Il diritto di poesia

Edizione dell’Autrice, 100/o numero

“Ai miei tempi” le dinamiche nell’editoria erano tante, bizzarre, stravaganti, trasversali e facevano sempre capo a “qualcuno” di invisibile che decideva che cosa il pubblico dovesse ricevere e quali fossero i testi poco idonei a troppe persone per attuare quel risveglio molto inopportuno.

C’erano grandi case editrici con pretenziosi direttori editoriali, arroganti intellettuali, circondati da una pletora di aspiranti scrittori, in attesa che le linee conduttrici dell’azienda potessero “investire” su di loro; mentre scrivevano e scrivevano per quelli che avrebbero voluto diventassero colleghi.

In gergo venivano chiamati “negri” poco elegante eufemismo in sostituzione del “ghostwriter” inglese o “scrittore ombra” "penna pronta" o "scrittore fantasma"

Ci sono ancora, suppongo, in quanto è una abitudine che ha radici antiche, casi emblematici nella storia della letteratura.

Di grande rilevanza è il caso di Eugène de Mirecourt e Alexandre Dumas che hanno dato uno spettacolo ben significativo della condizione manipolatrice specchiata.

Nel 1845 l’uno denuncia, nell’opuscolo razzista “Fabrique de romans: Maison Alexandre Dumas & Cie” la non autenticità dei romanzi di Dumas. L’accusa al romanziere è di aver ridotto alla condizione di negri i collaboratori.

Dumas a sua volta contro-denuncia Mirecourt, che viene poi condannato a sei mesi di prigione e multato per diffamazione. 

Non pochi sarebbero gli scrittori fantasma di quello che Mirecourt definì "il primo uomo di colore ad avere negri bianchi": tra questi Gérard de Nerval, Théophile Gautier, Octave Feuillet, Jules Janin, Eugène Sue, Anicet-Bourgeois, Paul Bocage.

Mi sono sempre chiesta quale sia la motivazione che spinge una persona non in grado di scrivere un romanzo a firmare un’opera non propria: capisco che il narcisismo possa spingere a identificarsi con qualcuno giudicato migliore, ma quando ci si guarda allo specchio l’immagine riflessa alla lunga potrebbe riservare qualche problema…

Chi non ha mai avuto problemi con la scrittura è Antonella Barina, nata a Venezia nel 1954, poeta, drammaturga, giornalista professionista. Una amazzone dalla volontà di ferro che ha saputo inventare una formula di editoria in piena libertà “insegnandoci” quanto sia possibile raggiungere le persone giuste attraverso “bambini di carta”, dei veri capolavori che trattano i temi dell’identità, dei territori, del viaggio e del sacro.  

Con “Lo scandalo della morte” Antonella Barina è arrivata alla centesima edizione, di cui pubblichiamo l’introduzione, in attesa di offrire al lettore qualche poesia contenuta nella raccolta.   

 

 

Edizione dell’Autrice, testata di poesia autoedita in libri e carnet, è giunta al centesimo numero, forte anche di diverse decine di supplementi nati da incontri con altri autori e autrici, oltre 150.

 

Progettata per interagire con il qui ed ora e affermare un’autorialità senza padroni, mantiene la maternità e l’integrità delle opere e asseconda i tempi biologici del metabolismo creativo di chi scrive.

 

Il titolo riprende la sigla dei manoscritti ‘scomodi’ che nel 2003 diffondevo ad personam e che rinvia, spiegavo in Leggere Donna, al principio generativo femminile, all’Autrix che è in noi.

 

Nel 2004, in continuità con la storia e la pratica dell’editoria autogestita e autofinanziata delle donne, ho registrato il titolo al Tribunale di Venezia dando vita all’autoeditoria (termine che personalmente traduco con oneselfpublishing, diverso dal selfpublishing commerciale) promuovendola dal 2009 attraverso l’incontro annuale M’Editare, spesso impaginando opere altrui con il solo fine di trasmettere questa pratica.

 

Mi interessava potenziare figure autoriali capaci di assumere su di sé in prima persona la responsabilità della funzione editoriale (oltre al testo, l’impaginazione, la grafica, le immagini) e insieme le funzioni distributive e promozionali, dimensionate alle possibilità e alle capacità di chi le attua.

 

Lo statuto di testata giornalistica (non casa editrice), quale è Edizione dell’Autrice, è stato adottato ai sensi della legge sulla stampa da collane di libri di tutto rilievo per beneficiare degli sgravi fiscali concessi al settore.

 

Il motivo per cui ho fondato e diretto Edizione dell’Autrice ai sensi della stessa legge è invece esistenziale, professionale e latamente politico, relativo alla libertà di scrittura.

 

Il ritorno è espresso nei Manifesti di Edizione dell’Autrice, in particolare Fuori Mercato (2001) e La Felicità del Creare (2007).

 

Nella libertà di espressione sancita dalla Costituzione Italiana e da numerose carte internazionali rientrano il diritto di cronaca, di critica e di satira, quest’ultimo riconosciuto diritto soggettivo non solo dall’articolo 21 sulla libertà di pensiero ed espressione, ma anche dall’articolo 9 sullo sviluppo della cultura e dal 33 sulla libertà di creazione artistica.

 

Si colloca in quest’area anche il trascurato diritto di e alla poesia, un diritto che Edizione dell’Autrice ha ininterrottamente esercitato, come testata giornalistica, attraverso il linguaggio poetico che spesso si è fatto cronaca, critica e, quando il caso lo ha richiesto, satira.

 

All’inizio il riferimento era la comunità poetica veneziana presso cui distribuivo il modello minimale - l’A4 a doppia colonna - studiato per essere riproducibile nel corso di una sola notte anche in un villaggio africano con un pc di quindicesima mano.

 

Per sottolineare che la semplicità era una scelta, in diversi casi ho realizzato prodotti squisiti avvalendomi della migliore tipografia veneziana.

 

Quando il tempo si è ristretto, ho impiegato di necessità l’opuscolo di copisteria.

 

Per implementare letture, percorsi poetici e teatrali tematici, rassegne, performance, flash mob e azioni episodiche o continuative presso tante altre comunità, Edizione dell’Autrice è uscita in formati grandi o piccolissimi, poiché lo scopo non era lanciare sul mercato un prodotto standard, ma veicolare quelle azioni.

 

Rarissime, e solo recenti, sono state le presentazioni del prodotto editoriale in sé.

 

Tra coloro che mi hanno seguito su questa strada hanno continuato ad autoeditarsi non quelli che si illudevano di risparmiare o guadagnare con l’autoeditoria, ma chi è consapevole del fatto che l’estetica del guadagno è sostituita dall’etica reciproca del dono.

 

Il centesimo numero di Edizione dell’Autrice verte sul tredicesimo arcano dei Tarocchi: la Morte, segno di rinascita e di una trasformazione che riguarderà anche questa estrema sperimentazione poetica e mediatica.

 

Antonella Barina

 

 

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Articolo pubblicato il 06/10/2022