Erotismo e disabilità. Una realtà che suscita ancora preconcetti e malintesi

Un breve concentrato su un vasto argomento che nel nostro Paese richiede un salto di mentalità

Chi soffre di insonnia e indaga mollemente tra i programmi tivù di una certa ora, talvolta s’imbatte in un che d’interessante, un tema poco noto, tanto reale e importante: la sessualità e la carica affettiva in persone diversamente abili. È stato un servizio intrigante per me, portatore di handicap da quasi 35 anni, buon conoscitore della materia.

Il servizio descriveva con acume, sensibilità e pertinenza, il ruolo svolto da associazioni di volontariato impegnate nel colmare il vuoto emotivo e fisico in cui, molte volte, sono costretti alcuni soggetti afflitti da varie forme di disabilità. Figure già duramente emarginate dal destino, spesso dalla società.

Quello dell’handicap è un mondo molto variegato. Per molti che non sono in grado di cavarsela da sé, l’erotismo, l’affetto e l’accettazione sono in cima alla scala dei desideri. La figura dell’“assistente sessuale” consente loro di colmare almeno in parte anche quel lato emotivo della vita. I rischi di un’infatuazione sono reali e presenti. Rinunciarvi però, ne sminuisce il senso.

D’altra parte, una volta accantonati i modelli estetici che delimitano i canoni della bellezza fisica, in certe persone normodotate che hanno un casuale incontro con alcuni disabili, possono emergere emozioni rare ed ancestrali, emancipate dai regolamenti dell’estetica “classica”; imprevedibili, e propulsive.

Taluni pregiudizi sono tipici di certe aree geografiche influenzate da modelli di pensiero diversi. Il Nord Europa, protestante e calvinista, nei riguardi del sesso ha punti di vista ben diversi dalle regioni ispirate alla morale cattolica. Lo constatai di persona quando, nel 1986, nel pieno della mia vita affettiva e lavorativa, restai paralizzato in un incidente causato da una signora distratta.

Dopo essere stato rianimato da bravi medici del CTO di Torino, fui trasferito con un volo militare in una clinica sperimentale nel centro della Francia. Ero ancora confuso e molto debilitato, ma appena giunto in quel padiglione ospedaliero, mi resi conto che tutto intorno a me ruotava verso un recupero tendente ad un rientro nella società, inteso nella sua più ampia normalità, dignitosa, lavorativa ed emancipata. Handicap incluso.

Esperienza personale

La sessualità è una primaria ossessione per chi è colpito da paralisi traumatica. Io non ho fatto eccezione. In quella clinica, ogni approccio alla problematica è stato favorito con complicità. Non mi soffermo su disinvolte esperienze ospedaliere, l’aspetto più evoluto fu il lasciarmi solo, ben oltre la mezzanotte nella camera, con delle care amiche che mi vennero a trovare da Torino.

Essere accompagnato in un vicino albergo, dove trascorsi il fine settimana assieme a una compagna con cui condivisi, tra gioia e commozione, la prima notte d’amore della mia nuova vita, fu il picco della complicità medica. Tornato in ospedale ero un uomo nuovo. Si vedeva, fu un bene per me e tanti altri. Poi fu scambio di informazioni con dottori e terapisti.

Ritornai in Italia nell’88, paralizzato ma rinfrancato e sicuro di me, tanto che fu quasi facile ricostruire una vita ricca e completa di affetti, dignità, lavoro e consensi. Molto di questo lo devo a operatori dalle ampie vedute, e dove il lavoro sulle funzioni perdute ha riguardato anche la sfera sessuale e affettiva, restituendo sicurezza in me quanto in altri pazienti, con cui condivido una fratellanza immortale nel tempo.

Breve resoconto di un’esperienza personale su un’incessante opera di multi-terapia impossibile da comprimere in poche righe, intrapresa con un solo obbiettivo, il massimo recupero senza censure conformiste.  

Il documentario tedesco

Ecco perché, quando nel cuore della notte, mi sono imbattuto in un servizio che, senza bavagli né preconcetti, ha illustrato l’attività di associazioni di volontariato specializzate in supporto affettivo e sessuale a persone afflitte da invalidità, il mio interesse e i miei ricordi sono schizzati alle stelle.

Storie di riabilitazione nelle latitudini nordiche, narrate da singoli, garbati soggetti afflitti da varie forme invalidanti, consapevoli dei propri limiti fisici ed estetici, quindi illustrate dagli operatori, con un tono consapevole e gioioso che ha reso il senso del servizio del tutto normale.

Le richieste di aiuto giungono in videochiamata e quindi, indirizzate alle figure addette alla sesso-terapia più adatte per la persona richiedente. Sovente a domicilio, per lo più allettati o su sedia a rotelle. Sono previste visite anche in ambito ospedaliero.

