In ricordo di Francesco Forte

L’uomo, il politico, lo studioso.

Ho appreso con profonda amarezza della morte di Francesco Forte.

Avevo conosciuto Forte durante gli anni del dottorato di ricerca in storia del pensiero politico che ho svolto nel triennio 2006-‘08 presso l’Università degli Studi di Torino. Sotto la guida dei professori Gian Mario Bravo (1934-2020) e Manuela Ceretta avevo deciso di occuparmi di quel filone del pensiero politico che prende il nome di “teoria delle élites” (che, in breve, ritiene che a detenere il potere in ogni società sia una minoranza, di contro a una maggioranza che ne risulta priva), bensì non tanto dei più noti autori (già approfonditi dalla storiografia secondaria), ma di alcuni studiosi italiani di fine Ottocento-inizi Novecento che si erano occupati di economia e di scienza delle finanze quali strumenti di dominio politico.

Nondimeno, si trattava di un argomento solo in parte filosofico-politologico e in larga misura tecnico-economico, così che necessitavo dell’ausilio di un qualche docente di scienza delle finanze che mi facesse da guida e mentore. Fu allora che Bravo mi indirizzò verso Roberto Marchionatti – ordinario di Economia politica presso l’Università di Torino e attuale vice-presidente del Comitato scientifico della Fondazione Luigi Einaudi – il quale, a sua volta, mi suggerì Francesco Forte. Mi ricordo ancora, quasi fosse ieri, il significato delle parole di Marchionatti che mi indicavano in Forte come il più preparato studioso di scienze delle finanze in Italia.

Mi recai dunque da Forte e immediatamente capii (non che ve ne fosse bisogno perché Marchionatti è uomo di grande intelligenza e non ho mai dubitato dei suoi suggerimenti) che avesse ragione: Forte – che era nato a Busto Arsizio (VA) l’11 febbraio 1929 – sapeva di tutto, e di tutto trattava con estrema lucidità e precisione. Era qualcosa di sorprendente: in questi anni di collaborazione, più volte mi sono domandato come facesse sia a tenere ritmi di lavoro tanto impegnativi (basti pensare alle decine di pubblicazioni scientifiche a sua firma, apprezzate in Italia e nel mondo – che gli valsero di diventare assistente universitario di Ezio Vanoni a Milano, quindi nel 1961 di essere chiamato dall'Università di Torino a ricoprire la cattedra lasciata da Luigi Einaudi in scienza delle finanze –, oppure dal fatto che dal 1971 al 1975 ricoprì la carica di vicepresidente dell'ENI, per essere poi eletto – sotto l’egida del partito socialista italiano – deputato dal 1979 al 1987 e senatore dal 1987 al 1994, oltreché divenire ministro delle finanze del governo presieduto da Amintore Fanfani tra il dicembre del 1982 e l’agosto 1983 e ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie del governo Craxi dall’agosto 1983 al maggio del 1985, allorché si dimise per assumere l’incarico di sottosegretario delegato per gli interventi straordinari nel Terzo Mondo e contro la fame nel mondo; carica che rivestì anche nel secondo governo Craxi) sia a conoscere di ambiti scientifici vasti come l’economia, la sociologia, la storia, la filosofia e il pensiero politico e, naturalmente, la scienza delle finanze.

Un giorno sua moglie mi disse: “La nostra casa è insonorizzata”, tanti i libri – sicuramente migliaia – erano presenti nella loro abitazione.

Un ulteriore aspetto mi ha poi sempre colpito di Forte (e che, insieme agli altri, mi porterò nel cuore): la sua sincerità e franchezza sia nei complimenti sia nel formulare eventuali critiche. A Forte ho fatto leggere diverse mie pubblicazioni accademiche e, grazie a Forte, ho collaborato con il secondo volume del «Dizionario del Liberalismo», apparso nel 2015 per Rubettino, redigendo tre voci. Se i miei scritti incontravano il suo apprezzamento, non mancava di formularmi encomio; se invece evidenziava qualche criticità non esitava a sottolinearmele, così che avessi il tempo di correggermi avanti la stampa.

In altri termini, benché non fossi un suo diretto allievo, non ha mai esitato (al pari di un altro grande uomo e studioso, il compianto Giorgio Sola) dall’essere per me un maestro.

Intellettuale fine – si pensi che Forte, oltre ad aver insegnato a Torino, fu professore all'Università La Sapienza di Roma e, quindi, a contratto, presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, nonché, nel biennio 1984-’85, presidente dell’International Atlantic Economic Society e nel 1985 dell’associazione Politeia, oltreché nel 1987 presidente onorario dell’International Institute of Public Finance e sindaco di Bormio dal 1988 al 1991 – Forte, per chi ha avuto l’onere di conoscerlo (magari anche attraverso la sua attività di editorialista, tra gli altri, de L'Espresso, Panorama, La Stampa, Il Giorno, il Giornale, Il Sole-24 Ore, Italia Oggi, Libero, Il Foglio), era un esimio divulgatore e, da lui, ho imparato tanti aneddoti dell’Italia della c.d. “prima repubblica”, di Craxi, di Andreotti, di Martelli, delle ambizioni e delle problematiche dell’Eni, dei dibattiti, delle preoccupazioni e degli entusiasmi che animavano quell’epoca e la rispettiva classe dirigente.

Forte aveva una grande passione per la politica, nel suo significato etimologico del termine (derivante dall’aggettivo greco di polis, ovvero politikós), ossia di tutto ciò che si riferisce alla città, quindi di pubblico, di collettivo.

Ognuno ha le sue legittime simpatie politiche, ci mancherebbe. Ma se ripenso allo spessore culturale di Forte e poi accendo la televisione e ascolto la banalità e la mediocrità di certi insulsi e arruffati interventi della classe politica attuale, mi viene un nodo alla gola e mi sento stordito, svuotato, come di chi, dietro alle nuvole, fatica a intravvedere il sole.

Caro Francesco, ci mancherai.

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Articolo pubblicato il 03/01/2022