarie. Troppe volte abbiamo sentito dire “la Cina possiede il debito degli Stati Uniti, presto ci sarà il sorpasso”; oppure, per quanto tempo negli anni '80 si è pensato che il Giappone potesse superare gli Stati Uniti unicamente in virtù del proprio PIL raggiunto? Ecco, questi sono errori madornali, che non tengono conto del potenziale bellico e degli obbiettivi tattici e strategici di un Paese nella sua complessità.

 

Perciò, le chiavi di lettura economiche e finanziarie da sole non bastano per decifrare come decidono e come operano gli attori geopolitici. Questi spesso compiono scelte antieconomiche in virtù di superiori imperativi strategici e militari. L'interesse nazionale non coincide mai con il solo interesse commerciale. Chi e perché adotta l'economicismo come faro spesse volte è colonia inconsapevole di un altro Stato (leggasi anche “Repubblica Imperiale”). 

 

Dunque, le interpretazioni puramente economico-finanziarie non sono più sufficienti a navigare la complessità internazionale, o forse non lo sono mai state. Forse i rimasugli dell'economicismo marxista e utilitarista dei secoli scorsi non ci aiutano ad uscire da questa trappola mentale, ma è bene comprendere che il Reddito Nazionale non è, seppur importantissimo, il solo fattore da tenere conto.

 

Difatti, sempre più aziende hanno messo al centro del loro ragionamento la geopolitica, piuttosto che la mera economia. Oggi è evidente, e lo sarà ancor più domani, che la decisione sull'allocazione degli investimenti sarà largamente condizionata dai fattori geopolitici propri dell'area interessata.

 

Questo significa che nella sua complessità occorre carpire gli interessi nazionali nel suo insieme, e per farlo gli apparati statali (ma anche le banche e le multinazionali), utilizzano le rispettive intelligence (private o statali che siano). L'attività di intelligence che interessa la geopolitica non riguarda il lato operativo, ma quello strategico.

 

Le Agenzie di Sicurezza sono perciò essenziali a penetrare gli arcana imperii delle potenze agenti.

 

Occorre dunque rivolgere l'attenzione al fattore umano della geopolitica, allo studio dei fattori strutturali che sorreggono una potenza e alla loro evoluzione. In questo vengono in aiuto i big data, la cyber security e le nuove tecnologie aerospaziali.

 

Ma carpire i segreti dei rispettivi “stati profondi” equivale anche ad assumere un atteggiamento sempre più realista in politica estera. Il quale non tiene conto dei sentimentalismi e dei romanticismi ideologici. La visione prettamente fideistica o ideologica è tipica degli adolescenti. Sarebbe un grave errore declinare questo sentire idealista in politica internazionale. Specie dopo il crollo delle grandi ideologie novecentesche; confondere ciò che che sarebbe ideale e giusto con ciò che è necessario a gestire una Polis equivale a confondere la politica con la filosofia. La prima si regge sulla Ragion di Stato, e per “Stato” si intende sempre il “deep state”, ovvero quell'insieme di interessi pubblici e privati che compongono e delineano una strategia nazionale volta alla propria egemonia/sopravvivenza.

 

Per intendere ciò, l'organicismo ci viene in aiuto.

 

Esattamente come un organismo vivente, gli Stati nazionali nascono, crescono e muoiono. E quando necessitano di crescere lo fanno sempre a discapito di altri Stati nazionali. In quest’ottica realista si evince come il pacifismo sia una mera favoletta atta ad indebolire la propria narrazione nazionale, in un’ottica di sottomissione voluta sempre da qualche egemone di turno (nel nostro caso gli Stati Uniti). Come diceva un grande Presidente del Consiglio del passato: “I popoli che non amano portare le proprie armi finiscono per portare le armi degli altri”.

 

Un diritto universale non esiste, così come non esiste un unico interesse internazionale da difendere. O se preferite, applicato al nostro caso, non esiste un unico interesse continentale. Ogni Paese ha delle zone di influenza da difendere o da acquisire (un tempo si chiamavano “spazi vitali”) in base alla propria vocazione geostrategica, impartita dai rispettivi stati profondi. Il diritto internazionale cerca timidamente dal ‘600 di regolare i rapporti fra gli Stati, purtroppo fallendo miseramente dinanzi alle rispettive aspirazioni nazionali. Le potenze piegano questi strumenti alle loro esigenze strategiche, per legittimare le proprie aspirazioni o per negare quelle dei loro avversari.

In quest’ottica, il multilateralismo, cosi come le Organizzazioni Internazionali (con i suoi ‘diritti umani’ al seguito) nascondono sempre gerarchie di potere.

 

In poche parole, occuparsi di geopolitica significa togliersi la 'maschera' del politicamente corretto e dei buoni sentimenti idealisti per guardare in faccia la realtà della geografia e della Storia umana.

 

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Articolo pubblicato il 27/09/2021