Israele contro Sion: indagine su una complessa eterogeneità

L'attuale crisi israeliana non si può comprendere se prima non si conoscono le divisioni interne al sionismo e al mondo ebraico.

Quando si parla di Israele spesso si fa confusione accostandolo alla religione ebraica. Giudeo e sionista spesso appaiono ai più come meri sinonimi.

Molte volte si tende a semplificare un quadro complesso ed eterogeneo, dove si sosterrebbe che un’unica élite ebraico-sionista domini il mondo. Nulla di più falso e fuorviante dal vero.

In un primo sguardo al mondo di oggi possiamo notare come la dicotomia destra-sinistra sia superata da una corrente di pensiero più ampia e post-ideologica, composta da globalisti e mondialisti da un lato, contro sovranisti e patrioti identitari dall’altro.

I sionisti, indubbiamente, seppur di origine socialista, si pongono senza dubbio nell’alveo di quella che potremmo definire “destra ebraica”, nel senso di una totale avversione ad una “sinistra” promotrice di un mondo senza confini e senza regole, amministrato da macchine in sostituzione all’umano. Dove l’unica identità che conta è quella imposta dai mercati. Un mondo fatto da valori liquidi e ibridi, in opposizione alla solidità valoriale dei grandi Padri nazionali.

Da qui si evince il motivo per cui una ‘destra ebraica’ apertamente sionista si contrapponga ad una “sinistra ebraica” nemica dei nazionalismi e promotrice delle società aperte. A tal proposito, basti sapere che il noto ‘filantropo’ ebreo Soros è palesemente filopalestinese.

Tuttavia, questa classificazione, che appare semplificatrice su un piano politico globale, potrebbe risultare invece errata e fuorviante su un piano prettamente interno alla Nazione di Israele, la quale risulta divisa fin dalla sua fondazione.

Dalla nascita del sionismo, infatti, occorre subito precisare che vi erano diverse accezioni di ‘sionismo’. Il primo sionismo ebraico non era di natura nazionalista, non voleva uno stato indipendente ebraico né una terra che coincidesse per forza con la Terra Santa.

I primi padri del sionismo proponevano di istituire il futuro stato di Israele all’interno di Imperi già esistenti, primi fra tutti, quello ottomano e successivamente quello britannico. I soli a tutelare il mondo ebraico rispetto ad un’Europa decisamente antisemita.

Famosa fu la proposta del fondatore del Sionismo, Herzl, riguardo al “Piano Uganda”, dove la futura “casa dei Giudei” sarebbe dovuta nascere non in Palestina, bensì all’interno di un Protettorato africano britannico.

Altri, come Ben Gurion, vedevano invece il modello ottomano come possibile esempio per una casa comune di tutti gli ebrei.

Tuttavia, dopo la Seconda guerra mondiale, queste visioni ‘sub imperiali’ lasciarono il posto ad una visione nazionalista e socialista tipicamente ebraica, autonoma da ogni potenza straniera. Questo cambio di prospettiva fu dovuto al fatto che dopo il dramma dell’olocausto milioni di ebrei videro pericoloso mettersi sotto l’egida e la protezione di una nazione estranea al mondo ebraico. Si va dunque oltre la storica percezione ebraica dell’ “Ubi bene, ibi patria.”

Da questa consapevolezza però emersero due differenti visioni di sionismo.

Una incentrata sull’idea che lo stato di Israele dovesse essere di ideologia laico-socialista. Questa visione fu accettata principalmente dai futuri fondatori dello Stato di Israele, i quali erano principalmente di etnia askenazita (proveniente dal centro ed est Europa); per loro il nazionalismo militare ebraico doveva essere messo al servizio della Ragion di Stato e non della verità religiosa contenuta nel ‘Tanakh’.

L’altra forma di nazionalismo sionista, seppur anch’essa figlia dell’illuminismo ebraico (Haskalah), assunse un’accezione più incentrata sulla religione, dove il militarismo sionista doveva incentrarsi di più sull’antica legge ebraica, l’Halakhah. Questa forma di sionismo si incentrava sull’idea della Grande Israele, fondata sugli storici confini ebraico-biblici. L’etnia ebraico-sefardita (di origine iberica e mediterranea) inizierà a sostenere questa visione religiosa in opposizione a quella Socialista dei padri fondatori askenaziti.

