10 settembre 1986: scompare Sabina Badami
A Torino, il 10 settembre 1986, scompare Sabina Badami, impiegata di 27 anni, che lavora da quattro anni all’Ufficio Recapiti delle Poste Italiane di corso Tazzoli. Sabina è originaria di Prizzi, a 80 chilometri da Palermo, vi ha frequentato le elementari e le medie, si è diplomata in ragioneria, ha avuto il primo impiego presso la locale Pretura. Quando ha vinto il concorso alle Poste, si è trasferita a Torino e ha preso alloggio al civico 11 di via Monte Nero, in Barriera di Milano. Ha mantenuto i legami coi familiari, due o tre volte l’anno andava a trovarli al paese e ogni settimana si sentivano per telefono. Nella nostra città, Sabina, graziosa bruna con gli occhi scuri, pare frequentare alcuni colleghi divenuti amici: domenica 7 settembre, alla sera, è andata con loro a mangiare una pizza al Festival dell’Unità, mostrandosi «allegra, perfettamente normale».
Il 10 settembre si reca al lavoro. Una collega, nel primo pomeriggio, la riaccompagna in auto a casa, in via Monte Nero, così si dice in concomitanza della scomparsa. Sabina rifiuta gli inviti dei suoi colleghi ad uscire quella sera. Spiega di voler andare a dormire presto poiché l’indomani, dopo il lavoro, ha programmato di partire per Falconara Marittima. Vuole raggiungere la località turistica in provincia di Ancona per assistere alla cerimonia del giuramento di un suo nipote che presta il servizio militare all’84° “Fanteria Venezia”.
Verso le 22:00 di quella sera telefona alla sorella Anna Teresa, le dice di aver ottenuto un giorno di permesso per il viaggio a Falconara e di aver programmato la partenza per giovedì, dopo il lavoro.
L’11 settembre Sabina non si presentata in ufficio. I colleghi si insospettiscono perché in quattro anni è sempre stata puntuale al lavoro. Così è il suo diretto superiore a presentare la denuncia di scomparsa al Commissariato San Paolo. Indagano anche i Carabinieri.
Gli investigatori perquisiscono con particolare cura l’abitazione di via Monte Nero, dove tutto appare in ordine e, nei cassetti, si trovano denaro e oggetti personali. Si ha la sensazione che Sabina sia uscita, ma non pensasse di assentarsi a lungo.
L’attenzione degli inquirenti si concentra su un’agenda che Sabina usava come diario e che contiene annotazioni, poesie e qualche numero di telefono. Alcuni testi denotano ansie e angosce che parenti e amici, forse, non ravvisavano. Compare il nome di un amico d’infanzia, scritto in stampatello e sottolineato. Attirano l’attenzione questi versi: «Illusione: ho creduto fosse la mia libertà, ali per volar lontano… Ma da farfalla dai colori vivaci son tornata bruco, ad intrecciare le fila di quel bozzolo dal quale non voglio più uscire».
Sono questi gli scarsi elementi per spiegare la scomparsa di Sabina, della quale tutti escludono una fuga volontaria. Qualche giorno dopo la pubblicazione della notizia su La Stampa, un giovane dichiara ai Carabinieri di aver dato un passaggio a una ragazza identica a quella della foto pubblicata sul giornale. Afferma di averla incontrata nella mattina dell’11 settembre, lungo la strada che da Collegno porta a Torino: era malvestita e in stato confusionale. Ma era proprio Sabina? Non ci sono elementi di conferma e le indagini non hanno impulso.
In Sicilia, il padre di Sabina, Giuseppe, muratore in pensione di 72 anni, si convince che la scomparsa della figlia sia collegata agli screzi esistenti con una famiglia di vicini di casa, i Castelli. Un tempo erano amici, tanto che il padre è stato testimone di nozze per il capofamiglia. Poi sono sorti diverbi, per questioni di confine dei cortili delle rispettive abitazioni, con insulti e minacce. Durante un’udienza in Pretura, Castelli ha aggredito Sabina, dicendole: «Ti farò piangere lacrime di sangue», e rivolto ai Badami «Vi farò scomparire uno alla volta». L’8 maggio 1987, Giuseppe Badami uccide con un fucile calibro 12 caricato con pallettoni a lupara, Sebastiano Castelli, di 67, la moglie Teresa di 53, e la suocera di 72, poi si costituisce ai Carabinieri. Spiega: «Sono stati loro a far rapire mia figlia. L’avevano minacciata durante il suo ultimo viaggio in Sicilia. Sicuramente hanno assoldato qualche malavitoso torinese ordinandogli di rapirla e forse d’ucciderla. Dovevo fargliela pagare».
