Benedetto XVI: un gigante della fede

La scomparsa ha scatenato vivaci riflessioni e commenti sulla sua grande e straordinaria intensa vita terrena

La scomparsa del Papa emerito Benedetto XVI com'era prevedibile ha scatenato vivaci riflessioni e commenti sulla sua grande e straordinaria intensa vita terrena, trascorsa perlopiù ai vertici della Chiesa. Mi sembra importante evidenziare l’interessante intervento di Marcello Pera su Il Foglio (Benedetto XVI, “il Papa laico” che sapeva sfidare chi rifiutava la fede, 4.1.23, Il Foglio) Il professore Pera appartenente al mondo laico e liberale, forse, è quello che più di altri ha ammirato e conosciuto Joseph Ratzinger.

Si tratta di un'antica amicizia, nata quando Marcello Pera, oggi senatore di Fratelli d’Italia, era presidente del Senato e Joseph Ratzinger non era ancora Papa. “Andai a trovarlo una prima volta e da lì iniziò una serie di incontri non fissi, ma molto frequenti”. Con il Papa emerito, il senatore ha anche scritto un libretto a quattro mani, “Senza Radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam” (Mondadori, 2004). In una intervista al Corriere della Sera, Pera racconta la storia di questo libro, frutto di due relazioni, tenute in due convegni diversi: una di Ratzinger, e l’altra di Pera.

“Obiettai che quei due testi messi insieme arrivavano a malapena a 40 pagine dattiloscritte. Allora decidemmo di passare l’estate a scrivere due commenti: lui al mio testo e io al suo. A quel punto il libro c’era tutto”. La tesi di fondo di quel libro era che l’Europa si vergognasse delle sue radici cristiane, e “rispetto a quel periodo la situazione non è migliorata anzi è peggiorata. L’Europa sta professando e imponendo una cultura che è fortemente anticristiana con i suoi intellettuali, con i suoi mezzi di comunicazione, con i suoi politici. La crisi è più profonda di allora”. Per la cronaca ricordo che Pera, ha anche introdotto un altro piccolo e fondamentale libretto di Ratzinger, “L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”, (Cantagalli, 2005).

L’ex presidente del Senato rileva che “Benedetto aveva risvegliato una coscienza europea, ma era consapevole che il processo potesse svilupparsi soltanto con un appello, uso le sue parole, alle minoranze creative nel senso che l’Europa si sarebbe salvata solo se alcuni gruppi sparsi qua e là, all’inizio in catacombe cenacoli, avesse ripreso la fede cristiana come fondamento”. 

Ratzinger ha fatto “moltissimo, è stato l’unico primo vero difensore della civiltà europea alcuni risultati si sono visti e spero che altri si vedano dopo la sua morte”. 

Tornando al testo de Il Foglio, l’ex presidente del Senato nell’articolo raccomanda di non abbassare i toni nell’omaggiare il papa emerito. Piuttosto facciamo il contrario. E siccome in questi giorni in tanti dicono e scrivono che è scomparso “un altro Padre della Chiesa” o un “Dottore della fede” o un “nuovo Agostino", allora siamo di fronte a un grande evento storico non solo della cristianità. Arrivati alla vigilia della tumulazione, la percezione di tanta grandezza sembra invece incerta e anche imbarazzata. Sulla modalità di celebrazione, sul rito, sui paramenti, sulle presenze, sull’affluenza, ancora si discute. Come se si fosse insicuri o timorosi o guardinghi”.

Il professor Pera ci offre un interessante quadro della figura del Papa emerito. Benedetto XVI è stato oggetto di contumelie e denigrazioni, e anche sorde resistenze, in vita, trasformato in figura di discordia. Ricordiamo il fango che è stato buttato sulla Chiesa e su Papa Ratzinger per la questione pedofilia. Ho dato un’occhiata al libro di Aldo Maria Valli, “La Verità del Papa. Perché lo attaccano perché va ascoltato”, (Lindau, 2010) dove si raccontano le critiche feroci e gli attacchi impietosi subiti dalla Chiesa e dal Papa, molto spesso attraverso ricostruzioni dei fatti lacunose e tendenziose. “L’attacco, inedito per ostinazione e capillarità, ha un obiettivo preciso: Benedetto XVI”.

