L’immenso impatto ambientale dell’industria tessile e il disastro del Fast fashion

Natale, corsa ai regali. Perché è importante conoscere quanto e come l’industria tessile è responsabile di un forte inquinamento

Immagine iniziale tratta dall'omonimo documentario: https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=bLKe6pVp0-k

L’industria tessile globale incide pesantemente sull’ambiente e siamo tutti un po’ partecipi di questa grave fenomeno. Stando ai dati di Sport Press del 5/10/2022, tra le industrie inquinanti il primo posto tocca all’energia (elettricità e riscaldamento), responsabile dei 15,83 miliardi di tonnellate di emissioni di GHG all'anno (Greenhouse Gas, in italiano gas a effetto serra). Al secondo posto il trasporto, che emette ogni anno 8,43 miliardi di tonnellate di emissioni. L’industria tessile è al sesto posto, responsabile di 1,7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, più di tutto il traffico aereo. Una quantità in continuo aumento.

Inoltre, è imputabile di un utilizzo estremo di risorse non rinnovabili ed energia fossile usata nella filiera, dal rifornimento dei materiali grezzi alla messa in vendita sul mercato, con massiccio uso di sostanze nocive durante la produzione dei capi. Secondo altri studi l'industria tessile è addirittura la seconda a livello mondiale per tasso di inquinamento ambientale a causa del transito “delle mode” e all’eccedenza della produzione.

Un veleno occulto contenuto in ogni tessuto di bassa qualità, è nei coloranti tossici che si utilizzano in grosse quantità per produrre i vestiti (la produzione di poliestere è quasi triplicata rispetto agli inizi del 2000, arrivando a 65 milioni di tonnellate ogni anno).

Tessuti naturali e tessuti sintetici

Stabilito che ogni procedimento industriale richiede l’impiego di energia elettrica, e dunque inquina, cotone, lana, seta, lino, juta e canapa, rientrano nella famiglia dei tessuti derivati da fonti rinnovabili e non sono tossici. Idem per l'acetato e la viscosa, prodotti artificialmente, ma partendo da fibre vegetali o da un loro riutilizzo. Quelli sintetici invece (nylon, poliestere, pvc, elastan), sono fortemente inquinanti, perché ottenuti da polimeri derivati dal petrolio.

Il pile è un tessuto caldo ed economico, ricavato dal poliestere. Nato dal riciclo delle bottiglie di plastica, oggi è riciclabile al 100%, ma rilascia microparticelle che, durante il lavaggio, finiscono nelle acque di scarico e quindi, al mare.

Nell’impossibilità di valutare i quantitativi di fanghi interrati, è stimato che processi di tintura macchiano tra il 15 ed il 20% del flusso totale di acque reflue. Per questo motivo il procedimento della tintura viene considerato tra i più inquinanti al mondo tra tutte le industrie presenti nel mercato globale.

L’Associazione Ambientale del Lavoro, in un articolo del 28/6/2023 riporta un dato acquisito: la produzione tessile è responsabile di circa il 20% dell'inquinamento mondiale di acqua potabile tramite i vari processi di tintura, finitura e lavaggio di capi sintetici. Inoltre, disperde ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

L’impatto del Fast fashion

Un report del Parlamento Europeo valuta che in Europa ogni persona compri in media 26 chili di prodotti tessili ogni anno. Rispetto agli anni ‘90 gli acquisti del solo abbigliamento sono saliti del 40% pro capite.

Dall’inizio del secolo, con il dilagare del (o anche della, in italiano usato sia al M che al F) - Fast fashion; l'industria del vestiario che produce collezioni ispirate all'alta moda a prezzi contenuti e rinnovate in tempi brevissimi, la produzione di indumenti è schizzata alle stelle, anche grazie all’inarrestabile aumento della popolazione mondiale e il look a basso costo oggi accessibile a una quantità sempre più elevata della popolazione stessa.

