Vigonovo (PD) - Romanzo criminale

Come si trasforma un assassinio in un evento epocale

Che la televisione fosse ormai ridotta a un ridicolo strumento di propaganda e di basso intrattenimento l’avevamo capito da tempo, e ne abbiamo dato conto più volte su queste pagine.

Ben lontana da quella “cattiva maestra” di cui parlava Popper nel suo famoso saggio del 1994, essa è precipitata a un livello ancora più basso di quello ipotizzato dal filosofo austriaco e, in questi giorni, ha toccato il fondo con la vicenda dei due fidanzati di Vigonovo.

Non ci intratteniamo sui dettagli dell’assassinio di Giulia e della fuga di Filippo, fatti ormai raccontati in tutti i loro brutali risvolti da cronisti affamati di notizie, di interpretazioni, di illazioni, di ipotesi che possono solo più interessare sfaccendati e casalinghe.

Quello su cui invece vale la pena di soffermarsi è l’incredibile risalto mediatico dato alla storia dalle televisioni di tutti i tipi, con un’esaltazione particolare da parte delle reti più popolari facenti capo a Mediaset.

Le case degli italiani sono state invase da un’ondata di servizi a reti unificate, da un’incredibile alluvione di commenti, da un’ansimante eccitazione comunicativa supportata da debordanti opinioni di psicologi, sociologi, criminologi, opinionisti di tutte le specie, pensatori da dopolavoro, parenti, preti, amici, vicini di casa e passanti occasionali a cui non è parso vero di potersi mostrare davanti alle telecamere nelle vesti di chi ha -ed aveva- capito tutto.

Particolare tristezza ha suscitato la sorella della vittima che, in un momento che avrebbe dovuto essere di intimissimo dolore, ha voluto vestirsi da sociologa e spiegarci che cos’è il “patriarcato”, la “cultura dello stupro” e altre raffinatezze intellettuali.

Ma, oltre il turbine di parole degli esperti e dei vari padroni del discorso, piccoli e grandi, quello che ha disturbato di più è l’appropriazione di questa narrazione da parte della politica e dell’ideologia, come sempre accade.

Che cosa è accaduto nella nuda realtà? Un uomo posseduto dal demone della passione e della gelosia ha ucciso la sua donna per impedire che lo lasciasse e, magari, fosse di altri. Una vicenda persino banale nella sua cruda ripetitività, una vicenda che nei secoli si è riproposta innumerevoli volte, in tempi, luoghi e culture diverse. La storia e la letteratura sono purtroppo colme di storie analoghe; e la cronaca ci dice che solo in Italia, nel corso di quest’anno, si sono avute 105 uccisioni di donne, di cui 82 assassinate in ambito familiare o affettivo; ma anche che il nostro paese, in Europa, si colloca solo al ventesimo posto nella graduatoria degli omicidi contro le donne. Eppure l’evento di qualche giorno fa sembra avere un’attrazione speciale per i fabbricanti di notizie e per l’opinione pubblica.

E adesso che succederà? Anche qui nulla di particolarmente nuovo o eccezionale: il presunto assassino verrà estradato dalla Germania secondo le procedure del diritto internazionale, verrà processato da un tribunale italiano con tutte le garanzie per la sua difesa, verrà sicuramente condannato a una pena prevista dalla legge, la sconterà e, se meritevole, dopo un certo numero di anni potrà ottenere i benefici di legge, come è sempre accaduto e, si presume, sempre accadrà.

Non abbiamo a che fare con un mostro meritevole di un trattamento diverso, ma solo con un uomo nella cui anima, in un certo momento della sua vita, si è aperta una voragine che nessuno di noi conosce, neppure i telepsichiatri e i telecriminologi, e men che meno l’uomo della strada, una voragine che ha inghiottito la sua ragione e la sua volontà e l’ha portato a quel gesto tremendo. Per descrivere tutto ciò forse non basterebbe Dostoevskij, figuriamoci Mentana e la Bruzzone.

