Le colonne della memoria – Il monumento ai caduti di Treviso

Di Alessandro Mella

Negli anni Venti, sull’onda emotiva che attraversò il paese dopo la tumulazione del Milite Ignoto al Vittoriano, la maggior parte delle amministrazioni comunali italiane avviarono bandi, concorsi, raccolte di fondi e così via per poter realizzare monumenti dedicati ai propri caduti nella guerra vittoriosa del 1915-1918.

Anche Treviso non volle essere da meno e si dedicò l’analisi dei molti progetti pervenuti in seguito al bando del 1926.

La commissione scelse l’opera proposta da Arturo Stagliano il quale fece fondere le parti bronzee presso la fonderia Barberis in Torino.

Fu in occasione delle celebrazioni del 4 novembre 1931 che si tenne la cerimonia inaugurale con il podestà Ignazio Chiarelli e soprattutto con la presenza del “re soldato” Vittorio Emanuele III giunto da Roma:

A solennizzare sempre più la storica data, S. M. il Re ha inaugurato a Treviso il monumento ai Caduti della Marca trevigiana ed alcune opere pubbliche. A Roma, S. A. R. il Duca di Pistoia, in rappresentanza del Sovrano, ed il Capo del Governo colle altre autorità, hanno presenziato alla Messa solenne che, nella ricorrenza della Vittoria, ogni anno, viene celebrala nella Chiesa di S. Maria degli Angeli, ed il Milite Ignoto» ricevette l'omaggio di S. E. il Primo Ministro, dei Ministri e Sottosegretari di Stato e fu pure mèta, nel pomeriggio, di un corteo popolare. (1)

A Treviso, nel giorno della Vittoria, venne solennemente inaugurato, con intervento del Re, il monumento ai Caduti, che venne benedetto da quel Vescovo Mons. Longhiu, che pronunciò pure un patriottico discorso. (2)

Dell’arrivo del sovrano e della cerimonia i giornali offrirono un ricco resoconto di cui si riporta un esempio in estratto:

In questo giorno sacro alla Patria, la gente della Marca è venuta dalle pendici del Montello, dalle rive del Piave, dai paesi che hanno, quale monumento gigantesco ed eroico, il baluardo del Grappa, è venuta a Sernaglia, da Nervesa, da Fagarè, da Vittorio Veneto, da tutti gli altri novanta Comuni della provincia a Treviso per salutare il Re Soldato e per rendere onore ai Caduti.

Treviso ha meritato l'onore della visita: 1526 bombe cadute; 30 morti e 50; feriti tra la popolazione civile; 210 abitazioni distrutte; 1300 danneggiate; 679 soldati caduti, vale a dire oltre il dieci per cento della popolazione, e tre medaglie d'oro costituiscono il suo glorioso patrimonio.

Questa città, sacra al cuore del Re, e che il Duce salutò baluardo estremo della Patria, ha celebrato l'apoteosi dei suoi Morti, con un orgoglio che soltanto la commozione ha superato. (…) Quando il treno reale è giunto sotto la tettoia si è fatto un attimo di silenzio, durante il quale la folla, che attendeva fuori, è sembrata sparire; un lontano appello di campana ha rintoccato, lento.

Poi, subito, sono squillate le note della fanfara e della «Marcia Reale» il Sovrano è sceso, accompagnato dal primo aiutante di campo, generale conte Asinari di Bernezzo, dall'Ammiraglio Miraglia, e dal Ministro della Real Casa conte Mattioli, ed è stato ricevuto da S. E. Pierazzi, Sottosegretario alle Comunicazioni, in rappresentanza del Governo, da S. E. Bodrero, vice-presidente della Camera dei Deputati, dal senatore Bonin-Longare, in rappresentanza del Senato, e da tutte le autorità della provincia.

All'uscita dalla stazione, un'esplosione di applausi, di grida e di fanfare ha salutato il Sovrano, che si è recato subito, in automobile, alla sede del Consiglio provinciale dell'Economia e della Borsa di Commercio.

Il palazzo è un vasto edificio, costruito in parte su un'antica caserma, e presenta, nell'interno, ambienti signorili, intonati nel gusto e nelle decorazioni, all'architettura moderna.

Il Sovrano ha compiuto una rapida visita ai saloni e agli uffici, e, dopo essersi intrattenuto con i principali rappresentanti delle organizzazioni del commercio veneto, si è affacciato al balcone, chiamato dagli insistenti, entusiastici clamori della folla, che prorompeva nel vederlo, in un fragoroso saluto.

Ricomposto il corteo, il Re si è recato al nuovo piazzale della Vittoria, tratto dall'unione delle due antiche piazze Cavallerizza e Bressa, dove sorgono il monumento ai Caduti ed il Palazzo delle Poste.

