Problemi della Sanità che vengono ignorati

Troppe resistenze per una riforma veramente efficiente

La pandemia di Sars-CoV-2, come gli episodi hanno dimostrato, ha messo sotto stress il sistema sanitario regionale e nazionale, facendo emergere in modo clamoroso le debolezze e le criticità del sistema stesso.

È pur vero che la “pandemia da Sars-CoV-2”, è stata e continua ad essere un evento eccezionale che avrebbe probabilmente travolto qualsiasi sistema sanitario efficiente e che non sarebbe pensabile di progettare il futuro della sanità tarato esclusivamente sugli aspetti estremi emergenziali di questo evento storico. La terribile esperienza vissuta sul campo, in ogni caso, dovrebbe aver sensibilizzato i responsabili sanitari per interventi adeguati e idonei ad affrontare l’impatto di eventuali pandemie. Almeno ce lo auguriamo!

Il Consiglio della Regione Piemonte ha approvato in data 15 marzo 2022 il disegno di legge n. 188 relativo all’istituzione dell’“Azienda Zero” che, come riporta “Piemonte Informa”, illustra quanto segue:

“… si dovrà occupare di ordinare al meglio le Asl e fornire all'Assessorato alla Sanità una struttura in grado di gestire la complessità di un sistema messo a dura prova dalla pandemia. La costituzione della nuova struttura è stata decisa dal Consiglio regionale con l’approvazione di una proposta di legge fortemente voluta dalla Giunta…”.

Inoltre, l’assessore alla Sanità Luigi Genesio Icardi precisa che “… con l’Azienda Zero centriamo un obiettivo strategico che darà maggior efficacia, efficienza, organizzazione e controllo alla sanità del Piemonte. Mettiamo a fattor comune quelle competenze di specializzazione di tipo amministrativo e tecnico che consentono di conseguire risparmi e al contempo di migliorare la trasparenza, l’adeguatezza, la qualità e l’equità delle prestazioni che vengono rese ai cittadini, venendo incontro alle annose necessità espresse dalle stesse Aziende sanitarie locali. Un modello di efficientamento già collaudato con successo in numerose altre Regioni, tra cui Veneto, Liguria e Toscana …”.

Evidenziamo che nella realizzazione dell’Azienda Zero sarebbero coinvolti molti attori pubblici e privati attraverso un tavolo di confronto (Sanità regionale, Confindustria Piemonte Commissione Sanità e Unione Industriale di Torino Gruppo Sanità) in quanto il principio informatore dovrebbe essere la “collaborazione sinergica” tra questi enti diversi con obiettivi, ufficialmente comuni, ma in realtà solo parzialmente coincidenti.

Infatti, nella realtà attuale, il comparto privato sta inesorabilmente sostituendosi a quello pubblico, creando una situazione ibrida che ha poco di “sinergico”, ma che pone una preoccupante ipoteca sulla priorità del servizio pubblico.

Tuttavia, mentre le istituzioni e le organizzazioni imprenditoriali private si confrontano per realizzare l’obiettivo “Azienda Zero”, il popolo dell’utenza, che avrebbe di diritto tante cose da dire e da pretendere, sembra per ora ignorato o peggio considerato inesistente. In pratica l’utenza, la vera figura interessata alla funzionalità e fruibilità di questo progetto, resta per ora assente.

Eppure, dovrebbe essere esattamente il contrario: prima si dovrebbe consultare l’utenza e poi eventualmente procedere alla realizzazione, tenuto conto che è l’utenza che può evidenziare dal vivo le insufficienze e le priorità non rispettate, pagate sulla propria pelle.

Sembra pertanto doveroso, in questo particolare contesto, evidenziare questo “cahier de doleance” e riproporlo ai lettori per un doveroso coinvolgimento e alla “politica” al fine di colmare un silenzio inopportuno e ingiustificato. Precisiamo che tutto questo vuole essere un’onesta “segnalazione”, senza la pretesa di possedere a priori la verità assoluta, rispetto alla realtà che osserviamo.

 

1) - Liste d’attesa: è la prima esigenza e sicuramente la più strategica da risolvere per una società civile, in termini di edilizia sanitaria e di organici medici e paramedici. In ogni caso questo complesso problema è anche frutto di una contraddizione che si può riassumere in primis nel “binomio” medico con attività pubblica ospedaliera e possibilità per lo stesso di operare contemporaneamente nel privato.

Se tutto questo è legale per l’attuale ordinamento legislativo, resta difficile da comprendere nel sentire comune. Infatti, come si può giustificare che lo stesso medico - che non può stabilire una data utile per un intervento sanitario (chirurgico, clinico o diagnostico) in quanto vincolato da una lunghissima lista d’attesa - possa trovare in brevissimo tempo la soluzione in regime privato?

