Giornata internazionale della tolleranza

La pace mondiale richiede solo di vivere insieme nella reciproca tolleranza sottoponendo le dispute ad un giusto e pacifico accordo (John Fitzgerald Kennedy)

Incombono oggi gravi necessità politiche per il nostro Governo appena costituito, di ricucire in fretta lo strappo diplomatico sui migranti con la Francia, alleata indispensabile sullo scacchiere internazionale, la quale ha tacciato l’Italia di essere stata “molto disumana” nella gestione degli sbarchi richiesti da alcune navi battenti bandiere straniere, lasciate in mare aperto col loro “carico residuale” di naufraghi rastrellati nel Mediterraneo.

“Linguaggio inaccettabile”, dice Enrico Letta della infelice espressione di Matteo Piantedosi, ora nostro Ministro degli Interni, che ha mostrato così certe doti, residue in lui, di ex prefetto di Lodi Bologna Roma e di vicedirettore generale della Pubblica sicurezza. “Esagerata”, però, è stata la Francia, dice Carlo Calenda, leader di Azione, per il quale “bisogna che gli animi si calmino e si cominci a ragionare seriamente su come ricostruire un rapporto fondamentale in Europa”.

La veemenza di ogni contrasto di pensieri e di azioni, e di questi nella circostanza, impone dunque oggi, come sempre, di tenere in maggior considerazione la tolleranza, che l’UNESCO nel 1995 ha deliberato di officiare ogni anno il 16 di novembre, da considerarsi giornata internazionale nello spirito dei principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Si cominciò a parlarne – in senso eminentemente religioso – quando, nel Cinquecento, sorsero conflitti fra Cattolici e Protestanti; ma per la valenza civile della tolleranza bisogna leggere gli scritti di Locke e di Voltaire: del primo ricordiamo l'Epistula de tolerantia, del 1689; del secondo ricordiamo invece il Traité sur la tolérance, del 1763. Di questo autore abbiamo fatto nostro un principio: “Disapprovo quel che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo”. Ormai, è un “must” che stigmatizza la tolleranza, ma la frase non è però di Voltaire: fu solo attribuita a lui dalla sua biografa, la scrittrice americana Evelyn Beatrice Hall, che dette alle stampe a Londra nel 1906 The friends of Voltaire sotto lo pseudonimo di Stephen G.Tallentyre.

Nel secolo scorso, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, ha sancito all’art. 26 che: “L'istruzione... deve promuovere ... la tolleranza”. Eppure, nella New York di Rudolph Giuliani, sindaco di quella città dal 1994 al 2001, si amministrò con “tolleranza zero”; ma i confronti con altre grandi metropoli confermarono che non fu proprio buona cosa. C’era da aspettarselo. La delinquenza, infatti, non diminuì in proporzione inversa alla durezza delle restrizioni volute da quell’amministratore di origini italiane, cresciuto in una famiglia nella quale il padre era un gestore di case da gioco clandestine.

La tolleranza è il segno distintivo degli esseri umani, che sono liberi per decisione non sottoposta all’imprinting di nessun altro essere umano; che sono uguali agli altri esseri umani, ma non identici a nessun altro di loro; che hanno rispetto per chi è diverso da loro ma essere umano come loro; che sanno ascoltare quanti mostrano opinioni differenti dalle proprie, in fatto di politica, ad esempio, di etica o di religione.

Per Robert Green Ingersoll, procuratore generale dell’Illinois nella seconda metà dell’Ottocento, tolleranza è concedere a ogni altro essere umano tutti i diritti che si reclamano per sé stessi.

Il termine deriva dal latino “tòllere”: sopportare; ma la tolleranza, in apparenza comportamento passivo, si connota invece di propositività quando il disagio viene sopportato per il raggiungimento di un agio successivo e, comunque non potrà mai esser la risposta giusta nei confronti di nessuna violenza, perché “chi tollera un torto ne chiama cento”. È una antica massima cui, in tempi a noi più vicini, Primo Levi ha aggiunto questo aforisma: “Il torto è una bestia così brutta, che nessuno se lo vuol prendere in casa”.

Si vales, vàleo.

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Articolo pubblicato il 14/11/2022