Panama: il canale conteso fra i fili della Storia

Il rinnovato interesse di Pechino per il canale ha riattivato le attenzioni di Washington, guardando di nuovo al "cortile di casa sua".

“La Repubblica di Panama esiste in funzione e a causa del Canale.”

Così affermava nel '24 lo storico presidente di Panamà Belisario Porras. La repubblica centroamericana deve infatti la propria esistenza all'interesse statunitense per un canale interoceanico, quello cioè posto fra il Centro e il Sud America. Ma con l'ingresso del paese nelle vie della seta marittime cinesi e il coinvolgimento di Huawei, l'istmo diventa teatro di scontro tra Washington e Pechino.

Il dibattito attorno alla creazione di un transito interoceanico ha animato la politica degli Stati Uniti, creatori e massimi beneficiari del Canale, già dalla fine del XIX secolo.

Il 31 dicembre del '99 il canale di Panama fu restituito dagli Stati Uniti alla sovranità panamense, in accordo ai due trattati Carter-Torrijos del 7 settembre 1977. Il 3 novembre 2003 è stato celebrato, non senza qualche polemica, il centenario della secessione di Panamá dalla Colombia, fomentata e aiutata dagli Stati Uniti in seguito alle resistenze del Congresso di Bogotá alle proposte di Washington. Il 23 febbraio 2004 è decorso anche il centenario della nascita della Zona del Canale: l'area estesa per 8,1 km su ogni lato del Canale, per un totale di 1.432 kmq, che fu affidata all'amministrazione Usa appunto fino al 31 dicembre 1999.

Nell'Era post Guerra Fredda il Canale ha via via perso la sua importanza strategica. Soprattutto quella di natura commerciale. La portata di navi che possono transitare si riducono sempre di più. Da anni si sta pensando ad un ampliamento della larghezza del Canale. Molti propongono addirittura il Nicaragua o altri Paesi atti a sostituire le funzioni storiche del famoso canale.

Tuttavia, la sua importanza, seppur ridotta, ad oggi è tornata al centro delle attenzioni americane, colpevole sarebbe l'interesse di Pechino per il passaggio famoso. La Cina sta compiendo passi in avanti per irrobustire la sua già corposa presenza economica e politica in America Latina. L'area non è in cima all'agenda geopolitica di Pechino, ma diversi paesi latinoamericani hanno aderito ufficialmente alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta), progetto geopolitico lanciato dalla Repubblica Popolare per proiettare la sua influenza ben oltre i confini nazionali (sia nell'Eufrasia che nel resto del Mondo).

Nel lungo periodo, la Cina vuole mettere radici nel “giardino di casa” degli Stati Uniti al fine di scoraggiare i loro sforzi per destabilizzare i suoi interessi in Asia-Pacifico. Washington tenta periodicamente di smentire le pretese di sovranità dell’Impero del Centro nel Mar Cinese Orientale e Meridionale conducendo operazioni di navigazione e sorvolo intorno alle isole artificiali cinesi negli arcipelaghi Paracel e Spratly. Soprattutto, gli Usa appoggiano la causa di Taiwan, che il presidente cinese Xi Jinping vorrebbe riconquistare prima del 2049, anno del centenario della fondazione della Repubblica Popolare. L’espansione delle attività diplomatiche ed economiche cinesi in America Latina non serve solo a scoraggiare gli Usa dal danneggiare i propositi regionali cinesi, ma a ridurre anche lo spazio diplomatico di Taipei. Ad oggi, solo 17 Stati riconoscono la sovranità del governo taiwanese. Nove di questi si trovano in America Latina.

Nei primi cinquant’anni dopo la sua fondazione, la Repubblica Popolare ha prestato poca attenzione all’America Latina. Del resto, la posizione di forza degli Usa sui paesi vicini era più marcata e la Cina non era ancora la potenza economica che conosciamo. Pechino ha cambiato postura all’inizio degli anni Duemila quando, a caccia di risorse naturali, ha intensificato i rapporti con i paesi latinoamericani.

Nel 2018 Panama ed El Salvador hanno chiuso ufficialmente le relazioni diplomatiche con Taiwan per aprire quelle con Pechino e aprire la porta ai suoi investimenti.

Il Centroamerica è una regione profondamente eterogenea e convulsa dal punto di vista demografico, economico e sociale. Eppure, due fattori accomunano i paesi dell'antica capitaneria generale del Guatemala (con l'aggiunta di Panamá): la posizione geografica e la rilevanza di quest'ultima nelle strategie delle potenze globali.

Negli anni '80, il geografo Carlos Granado Chaverri descrive il passaggio storico della regione dalla condizione di ponte tra le due Americhe, mantenuto fino alla conquista spagnola, a quello di collegamento tra due oceani, acquisito dopo la colonizzazione e fino ai giorni nostri. Chaverri si serve di questo storico per marcare che il Centroamerica non rileva per risorse, popolazioni o cultura, ma per la sua posizione. A maggior ragione se si guarda la regione con gli occhi a stelle e strisce. Non a caso Alfred Thayer Mahan la definì “Mediterraneo americano”.

La presenza militare Usa è piuttosto consolidata nell'area centroamericana, con installazioni ad Aruba, alle Bahamas, in Costa Rica, nel Salvador, a Cuba, in Honduras ea Porto Rico.

Il monopolio statunitense si confronta però con profondi squilibri regionali. Le guerre civili dei decenni scorsi, che produssero più di 400 mila vittime e 2 milioni di rifugiati, non hanno risolto i problemi. Gli accordi di pace degli anni Ottanta e Novanta non sono stati accompagnati da chiare trasformazioni economiche, sociali, culturali o politiche. Così i conflitti si ripresentano in nuove forme che mettono a rischio la stabilità regionale, dando opportunità di inserimento ai cinesi.

Pechino sta provando a inserirsi nel “Mediterraneo americano”, ma i fattori del predominio di Washington sono ancora tutti presenti. In uno scenario di scontro di questo tipo Panama gioca un ruolo nuovamente centrale. Gli Usa non hanno preso bene l’interesse di Pechino per l’Area. La Segreteria di Stato ha fatto sapere che “quando la Cina chiama non sempre è un buon segno per i cittadini”, definendo “predatrice” la sua iniziativa economica e invitando i paesi centroamericani a “tenere gli occhi ben aperti”.

Nonostante queste offensive commerciali, lo sbarco tecnologico cinese non avverrà a breve. Il direttore dell'area strategica di Huawei per l'America Latina ha chiarito di recente che i primi piani per le reti 5G in progetto per Messico e Centroamerica non vedranno la luce prima del 2023. Tuttavia, i paesi centroamericani potrebbero impiegare lo spauracchio dell' infiltrazione tecnologica per strappare concessioni agli Stati Uniti.

Queste richieste di concessioni potrebbero però alla lunga logorare il gigante americano; idem dicasi degli alleati degli Usa nel Vecchio Continente.  Washington potrebbe non reggere l’urto di “regalare” troppe concessioni date liberamente ai suoi vassalli europei e americani in contemporanea. La situazione potrebbe sfuggire di mano, generando come avvenne a Roma nuove “Palmire” e nuovi “Imperi delle Gallie”.

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Articolo pubblicato il 04/10/2021