La guerra fra le due Cine

Il deteriorarsi dei rapporti tra Pechino e Taipei potrebbe portare ad uno scontro epocale con Washington

Il mondo è sempre più preoccupato del fatto che Repubblica Popolare Cinese e Stati Uniti possano fare la guerra per Taiwan. 

Dal futuro dell’isola dipende la reputazione dell’impero a stelle e strisce. Molto probabilmente, l’annessione per via militare di Taiwan da parte di Pechino porrebbe fine all’egemonia statunitense. Infatti, in quel caso gli alleati e i partner di Washington perderebbero la fiducia nella protezione americana. Ciò varrebbe soprattutto per i paesi dell’Asia orientale  – Giappone, Corea del Sud, Filippine e Singapore – che si affidano agli Usa per la propria sicurezza.

Gli Usa hanno pertanto l’obiettivo strategico di impedire l’emersione di un egemone in grado di controllare l’Asia marittima, di affacciarsi compiutamente sui “suoi” mari e dunque di sfidarli.

A questo proposito, Washington utilizza la percezione della minaccia portata da Pechino agli attori locali per bloccare l’estroversione della Cina nel suo cortile marittimo. Per impedirle di fare proprio il Mediterraneo asiatico, centrato sul Mar Cinese Meridionale e giuntura tra oceani Pacifico e Indiano.

Gli Stati Uniti puntano a rinsaldare la schiera dei paesi parte del fronte anticinese in Asia nord-orientale, sud-orientale e meridionale, dal Giappone al Vietnam, dall’Australia all’India.

Attori dalle ambizioni e capacità eterogenee, accomunati dall’esigenza geopolitica di contrastare l’assertività cinese. Sono paesi che pure orbitano nella sfera d’influenza economica della Repubblica Popolare, anche per mezzo delle nuove vie della seta. Ma che non possono prescindere dalla garanzia di sicurezza statunitense a fronte della crescente intraprendenza di Pechino, che rivendica la gran parte del Mar Cinese Meridionale.

In questa partita Taiwan gioca un ruolo nevralgico, in quanto anello di congiunzione e chiave di volta dei Mari Cinesi. Da qui il crescente sostegno militare e diplomatico (pur senza riconoscere ufficialmente la Repubblica di Cina) assicurato dagli Stati Uniti a Formosa, bastione della prima catena di isole entro cui confinare la Cina.

Dalla prospettiva di Pechino, mettere le mani su Taipei consentirebbe di compiere un balzo in avanti in termini di potenza marittima e al contempo di sgonfiare qualsiasi alterità identitaria dei taiwanesi. Non a caso, l’unificazione è incardinata nella narrazione del presidente cinese Xi Jinping sul percorso di “risorgimento della nazione cinese”, ossia di ascesa al rango di superpotenza.

Invece per la Cina la questione taiwanese è strettamente legata ai concetti di integrità territoriale e di «risorgimento» della nazione, da cui dipende anche la legittimità del sistema comunista. Inoltre, l’argomento è particolarmente significativo per lo stesso presidente cinese Xi Jinping. Se perdesse Taiwan, la Repubblica Popolare si troverebbe confinata entro la «prima catena di isole», la sua ascesa terminerebbe e il controllo del Partito comunista cinese (Pcc) sul paese sarebbe in pericolo. Per non parlare naturalmente del profilo storico di Xi, che potrebbe davvero diventare l’ultimo segretario generale del Pcc.

Perciò apparentemente Washington e Pechino non possono rinunciare a Taiwan. Qualora quest’ultima si rifiutasse di diventare parte della Repubblica Popolare e se ne allontanasse sempre più, il governo cinese considererebbe l’intervento armato come l’unica soluzione. A quel punto una guerra con gli Stati Uniti sarebbe inevitabile.

A ogni modo bisogna fare chiarezza: Taiwan è imprescindibile per entrambe le potenze, ma in maniera diversa e non allo stesso grado. L’eventuale perdita di influenza sull’isola da parte di Washington sarebbe un duro colpo per l’egemonia americana, ma non comprometterebbe l’esistenza o l’integrità degli Stati Uniti. Questi ultimi resterebbero ancora per molto tempo la prima potenza al mondo, con l’unica differenza rispetto a un secolo fa di non poter più esercitare egemonia a livello globale. Inoltre, l’imprescindibilità della Repubblica di Cina (Taiwan) è un concetto chiaro soprattutto ai decisori politici e alle élite di statunitensi. Invece, la maggioranza degli americani non si interessa della questione, non conosce Taiwan e difficilmente comprende l’importanza dell’isola di Formosa per il proprio paese. Questa circostanza limiterà la risolutezza con la quale Washington vorrà difendere i taiwanesi. Perché gli Stati democratici sono frenati dall’opinione pubblica, la quale è sempre miope, attenta soprattutto agli affari locali e priva di lungimiranza rispetto allo sviluppo nazionale. 

