Sempre più lontane le antiche tradizioni sostituite da Natale, Santo dei consumatori
"La malinconia erano i suoni di una notte d'inverno" (Virginia Woolf)
Come ogni anno, a partire dall’equinozio d’inverno, il mondo si mobilita per far festa. Dalle nostre parti il 25 dicembre, giorno di Natale, si celebra Gesù nato nella stalla di Betlemme. Stesso lasso di celebrità per il rubizzo Babbo Natale, che deve le sue origini a quel San Nicola vescovo di Myra che riportò in vita tre bambini, San protettore di mezzo mondo boreale, patrono della Russia e di Amsterdam.
In Olanda ha preso il nome “Santa Claus”, ma già tra i popoli germanici si narrava che Odino, barbuto come San Nicola, nei giorni dello Yule si concedesse una battuta di caccia e al suo ritorno posasse doni negli stivali dei bambini, lasciati vicino al caminetto.
Paese che vai Babbo Natale che trovi
Più a nord, tra i ghiacci e i vulcani d’Islanda, in quegli stessi giorni i bambini lasciavano gli stivali sul bordo della finestra per via di un giro di offerte e di doni con ben 13 Babbi Natale dai nomi impronunciabili.
Erano gli “Jòlasveinar”, folletti che vivevano vicino alle acque calde del lago di Niva (chissà dov’è). Ciascun folletto aveva gusti diversi, perciò, i bambini più fortunati riuscivano a spuntare 13 doni diversi. Folletti burloni e anche severi perché facevano scherzi e se i marmocchi non erano stati buoni, negli stivali trovavano soltanto patate.
L’aria di festa andava per le lunghe, per molti popoli anche oltre il 6 gennaio, giorno dell’Epifania che in area cristiana corrisponde alla rivelazione di Gesù e alla venuta dei re Magi con i loro regali preziosi.
Ogni cerimonia era un rito di gratitudine celebrato con scambio di beni simbolici e modesti, in un momento di appartenenza alla comunità che riuniva in rituali e libagioni anche la gente più umile.
L’odierno Babbo Natale deriva da quel Santa Claus olandese che partiva dalla Finlandia con una squadriglia di renne volanti (altro che i re Magi col cammello!). Una volta sbarcato negli USA il paffuto Santa Claus, ha indossato l’attuale divisa bianca e rossa adottata in tutto il mondo da un esercito di controfigure, superstar di ogni emporio, e non per caso.
Natale, Santo dei consumatori
Babbo Jankee ha convertito una festa evocativa e spirituale in una kermesse consumistica, relegandola alla santificazione della corsa agli acquisti per grandi e piccini. Doni spesso futili e costosi, privi di contenuti storici, iconici e devoti, collegati ai ritmi della natura e ai dogmi della fede.
Di per sé però, la cosa non è peccato, anzi. Elettronica e dolciumi, crociere e maglioni, profumi e balocchi non hanno controindicazioni. Ma l’umanità di questo tempo sta attraversando un periodo duro e l’aria di festa non soffia per tutti.
La vecchia Europa alle prese con la pandemia, già declassata potenza produttiva ed economica, ha visto assottigliarsi l’allegro fiume d’acquisto di una classe media ridimensionata e prudente.
Senza una sovranità comune, molti Stati, indagati dalle agenzie di rating a stelle e strisce, sono stati richiamati a far di conto dagli “Oscuri Creditori Mondiali”. Molti paesi dell’UE, nel panico dei loro debiti ipotetici, sono stati svenduti al più lesto acquirente. C’è decadenza nell’aria.
Ma cosa c’entra il Natale in tutto questo?
Da Bruxelles è arrivata un’avvisaglia: abolire “buon Natale!” È il primo spot per scardinare quelle genesi spirituali tendenti a una mistica Osservanza che spende poco. Sebbene il barile sia quasi vuoto, su tanti conti correnti giace ancora un tot di risparmi ai quali attingere. Prima o poi il sistema andrà al collasso, ma il consumismo non si può fermare, malgrado l’effetto domino tra disoccupazione e povertà crescente.
L’Italia non è messa bene. Nonostante i conforti del SuperMario a trazione europea, le imprese chiudono e a dispetto degli ammortizzatori sociali, molti nuclei arrivano a fine mese solo grazie alle pensioni dei nonni.
50.000 italiani senza fissa dimora dormono in un centro d’accoglienza o in un cartone sotto i portici. Uomini ombra, ex lavoratori che cercano un pasto alla Caritas o dentro un cassonetto. Sguardi senza più dignità non avranno né doni né rituali americani in questi giorni di festa. Santa Claus ne ha smarrito il recapito tra le luci ipnotiche della città.
Le tristi festività dei poveri, degli emarginati, delle anime sole
La nuova, allegra famiglia allargata, non ha più bastoni d’appoggio per chi arriva alla terza età. Patriarchi e grigie consorti che hanno faticato una vita, spesso, tristi, esiliati e soli festeggiano gli ultimi Natali con i pensieri tra i ricordi dei bei tempi andati, più semplici e felici, quando quel due camere e cucina comprato a fatica era ancora un brulicare di voci e di vita.
Scorrono volti sugli iPhone cinesi; sono i figli dispersi, indaffarati, lontani, oppure chissà, che nel giorno della Natalità, salutano, sorridono dai campi da sci, da un’altra casa o da dove, chissà, mentre sullo sfondo, tra troppi giochi plastici fanno un lesto “ciao” ai nonni gli evoluti nipotini.
Sfortunati reduci di questa civile società, sono gli anziani parcheggiati nelle Sante case di cura o di riposo. Vite vissute con orgoglio, con fatica, con laboriosità. Vite esiliate, e tanto basta, non importa il perché. Arriveranno a Natale, il più delle volte dimenticate e sole, con uno sguardo alla tv dove scorrono gli spot a base di pandoro e di felicità. Che tristezza! Per fortuna, tra poco la mensa della struttura offrirà un menu speciale e poi, la fetta di panettone a tutti gli ospiti riuniti sulla stessa barca che non affonderà. Non fino a stasera.
All’ultimo dell’anno si gioca a tombola, qualcuno si impegna, qualcuno sorride, ma gli occhi sono persi tra gli echi lontani di quella festa in casa, tanti anni fa. L’infermiera di turno capisce, sorride con affetto, è un gesto d’amore. Esce un altro numero:… “77! Le gambe della donna!”… Cinquina!
La bellezza di non dimenticare l’essenza di queste festività
“A Natale, a Natale si può dare di più!” (Sibillina pubblicità Bauli)
E allora, per chi può, per chi dovrebbe proprio farlo, per chi non ci pensa più e per chi non ha niente di più bello da fare, in questo tempo di festività così vuoto per una certa fetta di questa nostra società progredita, sia concesso un consiglio in calce di queste riflessioni, forse non esenti da qualche esperienza personale.
Ricordiamoci di quell’amico, di quel parente neppure tanto lontano, di qualcuno che non se lo aspetta. Andiamo oltre una lesta telefonata, è più quel che ruba, che quel che resta. Si può dare di più, e questa è la bellezza di una identità cristiana.
Solstizio d'Inverno, appuntamento dell'uomo con festività sacre e pagane che sono alla base di una cultura che ha costruito la meglio storia dell’umanità. Un’occasione per uno stop di riflessione sulle tante sfumature di quella parola “amare” tramandata fino a noi, e che corriamo il rischio di dimenticare… Una dozzina di giorni in cui dobbiamo cogliere il buon momento per un gesto che ci farà stare bene e non si può comprare. A volte basta regalare un battito in più che sale dal cuore.
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Articolo pubblicato il 25/12/2021