H&M, Zara, Mango, Primark, Benetton e Topshop, sono alcuni marchi dei negozi rientranti nelle “catene fast fashion”, di cui tutti si avvalgono, ma di cui solo pochi conoscono a fondo le caratteristiche.

Da un esame di Greenpeace del 27/4/2023 si evince che: “mentre si pubblicizza una sostenibilità inesistente, in realtà sono in costante aumento gli abiti fatti di plastica usa e getta, non riciclabili e per lo più prodotti in condizioni di lavoro inaccettabili”. La produzione in eccesso e il ricambio dei capi fa sì che ogni anno l'85% dei prodotti tessili finisca in discarica.

L’Agenzia Europea per l’Ambiente stima che oltre l’80% di questi rifiuti è destinato a discariche nei paesi del terzo mondo, con gravi contaminazioni ambientali causate dalle fibre sintetiche e dalla plastica contenuta nei tessuti. Un’altra vergogna della moda globalizzata: il “colonialismo degli scarti ”. A fronte di questi dati il Fast Fashion oggi è responsabile di oltre il 10% delle emissioni serra sul pianeta.

Giunti a questo punto, gli acquisti di Natale dovrebbero tener conto delle informazioni, della provenienza e della qualità degli acquisti di vestiario. È un gesto di maturità per non essere complici dell’ennesima forma di violenza ambientale e non solo.

Ormai si sa, dietro alla moda usa e getta che riempie di armadi mezza umanità, si muove un mondo di enormi guadagni concentrati in poche multinazionali. Una ricchezza che si genera sulla pelle di operai sottopagati che in qualche parte remota del pianeta, lavorano in assenza di qualsiasi norma di sicurezza, confezionando prodotti con materiali scadenti e tecniche di produzione altamente inquinanti.

È doveroso citare che le firme dell’alta moda stanno creando incredibili abiti ecologici, ma il costo dei capi è accessibile a minuscola fascia dell’umanità, forse più fatua che consapevole d’un inquinamento di cui sono nababbi esenti da ogni responsabilità.

Estemporanee considerazioni

“Da troppo tempo scrivo di queste cose e non volevo più affrontare l’argomento, deluso e spossato da ogni paradosso. Ascoltando le parole di Papa Francesco però, indirizzate ai grandi della COP 28 riuniti a Dubai, ho cambiato parere. Tra quelle sabbie del deserto inzuppate di petrolio era ovvio che un accordo sulla de-carbonizzazione e un graduale abbandono delle fonti fossili non si sarebbe trovato. I paesi dell’Opec fanno quadrato, la Cina non ci sente, così come tutti i paesi della BRICS. Più di metà del mondo.

Ma non solo, nell’agenda 2030 l’aumento ritenuto accettabile della temperatura mondiale era di 1,5°. Ora si parla di 2,0. E allora, Papa Bergoglio a qualcuno può piacere e a qualcun altro no (chissà perché), però attualmente è l’unico che parla di pace al mondo e tira le orecchie ai fallimentari incontri di Dubai, lucido e presente sulle responsabilità umane nei confronti del Mondo, il miglior prodotto di Dio o chi per lui, non ce ne sono altri nei dintorni.

Forse a qualcuno è sfuggito quando Bergoglio ha citato “Laudato sì”, la sua enciclica del 2015 “sulla cura della nostra casa comune”. Un regolamento di condominio per tutta l’umanità, passato quasi inosservato di fronte a Sua maestà il Mercato Globale.

Ecco perché non potevo sottrarmi al mio piccolo e perseverante ruolo di insistente e distopico ambasciatore dell’ambiente, affrontando il tema dell’inquinamento tessile durante questo distorto momento di magica natalità, trasformato in shopping e futili amenità. Quindi… il mio augurio di buon consapevole Natale per ogni paziente lettore giunto fin qui.

 

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Articolo pubblicato il 12/12/2023