Tutti i limiti dell'Europa: quali prospettive per il domani
Il Premier italiano uscente Mario Draghi

L'Unione Europea si sta manifestando sul piano globale in tutta la sua pochezza

Premesso che spesso, come già affermato in precedenza, si sente parlare di Europa in maniera completamente errata; lo ribadiamo con forza anche stavolta: l’Europa non è, né sarà mai, un soggetto geopolitico.

Più che i rispettivi nazionalismi, tanto vituperati dalla stampa nostrana; in verità l’unico fattore che impedisce di creare uno stato e una difesa comune sono e resteranno sempre gli Stati Uniti d’America. Un vero e proprio vincolo esterno che limita sia le singole sovranità nazionali sia la sovranità politica nel suo insieme continentale.

La riprova di ciò risiede nella recente operazione militare speciale russa di inizio anno. L’Europa esce da questa guerra in Ucraina come una delle principali vittime politiche. Qualsiasi discorso sull’autonomia strategica e sulla difesa comune è stato accantonato di fronte ad un’Alleanza Atlantica apparsa nettamente più dinamica e in grado di dirigere le questioni strategiche. E con gli Stati Uniti ad avere prima avvertito dell’imminenza del conflitto e dell’impossibilità e poi ad avere dettato la linea sul sostegno a Kiev e sulle sanzioni. A questo, si deve aggiungere poi la debolezza dimostrata dall’Unione europea di fronte alle conseguenze delle sanzioni imposte alla Russia. Gli effetti economici delle misure contro Mosca hanno rischiato e rischiano di ritorcersi contro le stesse economie del continente, costringendo quindi tutti i governi (e la stessa Bruxelles) a ribadire la necessità di contromisure in grado di evitare questo disastroso effetto boomerang.

Lo sganciamento dalla dipendenza energetica dal Cremlino ha poi confermato l’incapacità e la miopia dei Paesi europei che non hanno saputo negli anni creare delle reti in grado di provvedere alla possibilità di blocchi da parte dei fornitori internazionali. Infine, la diplomazia del conflitto, in particolare per una possibile mediazione tra Russia e Ucraina, è stata completamente estromessa dai corridoi delle principali capitali europee per lasciare spazio a Paesi terzi, in primis quella Turchia che già interpreta il ruolo di membro “indipendente” della Nato.  L’asse franco-tedesco, che aveva provato con scarsi risultati a dialogare con Vladimir Putin prima dell’invasione e nelle settimane successive, si è completamente arenata. E nel frattempo le leadership dei più importanti Stati membri si sono indebolite o sono anche cadute lasciando che fossero altri blocchi, come quello dell’Europa orientale, a rimanere saldi nelle loro linee di governo. Il quadro è nettamente complesso, e si aggiunge a una crisi in corso già da diversi anni e che la pandemia di Covid ha ulteriormente accelerato.

In un’ottica sempre meno globalizzata delle merci e molto più incentrata nella politica degli armamenti, la cosiddetta “europa” rimane completamente indietro, non solo rispetto alle principali tre superpotenze (Usa, Cina e Russia), ma anche dinanzi a potenze regionali emergenti, che sicuramente godono di miglior salute rispetto al vecchio continente.

Per fare alcuni esempi in prospettiva futura. Se dovessimo scommettere ad oggi su quale sarà la futura potenza di lingua inglese e olandese sul piano globale, sicuramente non diremmo né i Paesi Bassi né l’Inghilterra, semmai parleremo di Sudafrica. Idem dicasi per future nazioni imperiali di lingua spagnola o portoghese; non parleremo più di Spagna o di Portogallo, ma analizzeremo Nazioni come il Messico o il Brasile.

Questo per far capire al lettore, che la visione eurocentrica non solo è stata già accantonata il secolo scorso, ma adottarla oggi rischia di essere persino dannosa.

L’agglomerato sovrastatale di Bruxelles (leggasi UE) ad oggi appare come un insieme di stati uniti dal solo interesse privato. In particolar modo bancario. Ed è su questa dimensione che si struttura tutta la sua classe dirigente. Un gruppo di tecnici al servizio di strettissime oligarchie, dove la politica e il giornalismo divengono appiattiti al servizio di questo o di quel gruppo privato.

Parafrasando Montanelli ci troviamo di fronte un continente senza memoria né posteri. In una piena dimensione post storica ed economicista. Ed è su questa sovrastruttura ideologica che il “vecchio continente” intende analizzare il mondo. Un mondo in continuo mutamento, dove nuove superpotenze si affacciano, noi europoidi disconosciuti rischiamo di venire schiacciati dalla nostra stessa ignoranza.

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Articolo pubblicato il 26/08/2022