Non emergono però particolari che avvalorino questa ipotesi e il mistero della scomparsa di Sabina permane. A giugno del 1989, dopo tre anni, pare emergere un raggio di luce.
Un impiegato dell’Aeritalia si presenta ai Carabinieri dopo aver visto le foto di Sabina sui giornali e dichiara di essere certo di averle dato un passaggio a quella ragazza. Lei faceva l’autostop, al mattino presto, vicino a Grugliasco. Era vestita con un abito blu, indossato sopra i pantaloni di un pigiama, così gli pare di ricordare. Lei era un po’ confusa, ma non sconvolta. Gli ha parlato del padre malato, ha aggiunto di lavorare alle Poste di corso Tazzoli. Mosso a pena, l’impiegato avrebbe voluto fare qualcosa in più per lei, ma in corso Marche la ragazza è scesa dalla macchina, dicendo che sarebbe andata a prendere un caffè nel bar all’angolo con corso Francia. Nessuno però al bar si ricorda di lei, fra le 7,15 e le 8 di quell’11 settembre 1986.
In questo caso, le informazioni fornite dalle varie fonti appaiono particolarmente confuse. Non è chiaro se si tratti della stessa persona, indicata come «un giovane» che si è presentato ai Carabinieri qualche giorno dopo la pubblicazione della notizia su La Stampa, oppure di un secondo personaggio. L’11 settembre 1986 Sabina ha chiesto un passaggio a due persone diverse? In ogni caso, viene descritta negli stessi termini e collocata tra Grugliasco-Collegno e Torino. Se si tratta di una seconda testimonianza, non è in grado di dare nuovo impulso alle indagini. Nell’aprile del 1992, a cinque anni e mezzo dalla scomparsa, il Tribunale di Torino dichiara la morte presunta di Sabina.
Si aggiungono in seguito altre informazioni – purtroppo non risolutive – su questo caso.
Qualcuno ha voluto attribuire particolare importanza al fatto che, nel 1984, alle Poste di corso Tazzoli è stata eseguita una rapina al pianterreno dell’edificio dove lavorava Sabina. I cinque rapinatori, arrestati, erano tutti siciliani, appartenenti al clan dei catanesi. Questa coincidenza ci appare di non agevole definizione.
Nel 1998 il programma “Chi l’ha visto?”, ha scoperto che il 10 settembre, alle ore 14:00, Sabina Badami avrebbe chiesto un passaggio ad un collega, che non conosceva né le sue abitudini, né il suo indirizzo, e si è fatta lasciare in via Ivrea, luogo distante alcuni chilometri dalla sua casa di via Monte Nero, dove si trovava la casa-albergo dei dipendenti delle Poste.
Inoltre, una vicina di casa ritiene di aver visto, la mattina dell’11 settembre, Sabina mentre usciva di casa in compagnia di un giovane. Le ultime ricostruzioni del caso presenti in rete accennano a un legame sentimentale di Sabina, aspetto non emerso dalle prime notizie giornalistiche.
La presenza di un misterioso “fidanzato” è suscettibile di più percorribili, anche se truci, ipotesi. Il legame è stato tenuto in ombra, forse dalla stessa Sabina, ma più probabilmente dal protagonista maschile che pare esercitare un certo dominio su di lei che viveva da sola a Torino, senza parenti e amici di riferimento: poteva sparire, analogamente ad altri casi, senza destare particolare clamore. Il misterioso personaggio è un serial killer predatore, che ha fatto sparire il cadavere? oppure cerca di accalappiare giovani donne per avviarle alla prostituzione all’estero o agisce come procacciatore per una setta satanica? Forse sono ipotesi esasperate, ma l’aspetto veramente inquietante di questa vicenda è il fatto che una giovane donna confusa e con abbigliamento disordinato, indice di un allontanamento frettoloso, ha vagato per la città, ha chiesto uno, forse due passaggi in automobile, per poi scomparire nel nulla.
Per la redazione di questo articolo è stata utile la consultazione del libro di Piero Abrate Storie Assassine, Ligurpress, 2016.
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Articolo pubblicato il 15/09/2023