Come si viveva a Torino nel Medioevo

Di Katia Bernacci

Se potessimo parlare con un uomo o con una donna del Medioevo, cosa ci racconterebbero della loro vita e di Torino?

Il Medioevo copre un periodo talmente ampio da creare numerosi problemi agli studiosi, che con difficoltà cercano di uniformare gli eventi, le culture e i popoli che si sono avvicendati, creando strati culturali e ponendo le basi per quello che sarebbe stato il Rinascimento Cinquecentesco, epoca che vide l’esplosione della tecnica e delle arti, con un cambiamento nel modo di pensare che avrebbe condotto all’epoca moderna.

Anche la città di Torino, insediamento di primaria importanza all’epoca, per la sua collocazione alla base della valle di Susa, luogo di passaggio che collegava l’area francese al nord Italia, assistette ai cambiamenti che il passare dei secoli produceva nel territorio e nei suoi abitanti.

Un primo forte impatto era stato dato dai longobardi, popolazione germanica di cui abbiamo trovato una necropoli a Collegno, durante gli scavi del 2002 per la costruzione della metropolitana, anche se pare che questi uomini si fossero perfettamente adattati alla vita piemontese, non costringendo gli abitanti a modificare le loro abitudini culturali.

A questi aveva fatto seguito Carlo Magno, che con il suo esercito di (dicono le cronache) franchi maleducati, era entrato a Torino nel 773 d.C., e ancora gli Arduinici, i Savoia, i  francesi, passando per le scorrerie dei Saraceni, che bighellonavano in giro causando parecchi danni, come l’incendio del monastero e della chiesa di Sant’Andrea, dove ora si trova la Consolata, che custodiva purtroppo i volumi del monastero della Novalesa, nascosti dai frati che ritenevano Torino meno pericolosa della Novalesa.

La vita piuttosto dura di quegli anni non era certo solo dovuta ai “dominatori”, influivano anche le condizioni difficili, la povertà, le carestie, le epidemie e il clima, e spesso questi elementi, già difficili da gestire quando si presentavano da soli, erano correlati e anzi, si manifestavano e ampliavano con un effetto domino per il quale le aspettative di vita erano, quando andava bene, la metà di quelle odierne, e nel caso di morti alla nascita e durante i primi anni di vita, non è quasi possibile fare alcun tipo di analogia.

Prendiamo un anno in particolare, il 1216, annus horribilis per il quale le cronache raccontano che faceva talmente freddo da far gelare il vino nelle botti, che invece di essere bevuto, veniva mangiato con il pane (non pensiamo a quello di oggi, allora solo i ricchi potevano cibarsi di pane di farina bianca, i poveri si accontentavano di focaccette di farina di crusca e avena, durissime e poco saporite, tanto che proprio nel Medioevo era stato inventato il termine companaticum, ad indicare quello che si abbinava al pane, che in questo modo prendeva sapore e diventava più gradevole). Quell’anno, nel mese di febbraio, scoppiavano gli alberi per il gelo e il grande fiume, il Po, era congelato per quindici cubiti, misura che variava a seconda dei luoghi, ma che più o meno ci fa capire che era talmente ghiacciato che, come accadeva sul Tamigi, probabilmente le persone ci giocavano, installavano banchetti di vendita di cibo, socializzavano come possiamo vedere in alcuni dipinti dell’epoca, che riproducono scene di vita quotidiana, con una scenografia bizzarra, da Europa del nord, dove il freddo e il ghiaccio dominano su tutto, nascondendo il vero messaggio: le morti premature e le coltivazioni che marcivano sulle piante e che non sarebbero arrivate alla primavera.

Che cosa stava accadendo nel 1216? Faceva davvero così freddo? I ricercatori sono divisi a proposito dell’effettivo clima nei vari periodi del Medioevo, ma l’opinione più accettata è quella dell’Optimum climatico, ovvero il periodo caldo Medievale che dal IX secolo, per circa trecento anni, avrebbe tenuto al caldo l’Europa, alzando le temperature di 2-3 gradi rispetto a quelle odierne, per poi collassare nella Piccola Era Glaciale, che ha funestato i nostri territori fino al XIX secolo.

Come dicevamo sono molti gli studi che sostengono che non facesse così caldo e le prove sono date dall’analisi degli anelli degli alberi, che subiscono modifiche o rallentamenti nella crescita se il freddo è troppo intenso.

Tornando al 1216, oggi sappiamo che in quegli anni l’attività solare era molto intensa e che questo, unitamente ad altri fattori, può provocare un cambiamento climatico, ma non avendo altre evidenze, non possiamo desumere che ci sia stata una causa specifica, come ad esempio nel caso dell’anno senza estate, il famigerato 1816, quando l’Europa si trovò senza luce, a causa (si ritiene oggi) dell’eruzione vulcanica del Tambora, in Indonesia, che aveva immesso nell’atmosfera quantità incredibili di cenere vulcanica, creando un abbassamento della temperatura dovuto alla mancanza di luce e quindi di calore.

Nel secolo successivo ci sarebbe stata la pandemia più terribile di tutte, la peste nera del 1348, che in alcune zone avrebbe ucciso più di un terzo della popolazione, lasciando dietro di sé una carestia senza precedenti, mentre le terre coltivate venivano riconquistate dalla vegetazione selvaggia. Uno studio di qualche anno fa, condotto da Patrizia Carmine sui nomi di famiglia scomparsi, fece apparire una verità purtroppo intuibile: il 60% dei cognomi non più presenti era di persone che non possedevano beni immobiliari, solo il 26% apparteneva a coloro che invece ne avevano molti; come a dire che i poveri erano stati aggrediti con più violenza dall’epidemia, mentre i più ricchi erano riusciti a sopravvivere grazie probabilmente alla possibilità di spostarsi nelle case di campagna, delegando le mansioni inferiori, o anche solo la ricerca del cibo, ai domestici.

A Torino in quegli anni c’era una radicata oligarchia, che si trasmetteva potere e possedimenti di generazione in generazione; nel 1280 Tommaso III di Savoia vi si era definitivamente stabilito, la città era frammentata, e ancora racchiusa tra le mura di epoca romana, piccola rispetto ai secoli successivi, quasi un paese dove il mercato di piazza delle Erbe fungeva da centro, e dove tutto accadeva.

Insomma, la vita non era semplice e molti erano costretti a sotterfugi e ruberie, ma accanto alle disgrazie che le cronache spesso raccontano non lesinando i particolari, la Torino di quell’epoca era una piccola città in crescita, abituata agli spostamenti, al passaggio dei mercanti che portavano ogni tipo di mercanzia di valore, che impazziva per il gioco, le danze, il carnevale e soprattutto la musica.

Il popolo amava le ricorrenze e in particolare i matrimoni, come quello che si svolse nel 1350 tra Galeazzo II Visconti e Bianca Maria di Savoia, ricordato in quanto durò svariati giorni tra Rivoli, dove avvenne il matrimonio e Torino, dove gli sposi si recarono qualche giorno dopo, ospitati da Giacomo d’Acaja, signore del Piemonte che organizzò divertimenti di ogni genere sia all’interno che all’esterno di quello che in futuro sarebbe diventato Palazzo Madama.

Katia Bernacci

Bibliografia

“Torino nel medioevo” di Christian Frontino e Katia Bernacci, Yume edizioni.

“Il primo inverno” di Philipp Blom, Feltrinelli.

“Storia di Torino” a cura di Rinaldo Comba, Einaudi.

Fotografie di Marino Olivieri.

 

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Articolo pubblicato il 12/12/2023