Trenta mila persone, tra le quali quindicimila combattenti, tremila mutilati, duemila bambini delle Scuole, fascisti e cittadini attendevano il Sovrano; e, non appena l'automobile reale è apparsa all'ingresso della piazza, l'applauso è scoppiato e si è propagato rapido, impressionante, raggiungendo l'intensità di un'ovazione.

Il Re ha preso posto nella tribuna reale, di fronte al monumento cui sono stati tolti allora i drappi tricolori e bianco-azzurri. (…) Il monumento discende direttamente, per concezione, dal ceppo bistolfiano.

Tema ne è il «Ritorno dell'Eroe»; e il tema stesso, nel suo accademismo, dice come il suo svolgimento si presti a una interpretazione simbolica. Anche da questo verso la nuova opera di Arturo Stagliano s'innesta in quel genere di scultura nella quale il Bistolfi appunto tenne il primato in Italia or sono venti o venticinque anni.

Accademia, dunque: sia nella macchina, diremo così, del monumento, sia nelle singole figure, ciascuna delle quali, per l'atteggiamento, per l'espressione, pel gesto si mostra idonea ad un bell'esercizio di forma, a un'ostentazione di buona scuola. Accademia e retorica, ma — pur nei loro concetti ormai superati da nuove tendenze — ottima accademia e nobile retorica.

Sia la composizione generale architettonica del monumento, infatti, che i vari momenti plastici dello spirituale corteo, specchiano un senso d'equilibrio armonioso e maestoso, una dignità solenne e meditata che in ugual misura si ritrova tanto nel gruppo centrale dell'Eroe portato a braccia dai compagni d'arme e scortato da madri dolenti (…). Ed un'architettura sì d'una semplicità estrema ma efficacissima (…).

Ora tutte le campane degli innumerevoli campanili della città hanno suonato di festa e di gloria, mentre squadriglie di aeroplani rombavano alto, nel cielo. Poi si è fatto improvvisamente un grande silenzio; e lente, nitide, duemila voci di bimbi, solenni nel grave (…) si sono levate a cantare l'inno del Piave.

È stata una pausa di raccoglimento e di commozione indicibile. L'arcivescovo di Treviso, prima di benedire il monumento, ha portato il suo saluto alla maestà del Re, che ha ricordato soldato durante la guerra, invocando poi sul suo capo le benedizioni divine e terminando con l'esaltazione degli Eroi.

Quindi S. E. il gen. Vanzo, presidente del Comitato per il monumento, ha detto del significato spirituale dell'opera e l'ha offerto idealmente al Re.

Il Podestà onorevole Chiarelli ha pronunziato un breve nobile discorso.

Un clamore di inni, un fitto scrosciar di applausi, un grido incessante di «Viva il Re!»  ha accompagnato il Sovrano mentre Egli compiva il giro dell'aiuola verde che circonda il monumento, passando accanto ai combattenti ed ai mutilati, che protendevano le braccia verso di lui, gridando tutta la loro fede.

Non pochi di essi hanno il corpo lacero e deformato dalle ferite; i più recano, sul petto, i segni del valore ed è a questo punto che la manifestazione ha toccato la più alta intensità ed ha espresso più vivi l'amore e la dedizione (…). (3)

Anche l’Istituto Luce produsse un breve video per il cinegiornale affinché si serbasse ricordo dell’evento. Fu, a prescindere da tutto, una storica giornata per Treviso.

Tuttavia, un’altra guerra venne a usare violenza sulla città inerme e le bombe caddero di nuovo, ma dalla pancia metallica degli aeroplani angloamericani, soprattutto il terribile 7 aprile 1944.

A quella furia esplosiva il monumento non scampò con danni alle fondamenta ed alle statue collocate sui lati. Un disastro che richiese un primo intervento di messa in sicurezza e parziale ripristino nel 1946.

Decenni di degrado, intemperie, vandalismi e noncuranza concorsero a danneggiare l’opera che, fortunatamente, a cavallo del 2016 fu oggetto di un restauro coincidente con il centocinquantesimo anniversario della liberazione del Veneto dal gioco asburgico al tempo delle guerre risorgimentali.

Ed oggi il complesso sorge ancora ove tanti anni fa fu innalzato a ricordo e memoria di quei militi che nelle trincee caddero per darci un’Italia migliore di cui dobbiamo essere eredi e custodi non immemori.

Alessandro Mella

NOTE

1) L’Alfiere, 44, Anno XII, 7 novembre 1931, p. 1.

2) Il Popolo, 45, Anno IX, 8 novembre 1931, p. 2.

3) La Stampa, 263, Anno LXV, 5 novembre 1931, p. 1.

 

 

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Articolo pubblicato il 22/11/2023