 

Carezze, baci e nudità sono stati illustrati dagli addetti, commentando il senso di contribuire ad elevare la qualità di vite messe all’angolo da un destino esigente, forse casuale o prestabilito. In cambio: felicità e gratitudine verso chi si propone con una vicinanza fisica in un modo più reale e spontaneo, diverso da un rapporto prezzolato; in Italia poi, ancora considerato un reato.

Un’occhiata nel mondo

In realtà, in Italia, la sesso-terapia era stata caldeggiata da certo Max Ulivieri, afflitto da gravi disabilità. La petizione aveva raccolto 5000 firme nel 2016, molte da persone prive di handicap. Per quanto è dato sapere, in ambito romano, vi sono state alcune iniziative personali, ma senza regolamentazione.

In Spagna l’associazione Tandem team, formata nel 2013, si prende cura delle esigenze dei disabili mettendo in contatto volontari e utenti. In Svizzera, l’assistente sessuale è una figura assistenzialista professionale. In Belgio invece è una assistenza non istituzionale, ma accettata, concede un’ampia visione della sessualità. In Olanda, è a carico del servizio sanitario.

Un aspetto inerente alla scala affettiva della disabilità, e che confermo per esperienza personale, è una forma di attrazione-desiderio che certi disabili suscitano in soggetti normodotati, dando vita a impulsi e relazioni anche intense, talvolta profonde e durature.

È definita “abasiofilia” da qualche strizzacervelli che vuole catalogare sempre tutto, invece, a mio parere è terribile l’attribuzione a una categoria di persone, poiché sono numerosi i casi di coppie anche felicemente sposate, composte da un soggetto disabile & uno normodotato..

In Italia, a 34 anni di distanza dalla mia esperienza francese, l’argomento è ancora fonte di dibattito. È avanti l’associazione CON-TE-STO, che organizza corsi su sessualità-disabilità, gestiti da psicologi e sessuologi. Altre iniziative sono nate a Bologna, ulteriori demagogie non mancano, tra cui, quella della neuropata Anna Senatore. Il riconoscimento lavorativo della figura di “lovegiver” per soggetti disabili è argomento di vecchia data. L’applicazione è in ritardo.

Il tema della sessualità è trattato nel film “The session” che racconta come un poliomielitico scopra la pienezza del vivere con la complicità di una “sex terapist”. Una figura diffusa nei paesi del Nord, che a seguito dei corsi di preparazione medica, etica e psicologica, tendente al benessere erotico-affettivo, si occupa delle necessità basiche di quei soggetti impossibilitati a prendersi cura di sé.

In conclusione

Incompetenza e pregiudizio sono sempre d’attualità. Sintomatico un pezzo dell’ottobre 2015, de: “La gazzetta del mezzogiorno”. Titolo: “ma le persone con disabilità fanno l’amore?”. Ogni commento è superfluo. Sarebbe lungo poi, inoltrarsi tra chiacchiere e convegni sulle relazioni tra o con disabili. Spesso i luminari deragliano e le istituzioni indugiano, mentre invece le iniziative spontanee sono in ascesa e le persone comuni che reputano normale il rapporto con un disabile sono sempre di più.

Stiamo vivendo un’era in cui la “diversità” è diventata moda. Il movimento LGBT sventola la sua bandiera ma il decreto ZAN rimane al palo, portatore di un progetto che ha integrato nel carrozzone anche un’ipotetica fobia nei confronti della disabilità. I pregiudizi effettivi sono altri, bisogna tirarle in ballo, ma prima conoscerne la gravosa storia.

Occorre svincolare da ogni immaginario un rapporto erotico-affettivo, che è più che un diritto per dolorose realtà di vite lacerate. Situazioni nelle quali, sovente i più forti e propositivi, risolvono da loro le questioni più scottanti. I più bisognosi di aiuto si chiudono in se stessi. Forse è giunta l’ora di un “sesso di cittadinanza?”

Pensieri scaturiti nel cuore della notte, seguendo un programma tv esplicito e senza veli, sull’aiuto fisico ed emotivo destinato con naturalezza a soggetti duramente segnati, anche afflitti da problemi mentali, ma non per questo neutri ed asessuati.

Un servizio che meriterebbe la prima serata, utile per organico ospedaliero, pazienti e loro parenti, ma anche dedicato alla gente comune che queste cose non sa. Un rapporto dettagliato, delicato, toccante ed evoluto che mi ha riportato indietro, a quando solo un bacio sembrava un dono strappato a Dio, e che invece è progredito pian piano verso una resurrezione che mi portò nuovamente a sussurrare: “amore mio”.

 

Carlo Mariano Sartoris

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Articolo pubblicato il 09/11/2021