Le case a forma di fungo, le foreste urbane e una passeggiata tra la bioarchitettura
designmidjourney, la casa nella foresta. Autosufficiente, i "funghi".hanno funzioni di climatizzatore

Nuove e vecchie visioni per un’urbanistica in sintonia con lo “spirito del sito”. Il respiro corto del pianeta sta aspettando       

Incipit

Questo sintetico articolo è nato anche in seguito a recenti esternazioni del ministro delle infrastrutture Matteo Salvini, ancora distante da una politica attenta alle problematiche ambientali. Soggetto poco caro anche al governo, assorbito dal piano Mattei che scodinzola ad Africa e Arabia in cerca di gas, nonché teso al ritorno dell’energia nucleare, piuttosto che una riconversione ancora lenta di un utilizzo energetico sbagliato…. Come tutti i governi precedenti, dall’austerity in poi.

Anni 70: il Politecnico di Torino e i pionieri della bioarchitettura

Stabilito che, prima del cemento armato i materiali edili erano per lo più di origine territoriale, la nuova, ariosa architettura basata su pilotis e travi ha stravolto l’edilizia, permettendo costruzioni ardite prima inimmaginabili. Però, visto il dilagare della cementificazione, in tempi non sospetti, alcuni professionisti avevano intravisto il bisogno di tornare a interagire in modo più naturale e armonico con l’ambiente.

Già alla fine degli anni 70, al politecnico di Torino, presso il laboratorio del professor Giorgio Ceragioli si studiavano materiali a base di fibra naturale armata con canne di bambù, capace di sorprendenti proprietà meccaniche.

Erano ricerche pionieristiche destinate a regioni non solo tribali. La necessità di materiali alternativi all’assalto razionalista del cemento armato, covava nelle menti intuitive di poetici studiosi che percepivano la necessità di dover gettare il pensiero al futuro.

Bruno Zevi, Paolo Soleri, Christian Norbert-Scholz, Hubert Palm furono le avanguardie di quella bioarchitettura in fasce, ma già con le idee chiare nel voler ottimizzare il rapporto tra edificio e territorio attraverso la comprensione dello “spirito del sito”, e la necessità di integrarsi con la cultura e la territorialità locale. Alcune delle più ardite realizzazioni, quali la città nel deserto del Nevada, di Paolo Soleri sono tuttora abitate.

Significative, prime opere di precursori coscienti di dover preservare l’ecosistema e la qualità della vita senza essere invasivi, impiegando materie locali ed energie rinnovabili, per limitare l’impatto che, in quegli anni di boom industriale, stava mutando uno stile di vita “circolare,” a favore di un traffico di genti e di merci sempre più fitto e lineare, deformando allo stesso tempo il profilo di paesi e città.

L’urbanizzazione e la superficie boschiva

Mentre alla facoltà di Architettura si studiavano impianti eolici e fotovoltaici, e soprattutto, quelle case passive che hanno atteso troppo tempo prima di ricevere la giusta attenzione, il cemento divorava i prati delle periferie alla velocità del “nulla”; la forza che distrugge tutto, ne: “La storia infinita”.

La razza umana deve toccare il fondo prima di capire i propri errori e iniziare un ciclo definibile “dell’auto perdono”, ma l’aggressione alla madre Terra, tarda a placarsi. Siamo sempre più invasivi, la superficie boschiva, termo-regolatore naturale del pianeta, perde 10 milioni di ettari ogni anno.

Mentre da una parte divorare terreno è stato il motore dello sviluppo globale, dall’altra, studiosi e filosofi si davano da fare per immaginare un mondo diverso. In Italia la bioarchitettura ha iniziato il suo risveglio negli anni 90, innescata dal pensiero e dalle prime opere di Ugo Sasso. Granelli d’erba in un mare d’asfalto. Per una percepibile accelerazione si è dovuto attendere una definitiva presa di coscienza sul riscaldamento globale e le opportunità di business commerciale.

La premura del nuovo millennio.

Ed eccoci ai giorni nostri, con una corsa al “sostenibile” che da un punto di vista edile dovrebbe avere priorità, incentivi e regole precise, per favorire scelte razionali ancor prima che economiche, così come si faceva al Politecnico negli anni 70-80, stimolando una disinteressata, ma profonda presa di coscienza sui risvolti dell’evoluzione.

Ora l’urgenza è di “restituire” ogni area possibile a un terreno naturale e boschivo, col ruolo di “umidificatore” del microclima urbano, anche senza l’ok. del G20 e confrontarsi con i vari punti dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Occorre agire bene e in fretta.