E sarà proprio in funzione anti-laburista che i nazionalisti religiosi daranno vita al cosiddetto “Revisionismo Sionista”. Caratterizzati da un acceso anticomunismo (diversamente dagli askenaziti vicini a Stalin; quest’ultimo creerà un Oblast interamente ebraico in Siberia), i sionisti revisionisti costituiranno quell’embrione che darà vita alla futura destra ebraica israeliana, l’attuale Likud.

Ed è in quest’ottica che si inserisce l’attuale crisi israeliana. È in questa visione che si contrappone oggi l’establishment sionista contro il nazionalista religioso ‘Bibi’ Netanyahu, il quale vorrebbe plasmare la società israeliana in un’ottica di sovranismo biblico. Questa stessa contrapposizione la si trova in America, all’interno del Partito Repubblicano, dove la componente trumpiana si accosta al sionismo biblico di Netanyahu, rispetto al resto dell’ Grand Old Party, ferocemente avverso e molto vicino al sionismo di matrice laica e liberale.

La società d’Israele, come si evince dalla sua storia, è sempre stata lacerata al suo interno, da differenze di natura sociale, politica e religiosa.

Basti pensare al programma scolastico attualmente in vigore, suddiviso in percorsi differenziati in base all’appartenenza religiosa e socioculturale.

La pedagogia nazionale, solitamente elargita ai cittadini tramite l’insegnamento scolastico, in Israele non trova fondamento, venendo trasmessa in forma: laica, araba, ebraico ortodossa e drusa.

Questa forte contrapposizione interna ci fa intuire il motivo per cui non esiste ancora una Costituzione scritta definitiva che possa andare oltre la Legge Fondamentale d’Israele. Inoltre, la divisione interna ci fa intendere l’importanza di avere una minaccia esterna come il fondamentalismo islamico e la minaccia dei vicini musulmani; senza i quali, Israele, molto probabilmente andrebbe in crisi, senza un comune nemico unificante esterno non avrebbe di fatto nessun collante identitario per tenere consolidata la propria Nazione.

Israele è dunque una patria divisa fra arabi musulmani e cristiani, sionisti laico-socialisti e nazionalisti religiosi, ebrei ultraortodossi antisionisti, e minoranze religiose come drusi, bahai e samaritani.

Per capire l’entità di tale divisione basti pensare a città come Nazaret, dove la maggioranza arabo-israeliana è superiore a quella ebraica.

La minoranza araba e quella ultraortodossa ebraica sono fortemente critiche dello stato d’Israele, e non partecipano alle ricorrenze nazionali sioniste, preferendo le proprie ricorrenze religiose.

Quindi se 'ebreo' non coincide per forza con l’ideologia sionista, va aggiunto che nemmeno 'israeliano' corrisponde per forza al sionismo; anzi, il più delle volte, fra di essi, vi possiamo trovare i suoi peggiori avversari.

 

 

Come se non bastasse, a complicare il quadro, va detto che nemmeno il mondo religioso ebraico è unito al suo interno.

Dal secolo scorso, il giudaesimo, ebbe infatti una frattura simile a quella che subirono i cattolici con i protestanti durante l’Età moderna. Il mondo ebraico attuale difatti è diviso fra comunità ortodosse, le quali seguono pedestremente l’Halakhah (l’antica legge ebraica), rispetto alle comunità riformate, che cercano di ridurre e di relativizzare l'imponente complesso delle mitzvòt (precetti da seguire) della Torah, adattandole al mondo contemporaneo.

Fra queste due visioni se ne fece largo una terza, intermedia e, ad oggi, molto diffusa negli Stati Uniti. Mi riferisco alla componente definita come “Conservative” o masoretica, un movimento che cerca di conservare elementi essenziali dell'ebraismo tradizionale, ma che consente la modernizzazione delle pratiche religiose in un senso meno radicale di quello sposato dall'ebraismo riformato. Questa componente “conservative”, intermedia fra i riformati e gli ortodossi, costituisce oggi la maggior componente sionista in opposizione a Netanyahu. Esattamente come Trump e altri leader sovranisti, “Bibi” si trova solo e in opposizione aperta a tutto il vecchio Stato profondo.

Ergo, sia i progressisti mondialisti dell’ebraismo riformato che i “conservative” askenaziti del sionismo nazionalista si ritrovano oggi riuniti in una ‘santa alleanza’ per la salvaguardia del vecchio sistema di potere.

Vedremo se nel tempo, questo vecchio “nuovo” Ordine mondiale verrà spazzato via da un rinnovato mondo “pluriversale” sovranista.

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Articolo pubblicato il 25/04/2023