Marcello Pera, fa un profilo attento di Ratzinger: “non aveva pensieri se non limpidi, sentimenti se non sinceri, atteggiamenti se non di rispetto. Non che rifuggisse dalla critica e anche dalla polemica, ma gli era spontaneo, naturale, non studiato o calcolato, distinguere fra il piano delle idee sulle quali, una volta meditate a fondo, era inflessibile da quello delle persone, verso le quali era sempre comprensivo. Nessuno lo ha mai sentito dolersi (e certamente ne provò dolore) dell’affronto che gli fecero i docenti di una università (Pera non lo scrive ma era La Sapienza di Roma) che prima lo invitarono e poi lo respinsero.

Nessuno ricorda una sua lamentela personale. Difficile trovare un altro come lui che avesse interesse tanto genuino a parlare, discutere, capire. Difficile pensare a un altro che potesse tanto spontaneamente mettere il suo interlocutore alla pari. Provava amicizia autentica anche verso chi lo aveva lasciato (“tradito” era una parola che non sarebbe stato in grado neppure di pronunciare)”.

Pera ricorda che “Benedetto XVI aveva un interesse spiccato a intrattenere conversazioni con i cosiddetti “laici”. Chiamarlo un “Papa laico” non sarebbe un ossimoro. Senza atteggiamenti cattedratici, li sfidava”. A questo punto Pera fa delle riflessioni su che cosa significa “laico”. Sul rapporto della cultura laica  con il cristianesimo. Sui diritti non negoziabili, il professore accenna ai valori etici comuni di ogni civiltà. Come per esempio “un uomo sia uguale a una donna, che un uomo sia sempre un fine mai solo un mezzo, che la dignità sia una sua proprietà naturale, non sono teoremi che la ragione può provare, sono verità che la fede può credere.

Scrisse un giorno Agostino, il teologo e santo tanto amato da Benedetto XVI: vae qui habent spem in saeculo!”. Pera raccomanda ai laici di stare attenti “a rifiutare o anche solo a porre fra parentesi la fede: pensate di essere più liberi e non vi accorgete che in realtà state recidendo le radici, la linfa, il nutrimento, di quella stessa libertà di cui dite di essere tanto orgogliosi. Semplicemente, il vostro secolarismo pecca di superbia e non risponde alle vostre domande”.

“Ecco un sentimento, un atteggiamento intellettuale, che Benedetto XVI non provava. Quella serenità dell’anima che traspariva dai suoi occhi, quel sorriso interiore che si vedeva sulle sue labbra, quella dottrina non solo teologica che si avvertiva dalla sua conversazione gli impedivano di essere superbo. Ora si comincia sempre più chiaramente a capirlo. Il suo pensiero cristiano indulgeva assai poco a correggere le storture di questo mondo (il secolo), a predicare la giustizia sociale o proclamare l’ecologia o esaltare l’umanitarismo o inclinare al sincretismo e assai di più a richiamare tutti alla Città di Dio.

Ora che in questa Città Benedetto XVI c’è entrato da umile servitore noi non dobbiamo avere timore di ricordarlo o pudore di celebrarlo. Perciò dobbiamo accorrere tutti: affinché il cristianesimo non si affievolisca, affinché non si secolarizzi anch’esso, affinché non diventi una narrazione consolatoria, affinché il nostro mondo non perda senso e speranza. E affinché lui, che ha vinto, non sia archiviato come una pratica da sbrigarsi in fretta e poi proseguire come prima”.

 

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 08/01/2023