Una risposta si è data con i palazzi del tipo “bosco verticale” edificati a Milano, un isolato ecosistema trendy che rischia di farsi invadere da alberi e radici o diventare un costoso abito vivente per un condominio sempre in ansia da manutenzione.

 

La più logica soluzione è nell’incremento delle “foreste urbane”; aree naturali che si integrano nel panorama cittadino (periferie del Madagascar “docent”); un progettare che richiede anch’esso un sapere retroattivo e meditato, per non commettere errori che a suo tempo sono diventati le cause dei problemi attuali.

Fibre naturali, funghi e altri materiali

La bioarchitettura sta sviluppando una nuova forma di materiale edile basato sull’utilizzo del micelio, il corpo vegetativo dei funghi che, al contrario della parte fertile, di breve durata, ha invece una vita molto lunga, anche secoli e una inerzia termica molto minore dei materiali cementizi. Ideale anche per le future costruzioni sulla Luna e su Marte…

Una tematica organica che comprende lo studio di altri materiali da costruzione di origine naturale, quali il legno, la fibra di legno, la fibra di cocco, la fibra di cellulosa, il sughero e le balle di paglia, di riso, di grano e cereali vari. Uno studio che riporta all’università, nel 1980, al tempo del Prof Ceragioli e ai mattoni di pasta di riso.

Altrettanto interessante è il riciclo di plastica quale PVC & PP, sia nell’arredo che nell’edilizia, e di polverino di pneumatici (CPU) in asfalti di lunga durata ed elevato rotolamento. Esaltante è il potenziale del grafene per irrobustire e rendere elastici i più comuni materiali usati in edilizia, e altrettanto il riciclo dei polimeri più comuni per la realizzazione di tratti stradali leggeri, solidi, prefabbricati, componibili e riutilizzabili, con spazi per tubazioni annessi (Plastic Road).

Dunque oggi come oltre quarant’anni fa, la creatività è in fermento. Ora tocca alla politica allearsi con la ricerca e gestire in modo “ipergreen” il territorio. Ma per questo serve convertirsi e studiare in modo approfondito, poiché le realtà sono molte.

Le città attente alla vita ecosostenibile

Nel mondo, la progettualità ambientale sta cercando un compromesso fattibile tra l’aumento della popolazione, lo sviluppo delle metropoli e la necessità di nuova energia, e allo stesso tempo, l’impellenza di incrementare le superfici alberate e adottare uno stile di vita a basso impatto ambientale.

Volendo si può fare, in alcune metropoli l’ecosostenibilità, calcolata secondo svariati parametri, va di pari passo con un maggiore senso civico. Spiccano Copenaghen, Vienna, Amsterdam, Vancouver, Stoccolma, e poi, un merito a parte spetta a Singapore. La futuristica metropoli asiatica, pensata e sviluppata in ottica verde, rappresenta un faro che illumina il tempo a venire.

Nelle nostre città l’imperativo è riconvertire l’archeologia industriale in disuso e destinare ogni ettaro possibile a nuovi parchi urbani. Quindi, occorre diffondere una scuola formativa tendente a un futuro consapevole (1994: progetto di forestazione ai lati della A55 di Torino; condiviso con gli allievi della scuola Baretti).

 

La bizzarra architettura a forma di fungo, di igloo e altro

In questo sovrapporsi di idee progettuali, stanno prendendo forma eccentriche tipologie di piccoli edifici ispirate all’aspetto di funghi, di igloo, di palafitte o di altri soggetti molto più interessanti di un ipotetico gioco progettuale. L’aspetto buffo, ma non banale, maschera spesso efficienti sistemi passivi che rendono la costruzione autosufficiente, a bassissimo impatto ambientale e soprattutto, quasi sempre smontabile.

 

Non è una soluzione al riscaldamento globale, ma un esercizio creativo sì. Un modus operandi in sintonia con quello “spirito del sito” tanto caro ai pionieri dell’architettura biocompatibile anni 70. Progetti che sembrano lontani, ma erano già molto avanti.

In conclusione, l’ossigeno, il pianeta, il microclima urbano e un certo numero di architetti dal pollice verde, vedrebbe con favore il ministro delle infrastrutture più attento al terreno nazionale già razziato dal cemento (il 7,4% contro la media del 4,5% della UE. Il 40% nella Brianza), con un occhio meno puntato sul consenso popolare (così fan tutti), ma verso un nuovo Rinascimento urbanistico di cui l’Italia ha un gran bisogno, proiettando la mente oltre il presente, e anche al di là del futuro.

 

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Articolo pubblicato il 14/09/2023