Ma, dicevamo, la cosa che ha più disturbato è la politicizzazione e l’ideologizzazione di questa vicenda criminale, e forse proprio per questo essa è stata così esaltata e mediatizzata.

Il femminismo, sia nella sua versione militante sia in quella più avvolgente della cultura woke -che ormai è diventata cultura popolare- ha trovato nella vicenda veneta lo spunto per un profluvio di considerazioni anti-maschiliste che covava da tempo e che ha invaso i teleschermi, le pagine dei giornali, le chiacchiere di strada.

 Un film come C’è ancora domani della Cortellesi, con un’incredibile coincidenza temporale, sembra girato apposta per rafforzare la tesi di un uomo intrinsecamente brutale e geneticamente violento.

Un’idea del tutto inconsistente, com’è ovvio, ma di grande presa sulle anime femminili più semplici e inclini alla rivendicazione di genere, un’idea che fa star bene l’operaia ma soprattutto la docente universitaria, la casalinga ma soprattutto la scrittrice. E anche qui, come già detto in altri tempi, si dimostra quanta ragione avesse Jacques Ellul quando sosteneva che sono proprio le classi superiori ad essere influenzate dalle visioni più astratte, ideologiche e attraenti.

Un’ultima riflessione può riguardare l’educazione. Oggi il mondo sembra voler ribaltare ogni responsabilità e attribuire ogni potere all’educazione per quanto riguarda i comportamenti umani disdicevoli e trasgressivi, tant’è che un’ispirata Elly Schlein ha proposto di inserire nelle scuole una “educazione all’affettività” che non si capisce bene che cosa sia; forse una moderna educazione sentimentale alla Flaubert, che andrebbe ad aggiungersi a tutte le altre “educazioni” che opprimono il tempo scolastico dei giovani: da quella civica a quella sessuale, da quella alla legalità a quella stradale, da quella ambientale a quella gender, da quella all’accoglienza e all’inclusione a quella alimentare, e via educando.

 Si sperava che almeno i sentimenti, cosa delicatissima e del tutto intima, rimanessero prerogativa dell’individuo, della sua irripetibile unicità e della sua capacità di crescita personale, ma evidentemente per la Schlein non è così, essendo anche lei vittima di quell’ottica pan-pedagogista che è un’antica e mai accantonata presunzione della sinistra.

In fondo basterebbe far leggere ai giovani qualche capolavoro di quella sterminata e meravigliosa letteratura che nei secoli ha creato storie e figure che costituiscono la vera “educazione ai sentimenti” di cui parlano senza cognizione di causa i nuovi sedicenti pedagogisti: Dante, Shakespeare, Goethe, Rousseau, Stendhal, Flaubert, Tolstoj, Lawrence -per citarne pochissimi- sono un patrimonio di intelligenza, sensibilità, conoscenza dell’anima in cui i sentimenti veri, con tutto il loro carico di profondità e bellezza, costituiscono un grande e impareggiabile strumento educativo, come è sempre stato per generazioni e generazioni di uomini e donne.

E poi, riflettiamo: un uomo che uccide una donna è, come dicevamo, vittima di un crollo mentale in cui ogni razionalità, in un attimo di buio, viene inghiottita dal buco nero della follia. Qualcuno pensa di fronteggiare questo evento catastrofico e incontrollabile con qualche lezione di buoni sentimenti e con un po’ di fuffa moralistica?

Le psicosi, perché di questo si tratta, si evitano forse con qualche frettolosa predica sui banchi di scuola? Il carattere possessivo, geloso e violento è materia della psichiatria, del diritto penale e della politica criminale, non certo di una qualche verbosa pedagogia impartita a bambini e adolescenti.

E poi, per concludere, potrebbe anche essere opportuna una forte raccomandazione alle varie reti televisive -e magari una vera e propria direttiva alla televisione di stato- con cui si chiede di limitare lo spazio, il tempo, l’enfasi dedicati agli eventi criminosi. Dopotutto, esiste anche una cosa chiamata “effetto imitazione”, che probabilmente per le menti più deboli non è del tutto trascurabile.

 

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Articolo pubblicato il 22/11/2023