Complottista sarai tu.

Storie di masse e oligarchie

Ultimamente sembra che appena qualcuno provi a sviluppare una critica a qualche potentato, nazionale o internazionale, subito venga etichettato alla stregua di “complottista”, con il risultato di far perdere autorevolezza a chi quella critica esprime e svilirne la credibilità.

Infatti, il termine complottista – al pari di “complotto” – richiama alla memoria l’idea di doppi giochi e trame oscure, di intrighi di palazzo, di infime bassezze e corruttele. Di conseguenza, di un “complottista” non ci si può fidare: è un soggetto spregevole, capace di barare e piegare a sé le regole pur di vincere. È un vigliacco, ma anche un Caio, un mentitore.

Eppure, in ambito politologico, il concetto di “complottista” – almeno nella declinazione che taluni giornalisti ne danno – non ha dimora scientifica. Pur consapevole che cospirazioni e congiure sempre siano esistite ed esisteranno, la scienza politica ragiona seguendo due differenti direttici: la prima è la quantità di potere che un soggetto – ma soprattutto un gruppo di soggetti (talora definito, a seconda degli autori, “classe sociale”, “ceto”, “oligarchia”, “aristocrazia”, “élites”, etc.) – possiede; il secondo è come quel potere venga conquistato, perseguito e mantenuto, ossia se attraverso metodi liberali e democratici, oppure con mezzi meschini, illeciti e con ricorso alla violenza, al sopruso, alla menzogna.

Facendo uso del primo criterio, in ogni contesto umano vengono individuati gruppi di persone che possiedono maggiore potere – che rappresentano una minoranza della società (sempre più ristretta al crescere della quota di potere posseduto) – e masse che ne sono prive in tutto o in parte. Il fattore di potere (e quindi di dominio) può essere di tipo economico, politico o culturale e mutare a seconda dei secoli (nel Medioevo prevaleva il potere religioso – che è un sottotipo del culturale –, in quelli moderni il denaro).

Inoltre, talora i fattori di dominio si accumulano fra loro (ad esempio, chi è ricco – se intende farlo e ne ha le capacità – sarà maggiormente facilitato nel raggiungere livelli di formazione professionale che richiedono anni d’istruzione e di tirocinio), mentre talvolta no; a volte collaborare, altre entrare in contrasto (come l’attuale élite capitalistica, sostanzialmente atea e internazionalista che assume il volto anonimo – ma non per questo politicamente e socialmente meno neutrale – delle grandi multinazionali, che sta progressivamente distruggendo i valori del cristianesimo).

Secondo la lettura che focalizza l’attenzione sulle modalità di conquista e di gestione del dominio, l’oligarchia al potere può essere – alternativamente – rispettosa delle regole liberali e dei diritti dei cittadini, oppure spietata, liberticida, pronta a umiliare e a svilire le minoranze dissenzienti (naturalmente sempre a nome di qualche principio che, agli occhi dei più, viene spacciato per benessere collettivo). Difatti, benché storicamente nessuna struttura di potere abbia mai omesso di ricorrere a forme di coercizione e di sopruso, oltreché di propaganda elettorale o a modalità economico-clientelari, un conto è un Giovanni Giolitti che concede il diritto di sciopero alle masse operaie di inizi Novecento e un altro è un Adolf Hitler che stermina gli ebrei nei campi di concentramento.

Tuttavia, a prescindere dalle differenti letture che ogni autore ritiene di dare, in ambito politologico è pacificamente riconosciuto che ogni minoranza al potere agisca con intenti egoistici nella primaria finalità di conservare la propria posizione di preminenza sociale e, con essa, i privilegi che la medesima comporta. Se così non fosse, quella oligarchia decadrebbe e verrebbe sostituita da un’altra che ne prenderebbe presto il posto. Sono (tra le tante) le stimate e acute ricerche sociologico-politiche dell’economista italiano Vilfredo Pareto (1848-1923) ad insegnarcelo.

Sussistendo pertanto una minoranza che domina (con agire razionale) e una maggioranza che viene dominata, ne nasce – o, meglio, teoricamente ne potrebbe nascere – un conflitto, che Karl Marx (1818-1883) definisce “lotta tra classi”. Una contrapposizione, tuttavia, che per diventare effettiva, necessita del fatto che le masse acquistino consapevolezza (Marx ricorre al concetto di “coscienza di classe”) della propria condizione e dello sfruttamento attuato dalle oligarchie al potere. Se non emerge tale consapevolezza, non c’è visione e, se non c’è visione, non c’è emancipazione né miglioramento sociale.

Ma se così è, allora pressoché l’intero complesso dei grandi pensatori politici può definirsi “complottista”, considerato che la storia del pensiero politico è una lunga sequela di critiche (spesso acutissime e spietate) al potere, volte ad evidenziarne gli abusi e a prevenire – almeno negli auspici – che i ceti dirigenti travalichino i limiti del tollerabile, dettando regole intese ad un’equilibrata e civile convivenza.

Il bandolo della matassa appare dunque altro ed è ravvisabile nella serietà o meno della narrazione esposta dall’ipotetico “complottista”. Se un capo di governo, una multinazionale, un gruppo di pressione mirano – come purtroppo talvolta è accaduto – a facili guadagni (forse qualcuno si è dimenticato con eccessiva faciloneria di come l’inchiesta giudiziaria di “mani pulite” abbia fatto emergere, a suon di condanne penali, come quote non marginali di politici italiani percepissero tangenti in cambio di indebiti favori) o perseguono posizioni di dominio tramite strumenti contrari alla Costituzione, allora chi ha il coraggio di denunciare il “complotto” è meritevole di plauso e di stima sociale perché una democrazia che pretenda di essere tale si regge solo se è in grado di garantire un libero e forte pensiero critico.

Viceversa chi falsifica i dati e i fatti, inventa per il gusto di denigrare o di vincere sull’avversario con mezzi scorretti escogitando “complotti immaginari” (o, viceversa, ben consapevole dell’esistenza del complotto, pur di coprirne il gioco, insulti o screditi chi quel complotto ha la forza di segnalare), allora è un cattivo maestro, da abiurare e perseguire per legge se commette reato.

Quindi, anziché immediatamente gettare l’infamante croce del “complottista” (come sembra che a qualcuno piaccia fare), sarebbe opportuno approfondire in maniera più dettagliata quell’argomentazione per verificarne l’effettività. È un’operazione che comporta tempo, energie e soprattutto buona fede. Però premia perché la storia avrà i suoi giri, ma le menzogne – come è risaputo – hanno sempre le gambe corte.

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Articolo pubblicato il 22/01/2022