Catania. È morto Antonio Pallante. Nel 1948 sparò a Togliatti

Quattro colpi di pistola, di cui tre andati a segno

Antonio Pallante è morto a Catania a 98 anni, poco prima di compierne 99, il 6 luglio scorso: i familiari hanno tenuto la notizia riservata, ma ora che è diventata di dominio pubblico, ci riporta alle tensioni dell’epoca, quando il Paese si trovò improvvisamente sul crinale della guerra civile.

Figlio di un appuntato della Forestale, giovane studente di Giurisprudenza, e presidente del blocco qualunquista, a 25 anni si fece attentatore "per salvare il Paese dal pericolo comunista", disse più volte.

Il14 luglio del 1948 esplose quattro colpi di pistola, di cui tre andati a segno, contro il leader del Partito comunista, Palmiro Togliatti, che sopravvisse all'attentato.

Lo slogan che circolava in ambienti romani, nei mesi seguenti così diceva:

Sparò Pallante Quattro Rivoltellate –Urge Ripetere Senza Sbagliare

Venti anni fa concesse un'intervista ad un giornale: "Tenevo comizi in giro per la Sicilia, i miei erano ideali di patriottismo e di italianità che si scontravano con la politica di Togliatti, propugnatore della causa anti-italiana al servizio di Stalin. Fu proprio in quel periodo che cominciai a pensare ad un'azione che potesse fermare l'uomo che voleva portare l'Italia nel blocco orientale". 

Pallante scontò cinque anni e tre mesi di carcere e fu scarcerato nel 1953. Dopo avere lasciato la prigione, non essendo stato interdetto dai pubblici uffici, trovò lavoro alla Forestale, come suo padre, e poi alla Regione senza occuparsi più di politica. "Il mio fu un gesto patriottico" Nell'intervista, ormai ottantenne, spiegò di avere comprato la pistola al mercato nero: per l'arma e quattro proiettili pagò tremila lire”.

"Arrivai a Roma e riuscii ad assistere ad una seduta dei lavori per l'adesione italiana al Patto Atlantico. Ascoltai il discorso di Togliatti - disse - e le sue parole furono un ulteriore sprone. Così, saputo che poco dopo sarebbe uscito da una porta secondaria, attesi il suo arrivo seduto sui gradini dell' atrio di via Della Missione. E quando lui uscì, accompagnato da Nilde Iotti, sparai quei quattro colpi. Tre andarono a segno, uno si conficcò su un cartellone".

E scandì al cronista: "Non sono un killer a pagamento, come i servizi segreti americani hanno sempre voluto farmi passare, né ho mai avuto a che fare con i baronati siciliani. Già nella mia prima deposizione in questura, subito dopo l'accaduto, dissi che il mio era un gesto patriottico che voleva vendicare tutti gli italiani uccisi dai partigiani nel Nord. Il mio era un sentimento nazionalista, puramente italiano. Non ho agito contro un uomo ma contro un ideale. Il mio obiettivo non era Togliatti ma il Migliore, il capo del comunismo italiano, la longa manus di Stalin".

In seguito all’attentato vi sono disordini e morti in numerose città, con guerriglia tra comunisti, anticomunisti e forze dell’ordine. Poche ore dopo il ferimento si verificano incidenti in diverse località fra le quali Roma, La Spezia, Abbadia San Salvatore; nel corso di violentissime manifestazioni di protesta si registrano alcuni morti a Napoli, Genova, Livorno e Taranto.

Il segretario della CGIL Giuseppe Di Vittorio proclama lo sciopero generale. Gli operai della FIAT di Torino sequestrano nel suo ufficio l’amministratore delegato Vittorio Valletta. Buona parte dei telefoni pubblici smettono di funzionare e si blocca la circolazione ferroviaria.

Il democristiano Mario Scelba, ministro dell’interno, impartisce disposizioni ai prefetti per vietare ogni forma di manifestazione, e l’intero paese sembra sull’orlo della guerra civile.

Gli accordi di Yalta e la presenza di truppe statunitensi sul territorio italiano sconsigliano un’insurrezione armata. Nelle ore in cui si attende l’esito dell’intervento chirurgico, si diffondono le più diverse voci sullo stato di salute di Togliatti: circola anche la notizia della morte del segretario comunista, e si dice che Togliatti era rimasto vittima della “reazione fascista”

Il bilancio, nella sola giornata del 14 luglio, fu di 14 morti e centinaia di feriti. Negli scontri periscono dieci manifestanti e quattro agenti di Pubblica Sicurezza. Nei due giorni successivi all’attentato, si conteranno altri 16 morti e circa 600 feriti.

Il Paese tornerà lentamente alla normalità. L’operazione, infatti, riesce a salvare Togliatti. E’ proprio il dirigente del Partito Comunista Italiano ad imporre ai membri più importanti della direzione del PCI, Secchia e Longo, di sedare gli animi e fermare la rivolta.

Molti partigiani, in modo particolare quelli delle brigate Garibaldi, dopo il 25 aprile del 1945 non avevano consegnato le armi ai Carabinieri, come previsto dalla legge.

La possibile insurrezione di massa dei militanti comunisti si arresta davanti all’ordine di Togliatti di “stare calmi” e di “non fare pazzie”.

In Piemonte, l’opera di convincimento a desistere da ogni azione armata e di   insurrezione, fu affidata dalla direzione del PCI, a  Nicola Grosa, ex comandante  Partigiano e Commissario politico  delle Brigate Garibaldi nella valli di Lanzo. Uomo dotato di carisma e che godeva di ampia popolarità.

A detta di alcuni giornali si ritiene che abbia contribuito a moderare gli animi anche l’inaspettata vittoria di Gino Bartali al Tour de France.

Intervistato anni dopo da “Epoca”, in realtà Bartali smentisce decisamente la connessione tra i due eventi. Rammenta di aver ricevuto una telefonata dall’amico e Presidente del Consiglio, De Gasperi. Egli voleva sincerarsi se il corridore sarebbe stato in grado di aggiudicarsi la tappa dell’indomani (15 luglio 1948) e non gli chiese un’impresa epica che potesse rasserenare gli animi.

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Articolo pubblicato il 04/01/2023