Chi vuol combattere in Ucraina?

L’Italia manda i suoi obici al fronte, ma pochi se ne accorgono

Abbiamo pubblicato a più riprese, su Civico20News analisi circostanziate sulla guerra in Ucraina, privilegiando diverse fonti e, di fatto, almeno nelle conclusioni, ci siamo uniti al coro dei molti che seppur da diverse angolature, in Occidente e non solo, hanno rivolto appelli a “Chi” potrebbe intraprendere un negoziato volto per lo meno ad un cessate il fuoco nella contesa sanguinosa e, purtroppo senza fine tra Russia ed Ucraina.

Periodicamente Zelensky rivolge un pubblico appello alla fornitura di armi sempre più potenti e micidiali. Ma, se ci caliamo dalla parte dei giovani ucraini che dovrebbero combattere contro la Russia, apprendiamo situazioni umanamente sconcertanti di cui pochi parlano, tutti protesi a narrare bombardamenti, avanzate e ritirate di truppe.

Dopo più di un anno di guerra e tanti, troppi morti (oltre centomila secondo il ben informato ministero della Difesa britannico) cresce il numero dei giovani ucraini che cerca di evitare l’arruolamento, imboscandosi o tentando di espatriare.

Non si tratta, certo, di un crollo del fronte interno, perchè il patriottismo rimane un mastice potente, ma è un intreccio di stanchezza, di scoramento e tanta paura. Un problema che il governo di Kiev cerca di minimizzare, derubricando la spinosa questione ad una fake russa o qualcosa di simile, richiamando invece l’attenzione dei media occidentali sulla prossima formazione di otto nuove brigate composte da “volontari”.

Di certo, al netto della propaganda bellicista, qualcosa non quadra. Cerchiamo di spiegarlo.

Dall’inizio del conflitto ai maschi tra i 18 e i 60 è stato proibito d’uscire dal Paese ma, come riportava il New York Times, molti preferiscono pagare i contrabbandieri per passare i confini, in particolare quello meridionale con la Moldavia, il più poroso, e rifugiarsi in Europa.

Come scrive la testata nordamericana: «migliaia di ucraini in età militare hanno lasciato il paese per evitare di partecipare alla guerra. I governanti ucraini minacciano di incarcerare i renitenti alla leva e confiscarne le case. Ma nella società i sentimenti sono più divisi».

E, aggiungiamo noi, ancor più diffusi dallo scorso fine febbraio quando un decreto presidenziale ha prolungato la legge marziale e la conseguente mobilitazione generale per altri 90 giorni. Data di scadenza il 20 maggio 2023. Poi si vedrà.

Ciliegina sulla torta, assieme al decreto è entrata in vigore la legge numero 8271, approvata il 13 dicembre 2022 dal Parlamento, che rafforza le pene per i soldati che disobbediscono o disertano la guerra. Roba decisamente pesante. Molto pesante.

L’8271 prevede pene dai 5 ai 10 anni di reclusione per diserzione, abbandono del luogo di servizio, rifiuto di usare le armi e dai 3 ai 10 anni per disobbedienza ad un ordine militare di un superiore.

Per i malcapitati non è prevista nessuna attenuante, né una diminuzione delle condanne e tanto meno il rilascio anticipato o la libertà vigilata.

Per il momento, ma chissà fino a quando, restano in vigore le esenzioni per gli iscritti all’università, i disabili e chi ne ha la cura, i padri di almeno tre figli, gli obiettori di coscienza che optano per il servizio civile.

Nelle aree più distanti dalla mattanza, in primis nella capitale, il malcontento cresce.

Una petizione di oltre 25mila firme di cittadini — un record considerato lo stato di guerra e le conseguenti leggi — ha chiesto al presidente Zelensky di fermare l’iter procedurale e annullare la legge. Senza successo.

Per il generale Valerii Zaluzhnyi, principale promotore della nuova legge e comandante in capo delle Forze armate ucraine oltre che membro del Consiglio per la sicurezza, servono altri uomini per la prima linea e non si possono fare sconti ad alcuno. Salvo, ovviamente, i figli dei soliti ben introdotti.

Pochi giorni fa Thomas d’Istria, l’inviato del quotidiano francese “Le Monde” in Ucraina, ha descritto una situazione surreale. Rispetto ad un anno fa, a Kiev, ad Odessa e a Leopoli la vita sembra scorrere tranquilla, il fronte è molto lontano, la piccola movida locale ha ripreso a muoversi indifferente ai manifesti governativi che invitano giovani a combattere.

Ovunque si beve, si balla, ci si innamora ma sempre con prudenza. I ragazzi rimangono guardinghi e, come racconta il corrispondente, cercano di glissare gli agenti reclutatori, ovunque presenti: per strada, nei luoghi di lavoro, nei mercati, nelle stazioni e persino nelle scuole dove l’obbligo della registrazione militare parte dai 17 anni.

Per sfuggire alle maglie della leva i ragazzi si affidano ai canali di Telegram, un tam tam sommerso che indica ai suoi iscritti le mosse dei reclutatori e i loro posti di blocco, i loro controlli. I meno abbienti si rinchiudono nelle loro case attendendo che la bufera passi, gli altri, i più fortunati, quelli che hanno valuta straniera, dollari o euro, sperano che qualche passeur, a caro prezzo per gli standard ucraini (dai 7000 ai 15mila euro), possa aiutarli a varcare la frontiera, qualsiasi frontiera, e scappare dall’inferno della guerra.

Nulla di nuovo sotto il sole! Nel corso delle prima guerra mondiale ed in concomitanza con le guerre coloniali, i giovani delle nostre montagne scappavano in Francia pe evitare reclutamento o fucilazione.

Molti sono rimasti ed altri tornati al loro paese dopo le amnistie. Nel corso della seconda guerra mondiale, si ripete il copione. Il proclama del ministro Mezzasoma prevedeva l’arruolamento dei giovani, tra le fila delle Repubblica di Salò o la fucilazione.

Intanto continuano le forniture a Kiev di armi provenienti dai depositi dell’Esercito Italiano. Sabato scorso, un convoglio ferroviario è stato filmato in transito nella stazione di Udine, a bordo circa venti obici semoventi M109 .  Altri Paesi forniscono materiale tecnologicamente più sofistico ed in maggiore quantità.

Nelle ultime ore Macron ha dato segni di impazienza verso i diktat americani e pare stia lavorando ad un “piano” con i Cinesi. Staremo a vedere.

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Articolo pubblicato il 22/04/2023