Giuseppe Fassino: un uomo e un politico d’altri tempi o di oggi?

Busca (CN) ha ricordato la figura dell’uomo politico con un convegno e l’intitolazione di una strada

Sabato 26 novembre, a Busca, la città ha ricordato una figura di uomo e di politico che molti di noi ricordano ancora con un affetto e un rispetto immutati nonostante egli sia scomparso esattamente dieci anni fa, il 27 novembre 2012, all’età di ottantotto anni. Parliamo del senatore Giuseppe Fassino, un nome noto a chi, magari anche senza averlo conosciuto, ha condiviso la visione liberale della nostra politica e della nostra cultura.

Consigliere comunale nella sua Busca dal 1964, consigliere regionale dal 1970 e “padre costituente” della Regione Piemonte e del suo statuto, senatore della Repubblica dal 1979 al 1992, sottosegretario presso il Ministero della Pubblica Istruzione dal 1981 al 1987 a poi presso il Ministero della Difesa dal 1989 al 1992, il senatore Fassino ha anche ricoperto incarichi internazionali nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e in quella del Consiglio del Nord Atlantico, e poi, a livello locale, in svariate istituzioni culturali tra cui vale la pena di ricordare la presidenza del conservatorio Verdi di Torino e, sempre a Torino, la presidenza onoraria del Centro Pannunzio.

Sabato scorso, su iniziativa dell’amministrazione comunale presieduta dal sindaco Marco Gallo, Busca gli ha intitolato una strada e gli ha offerto -ma ha anche offerto a tutti noi- un convegno dove è stata illustrata la sua figura di uomo, di politico, di insegnante e fondatore di un istituto privato di istruzione superiore nella sua città che, nel corso di tanti anni, ha formato una gran quantità di giovani che oggi ricoprono, in molti casi, posizioni di grande professionalità e sicuro prestigio.

Dopo i saluti istituzionali, la sua figura umana e di insegnante è stata delineata da chi l’ha conosciuto da vicino: Elio Ferrari, Emanuele Costa, Salvatore Sica, Teresio Delfino e, sotto l’aspetto più propriamente culturale e politico, da chi scrive, che ha proposto ai presenti il tema “Giuseppe Fassino: un uomo e un politico d’altri tempi o di oggi?”

E’ stata evidenziata la sua concezione dell’istruzione come “rivincita”, uno strumento fondamentale di  emancipazione per quelle persone e per quelle classi sociali che, in qualche modo individualmente o collettivamente svantaggiate, hanno potuto riscattarsi e guadagnarsi una nuova vita. E in questo ruolo l’istruzione pubblica e quella privata, due istituzioni in cui Fassino credeva profondamente, potevano e dovevano agire insieme, in sinergia, per creare una nuova società ad un tempo più libera e più progredita.

Ma l’istruzione privata aveva anche un altro compito, come evidenziato dall’esperienza soprattutto anglosassone: quella di baluardo contro l’autoritarismo -e, in molti casi- contro il totalitarismo culturale di cui il secolo passato, e in parte anche il presente, hanno conosciuto drammatici esempi.

Una concezione perfettamente liberale, perfettamente democratica della scuola in cui riconoscersi e da potenziare in una società, come quella attuale, in cui le tentazioni di controllo dall’alto sembrano riaffiorare con tutta la loro pericolosità.

Anche l’europeismo e l’atlantismo di Fassino sono stati evidenziati, ma con una declinazione particolare.

Il suo era l’europeismo del Consiglio d’Europa in cui egli operò per molti anni, un europeismo profondamente diverso da quello dell’allora CEE e poi dell’UE, un europeismo fondato sull’anima europea più che sulla sua struttura economica e burocratica.

Il Consiglio d’Europa, storicamente antecedente all’Unione europea, era il luogo dove venivano delineati e tutelati i grandi principi culturali dell’Europa: libertà, democrazia, tolleranza, stato di diritto, umanesimo politico, tutti principi che Fassino sempre più vedeva contrapporsi ad un’Europa istituzionale rappresentata da un’UE pervasa di burocratismo, gigantismo, invadenza politica ed elitismo, contro ogni antico principio liberale.

Così come l’atlantismo di Giuseppe Fassino era una convinzione soprattutto etica: un luogo e un sistema di libertà che si contrapponeva -se del caso anche militarmente- a quell’ “impero del male” che era rappresentato dal comunismo reale, almeno fin tanto che quest’ultimo esistette nella sua oppressiva realtà.

Ci sarebbe da chiedersi se oggi questa sua visione -dopo il crollo dei regimi collettivisti dell’est e lo sconvolgimento degli equilibri mondiali- sarebbe ancora valida e, soprattutto, se sarebbe ancora da lui condivisa, essendo stato Giuseppe Fassino un uomo attento non solo ai cambiamenti del mondo ma anche alla necessità di aggiornare le proprie posizioni a fronte dei cambiamenti della realtà.

Ma sabato scorso è stata anche evidenziata la particolare concezione che Giuseppe Fassino aveva del liberalismo.

La radice delle sue convinzioni liberali affondava sicuramente nei grandi teorici del XVIII, del XIX e del XX secolo, da Tocqueville a Croce, da Stuart Mill a von Hayek, da Locke a Popper, ma Fassino amava soprattutto i grandi liberali piemontesi, subalpini e cuneesi: Cavour, Giolitti, Einaudi, Soleri, alla cui lezione  e al cui esempio era stato educato per tradizione famigliare.

Un liberalismo che non esitiamo a definire “liberalismo popolare”, un liberalismo che nella sua laicità si contrapponeva al popolarismo cattolico ma con cui aveva sicuramente dei punti in comune, soprattutto sotto il profilo culturale, con la sua diffidenza per le ideologie, le teorie, l’astrattismo economico e sociale e con la sua comunanza, invece, sul piano della sensibilità sociale e dell’attenzione ai bisogni del territorio, ereditati dal quel notabilato subalpino e cuneese che aveva contribuito in misura determinante alla creazione della nuova Italia post-unitaria.

Un Fassino probabilmente incompatibile con la contemporaneità (si ritirò elegantemente dalla scena politica nel 1992), ma soprattutto con quel neo-liberismo che tutti oggi vogliono inserire nel proprio patrimonio genetico e politico, ma che nulla ha a che fare col liberalismo antico e vero di quella generazione di uomini pubblici a cui egli appartenne: da Giovanni Malagodi a Vittorio Badini Confalonieri, da Aldo Bozzi a Valerio Zanone, da Antonio Martino ad Alfredo Biondi, sino ai cuneesi Raffaele Costa e Giacomo Paire.

In un’occasione istituzionale e celebrativa non si potevano inserire questi elementi più critici e in qualche misura polemici verso il presente, elementi di riflessione che varrebbe comunque la pena di riprendere in un qualche momento futuro.

L’evento di sabato è stato comunque perfettamente consono con l’eredità ideale e la nobile figura del senatore Fassino che, nelle sagge parole di Gianni Rabbia che ben lo conobbe, oggi ci sforziamo di pensare “non assente, ma solo diventato invisibile”.

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 28/11/2022