Per Pechino le conseguenze di un’eventuale perdita di Taiwan sarebbero assai più gravi. Dalla conquista di Formosa dipendono la sopravvivenza del Partito comunista e la formazione dell’identità nazionale cinese. Quindi anche il retaggio e l’incolumità del presidente, il quale farà di tutto per prendere l’isola. Possibilmente entro il 2035.

La Cina è una potenza relativamente debole, che cova ancora al suo interno contraddizioni piuttosto complesse, tra cui quelle di matrice etnica. E anche nella stessa maggioranza han sussistono profonde divisioni, come tra Nord e Sud del paese. L’unità tra le due parti si regge solo sulla forza del Partito comunista. La principale ragione per cui quest’ultimo è stato in grado di governare la Cina per oltre settant’anni è che si tratta di un gruppo di potere fortemente coeso e legittimo, che monopolizza le più importanti risorse nazionali.

Sbaglieremmo a credere che i comunisti controllano la Repubblica Popolare soltanto con la forza. Essa è pilastro e scudo del sistema, che tuttavia si regge anche sul miglioramento del tenore di vita dei cittadini e sulla promessa di fare della Cina un paese ricco e forte. Tale proposito non può prescindere dall’unità territoriale. La qualità della vita è effettivamente migliorata dopo le riforme promosse negli anni Settanta, ma la grandezza del paese resta una delle promesse del Partito. La maggioranza della popolazione crede in esse. Ed è disposta ad aspettare che, come ha detto Xi, il Pcc collochi la Repubblica Popolare al centro dello scenario internazionale e riporti Taiwan (in un modo o nell’altro) sotto controllo cinese. In questo modo, il paese vivrebbe una terza epoca d’oro dopo i fasti delle dinastie Han (206 a.C.-220 d.C.) e Tang (618-907).

Annettere l’isola rientra nel ‘sogno cinese’ del Presidente Xi, che aspira così a superare Mao e a schivare le vendette degli epurati di Partito. Il risorgente nazionalismo taiwanese potrebbe fornire il casus belli, ma l’Esercito popolare non è ancora pronto. 

A differenza degli americani, i cinesi hanno imparato a scuola che è proprio grazie al Partito comunista che la Cina ha voltato definitivamente le spalle a quel «secolo di umiliazioni» di cui Taiwan rappresenta tuttora una traccia, un’attestazione dell’aggressione e dello smembramento territoriale del paese da parte delle potenze europee. Benché si tratti di propaganda comunista, in essa vi è un certo fondo di verità. Ciò fa sì che i cinesi abbiano particolarmente a cuore l’unità della Cina e la rinascita della nazione. Per molti la riunificazione a cavallo dello stretto non è dunque una questione accessoria. 

Da questo punto di vista, vincitori e vinti sembrerebbero già decisi. La domanda è: quando i comunisti cinesi daranno inizio al conflitto? 

Sebbene Pechino sembri non avere ancora predisposto piani di riserva o progetti dettagliati per una soluzione militare della questione taiwanese, gli eventi possono essere condizionati da fattori fuori programma. Per esempio, dei sussulti a Taipei o una riduzione del supporto americano in difesa di Taiwan potrebbero persuadere il governo cinese a cogliere l’attimo e a intervenire militarmente.

Se Pechino vuole ascendere al rango di superpotenza non può accettare a lungo di restare confinata da Washington entro la «prima catena di isole». Gli Stati Uniti stanno consolidando l’accerchiamento strategico della Repubblica Popolare. Rafforzano la presenza militare in Giappone e Corea del Sud, intensificano la cooperazione con Taiwan e quella con i membri del Dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quad, che comprende anche Giappone, Australia e India) e schierano una forza deterrente nel Pacifico.

Per uscire da questa situazione e rispondere alle mosse dell’avversario, Pechino sarà costretta a forzare la «prima catena di isole», di cui Taiwan è l’anello più forte. Quando il rafforzamento della cooperazione militare tra Washington e Taipei oltrepasserà una delle linee rosse stabilite da Pechino, l’Esercito popolare di liberazione si vedrà costretto a muovere guerra contro Taiwan. Ciò potrebbe accadere qualora gli Usa stanziassero soldati sull’isola, consentissero a quest’ultima di sviluppare armamenti offensivi in grado di colpire il continente o si servissero di porti e isole del Pacifico controllati da Taipei come basi per l’esercito americano.

Di una cosa si può star certi: Pechino terrà l’isola sotto un controllo sempre più serrato. Il momento della resa dei conti tra le due sponde dello stretto è sempre più vicino.

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Articolo pubblicato il 05/11/2021