Una situazione simile comporta la discriminazione della stragrande maggioranza dell’utenza, cioè la parte che ha minori disponibilità economiche o che ne è priva. Infatti, è appunto la stragrande maggioranza dell’utenza (lavoratori dipendenti pubblici o privati, pensionati, ecc.) che costituisce quella quota di contribuenti a reddito fisso che pagano le tasse, stabilite dalle leggi, e che si pone la legittima domanda del perché debba contribuire a un servizio sanitario quando questo si dimostra latitante o addirittura inesistente.

Il problema è serio e di non facile soluzione, tenendo presente che questa “realtà consolidata”, per essere modificata, richiede l’intervento legislativo del Parlamento nazionale, sempre attento e sovente condizionato dalla potente lobby medica e dei gruppi finanziari che rappresentano la sanità privata.

La classe medica oppone resistenza alla realizzazione di una rigorosa divisione tra l’esercizio della professione esclusivamente ospedaliera da quella privata. Questa divisione resta una chimera, da tempo irrealizzabile. È innegabile il peso e il condizionamento “antropologico” che la classe medica riveste nell’imaginario collettivo della società civile e nella politica.

Conseguentemente questo “unicum”, cioè il fatto che il medico può svolgere attività ospedaliera e contemporaneamente anche quella privata, che non trova riscontro in nessun’altra categoria professionale in quanto prassi illegale, contribuisce sostanzialmente a “ipotecare” in modo significativo il successo di ogni altra riforma strutturale.

In fondo, l’attività medica privata ha motivo di esistere se si è creata una consistente domanda “congelata” nel comparto pubblico. Detto in forma più esplicita, se il comparto sanitario pubblico viene portato alla congestione funzionale.

Senza questa realtà anomala e ingiustificata, l’attività privata sarebbe significativamente inconsistente.

 

2)- Il ruolo della sanità privata

Nel panorama italiano, alcune regioni del Nord hanno avuto una ridottissima presenza della sanità ospedaliera privata, evidenziando un’alta capacità di soddisfare le esigenze terapeutiche delle strutture ospedaliere pubbliche.

La situazione si ribalta clamorosamente nell’Italia meridionale.

La sanità privata pertanto prospera dove è carente la sanità pubblica e dove la prassi del “binomio” di cui sopra ha ampio spazio di manovra e di complicità politiche. In ogni caso la realtà ospedaliera privata non risolve il problema di quella parte del Paese, dove assistiamo al penoso “turismo sanitario” verso le regioni del Centro Nord d’Italia.

In sintesi, si può affermare che la sanità privata può svolgere un servizio utile, nel contesto sociale, quando svolge un’attività di concorrenza in termini di funzionalità e di costi delle prestazioni sanitarie.

 

3)- Umanizzazione delle strutture di ricovero ospedaliere.

Molte strutture attuali ospedaliere sono obsolete e sovente il trauma che il paziente subisce nel ricovero non fa altro che peggiorare la situazione inziale.

È evidente che investire per migliorare strutture datate e distanti dai parametri richiesti dalla normativa ufficiale, può rivelarsi uno spreco di risorse.

Conseguentemente si tratta di accelerare l’attuazione dei progetti in fieri, se seriamente orientatati a questa finalità.

 

4)- Aggiornamento della strumentazione interventistica e diagnostica in tutte le strutture sanitarie regionali.

È questa un’esigenza funzionale per il raggiungimento di ogni obiettivo terapeutico.

 

5)- Creare un’assistenza adeguata post ospedaliera

Una sfida che sarebbe determinate per garantire un recupero e inserimento nella vita attiva o almeno autosufficiente del malato. Il costo che i pazienti devono sostenere per questo percorso, sovente si dimostra insostenibile. La tendenza attuale è quella di dimettere precocemente il degente, che al proprio domicilio sovente si trova in difficoltà gestionali insormontabili.

Tuttavia, il dramma per il paziente e per i parenti si verifica nel caso in cui la dimissione dello stesso comporta patologie la cui gestione assistenziale si presenta estremamente problematica. Questa situazione oggettivamente complessa e difficile, ad oggi non è ancora stata affrontata col dovuto impegno per una soluzione soddisfacente.

Per concludere: ben venga la realizzazione della nuova “Azienda Zero” e del miglioramento della Sanità regionale del Piemonte, purché tenga presente i difficili problemi sopra denunciati per una possibile soluzione.

In caso contrario questo “progetto politico-sanitario” resterebbe un discutibile escamotage per contrabbandare un salto di qualità e di “progresso sanitario”, in realtà espressione mascherata degli enormi “problemi irrisolti” del recente passato.

E nel caso si verificasse questa “fuga in avanti”, sarebbe un’ulteriore e intollerabile presa in giro dell’utenza e del contribuente.

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Articolo pubblicato il 23/06/2022