L'Importanza del Baltico e di Kaliningrad

La guerra russo-ucraina sta assumendo sempre più le caratteristiche di una guerra totale. Presto verrà coinvolto anche il Baltico?

La guerra tra Russia e Ucraina ha riscritto la definizione di guerra totale. Viene combattuta militarmente in un territorio circoscritto, dal quale nessuno entra e nessuno esce per timore di un'escalation nucleare e di un allargamento europeo del conflitto, ma è al contempo totale, nella misura in cui coinvolge tutto il mondo negli ambiti più disparati: energetico, economico, alimentare, sociale. Una guerra che assume sempre più i connotati di uno scontro tra Russia e Stati Uniti e che si snoda su più fronti. Oltre all'ormai celeberrimo Donbass, il più importante di questi fronti è rappresentato dall’enclave russa Kaliningrad.

Tuttavia, Kaliningrad non è sempre stata russa e non si è sempre chiamata così. Per quasi 700 anni dalla sua fondazione per mano dei Cavalieri Teutonici nel 1255, in pieno Medioevo, fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, portava il nome germanico di “Konigsberg”.

Nel secondo dopoguerra la popolazione tedesca fuggì nel blocco occidentale e il Paese venne annesso da Stalin. Da allora fino ad oggi è parte integrante della Russia. Fu così che la germanica Konigsberg divenne l’enclave russofona di Kaliningrad, ribattezzata in onore del rivoluzionario bolscevico Michail Kalinin.

 

Perché è così importante per i russi?

 

Come nel caso del Donbass, è innanzitutto la geografia a fornirci una prima risposta. Kaliningrad si trova nel cuore della frontiera più strategica d'Europa, quella del Mar Baltico, in mezzo a Paesi del blocco Ue e Nato. Un territorio di 15mila chilometri quadrati lontano dal corpo centrale dello Stato russo, ma a tutti gli effetti un territorio russo. Importantissimo snodo commerciale e portuale, Kaliningrad rappresenta un avamposto irrinunciabile, visto che nell'ottica del Cremlino il Baltico si sta trasformando a tutti gli effetti in un lago atlantico, soprattutto dopo l'annuncio di un futuro ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato.

Da questa considerazione strategica ne nasce un'altra, di tipo tattico. Proprio per la sua posizione privilegiata, a Kaliningrad i russi hanno installato testate nucleari capaci, data la vicinanza, di raggiungere le capitali europee nel giro di pochi secondi. Per radere al suolo Londra basterebbero 202 secondi, che scendono a 200 per Parigi e a 106 per Berlino. Per Varsavia soltanto 30. Le testate, parte centrale di un riarmo che prosegue imperterrito, sarebbero dunque in grado di colpire buona parte dell'Europa senza lasciare agli americani il tempo di reagire per proteggere i loro alleati della Nato.

Ma al di qua dell'apocalittica escalation nucleare, Kaliningrad rappresenta un'importantissima base militare per la Russia. La potenza del suo arsenale si è percepita chiaramente durante la sua ultima maxi-esercitazione, con la simulazione di lancio dei missili balistici a corto raggio Iskander-M.

L'intera regione rappresenta un'unica grande base militare, con diversi distaccamenti e sedi della Flotta del Baltico, dell'aviazione e delle truppe di terra. Nel dettaglio, l'exclave russa ospita almeno una brigata, un reggimento di fanteria motorizzata e una brigata di fanteria di marina della flotta baltica. Se si collega il punto di Kaliningrad a quello della non lontana San Pietroburgo, con la sua base di Kronstadt nel Golfo di Finlandia, si può disegnare una “mezzaluna armata” che spezza l'egemonia atlantica nel Baltico.

Anche se a molti può sembrare tutt'altro che un centro nevralgico, l'area del Mar Baltico rappresenta senza dubbio la frontiera più strategica del nostro Continente. La terra dell'ambra, prezioso materiale del quale il Baltico è considerato il deposito più vasto ed esclusivo, ha sempre giocato un ruolo di cerniera e di teatro di scontro fra i "tre mondi europei": il Centro dei popoli germanici e tedeschi, la Scandinavia e la Russia. In quest'area l'Europa e il mondo slavo sono arrivati a toccarsi direttamente, con esiti spesso violenti come quelli paventati ai nostri giorni. Al suo interno il blocco baltico si divide in altre tre realtà separate, che spesso però siamo abituati a considerare come parte di un'unica filastrocca geopolitica: Estonia, Lettonia e Lituania. Basti dire che la prima, di origine ugrofinnica, è naturalmente orientata verso la sfera finlandese, mentre l'ultima conserva dimensione e aspirazioni mitteleuropee. La Lettonia sta nel mezzo, in tutti i sensi, poiché cerca di ritagliarsi un proprio spazio (spiccatamente baltico e soprattutto nel campo finanziario) tra le pressioni russe e una certa indifferenza del blocco atlantico.

Per queste tre Repubbliche liberatesi dal gioco sovietico passa la linea ideale che separa dunque la Russia dalla Nato. Non a caso il loro ingresso nel Patto Atlantico nel 2004, con la conseguente installazione di basi missilistiche e militari al confine, ha rappresentato e rappresenta tuttora per Mosca il principale motivo di preoccupazione e instabilità. Al di là dell'importanza geografica ed economica, per l'industria e le materie prime, i tre Stati baltici rappresentano un unicum politico e culturale, né esclusivamente russo nè europeo.

Oltre al fatto di essere state le ultime in ordine cronologico a essere annesse all'Urss (nel 1940) e le prime a richiedere la sovranità territoriale alla fine degli Anni Ottanta, Estonia, Lettonia e Lituania sono le uniche Repubbliche ex sovietiche entrate a far parte sia dell’Ue che della Nato. La Russia non ha mai smesso di pensarci: si tratta del suo “estero vicino”, delle zone cuscinetto che il Cremlino ha bisogno di controllare per sentirsi al sicuro da minacce esterne.

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Articolo pubblicato il 29/10/2022