San Valentino cancellato dal calendario universale poiché considerato poco significativo
Reliquie a San Vito

Le reliquie del “nostro” san Valentino sono conservate in una splendida teca di cristallo

Un’antica leggenda narra che Valentino, un contadino convertitosi al cristianesimo e abitante nei monti della Sabina, giunse a Roma per esercitare la professione di conciapelli: nella città eterna fece strage di cuori, poiché uomo di bell’aspetto e ricco di fascino.

 

Furono numerose le fanciulle romane che offrirono le loro grazie al ben forestiero, il quale però non volle tradire l’amata Valeria che lo attendeva nel paese natio. Quindi declinò ogni offerta, anche quando giungeva da donne particolarmente avvenenti.

 

Un giorno, mentre attraversava la città, intervenne in difesa di una donna che un centurione romano aveva adocchiato e dalla quale intendeva ottenere i favori, con le buone o con le cattive. La reazione provocò le ire del militare e Valentino fuggì con la donna, ma presto catturato fu ucciso sulla Via Flaminia.

Altre fonti agiografiche sostengono che Valentino, allora vescovo, contravvenendo alle imposizioni dell’imperatore, che aveva proibito ai soldati di sposarsi, celebrava di nascosto i matrimoni. Ma l’imperatore, che considerava il matrimonio uno tra gli avvenimenti più deleteri per la vita di un soldato, fece arrestare il vescovo e lo condannò a morte.

 

Oggi, chi cerca sul calendario il nome di san Valentino alla data del 14 febbraio, trova i nomi dei santi Cirillo e Metodio (evangelizzatori della Russia del IX secolo); infatti questo santo del III secolo – martirizzato sulla via Flaminia durante le persecuzioni di Diocleziano – è stato cancellato dal calendario universale, poiché considerato poco significativo.

 

Comunque va osservato che negli Acta Sanctorum sono registrati ben diciotto santi con questo nome, quindi è evidente quanto sia complesso risalire a un unico personaggio, al quale collegare il suo culto e l’origine della tradizione a esso legata. La rosa dei possibili candidati si è però ristretta intorno a due Valentini: uno di Roma e uno di Terni. Il culto risulterebbe in due siti, entrambi sulla Via Flaminia: una al LVIII miglio (presso Terni) e l’altro alle porte di Roma. In pratica abbiamo due città che rivendicano i natali di un santo caratterizzato però da numerosi casi di omonimia.

Resta il fatto che anche Torino ha qualcosa da dire sull’argomento: le reliquie di san Valentino sono conservate nella chiesa di San Vito sulla collina. Si tratta di resti con peculiarità anatomiche caratteristiche di un ragazzino, di corporatura minuta. Infatti, in un’incisione settecentesca, conservata presso la Biblioteca Reale di Torino, in cui è raffigurato il martirio del santo, Valentino appare molto piccolo se paragonato alle altre figure presenti. Di contro, in un affresco del VIII secolo in Santa Maria Antiqua a Roma, il santo appare già maturo, tonsurato, barbuto, con la casula purpurea sulla tunica bianca.

 

Le reliquie del “nostro” san Valentino sono conservate in una splendida teca di cristallo (lunga poco più di un metro), arricchite con la palma e la ghirlanda, simboli del martirio; accanto vi è un vasetto con il sangue del martire. Nell’insieme il tutto sembra non aver risentito del tempo passato: infatti si presenta così come documentato dall’atto vescovile redatto l’11 ottobre 1769.

 

Dai documenti ufficiali non riusciamo però a comprendere in che luogo, prima dell’ufficializzazione arcivescovile confermante il culto, fossero conservate le reliquie del santo: poiché quanto conosciamo non proviene da fonti ufficiali ma dalla tradizione. Infatti, secondo una versione locale, non confermata dalle fonti consultate, i resti del Santo provenienti dal cimitero romano di Sant’Agata, furono acquistate dal ricco banchiere De Bernardi, abitante nell’area collinare di San Vito, direttamente a Roma e quindi portate a Torino.

 

Secondo la tradizione locale, il proprietario fece collocare la cassa con i resti del Santo in una cappella posta sulla riva sinistra del Po e dedicata a Valentino: però, durante una piena, le acque invasero l’edifico e la cassa fu vista galleggiare seguendo il moto della corrente. Significativamente nell’area in cui sorgeva la primitiva cappella oggi è parte del Parco del Valentino.

 

Salvate in extremis, le reliquie furono poste in un’altra cappella, questa volta situata ai piedi della collina, quindi in una posizione che le poneva al ripario dalle bizze del fiume.

Se ci rivolgiamo alle fonti storiche certe, apprendiamo che, dopo il salvataggio, un gruppo di abitanti della collina si rivolse all’allora arcivescovo della città, Francesco Lucerna Rorengo di Rorà, chiedendo l’autorizzazione a trasferire nella chiesa di San Vito “il corpo del glorioso martire S. Valentino”.

 

Al trasferimento avrebbe provveduto la comunità, grazie anche a un generoso contributo elargito dal De Bernardi. Il vescovo concesse la traslazione con l’atto su indicato, nel quale sono contenute anche delle indicazioni relative alle modalità da adottare per la conservazione e la venerazione.

Un contributo di notevole interesse sulla traslazione delle reliquie di San Valentino, ci giunge da un’incisione del 1769, in cui è chiaramente raffigurato il corteo processionale che dalla via costeggiante il Po (oggi corso Moncalieri), sale con l’urna delle spoglie del santo lungo la cosiddetta “Strada dei morti”, così chiamata in quanto percorsa dai feretri dei defunti portati verso il cimitero di San Vito, che oggi è scomparso.

 

L’attuale chiesa di San Vito, dedicato ai Santi Modesto e Crescenzia, è in gran parte dei primi anni del XVII secolo; purtroppo però non si conoscono le vicende più antiche del complesso, in quanto un incendio ha distrutto l’archivio parrocchiale. Anche se la frequentazione dell’area collinare in periodo altomedievale è confermata, il documento più antico risale al 1047: è un atto firmato da Arrigo III, con il quale si conferma la parrocchia ai canonici torinesi di San Salvatore. Nell’atto il territorio di San Vito è chiamato Arsitias. Unico elemento in grado di retrodatare la chiesa è il campanile romanico, innestato nel corpo secentesco dell’edificio, che tenderebbe quindi a spostare la cronologia verso l’XI-XII secolo, ma non oltre.

 

Comunque, sulla scorta delle conoscenze che è possibile trarre dalle fonti, risulta abbastanza evidente che la presenza delle reliquie di san Valentino nella chiesa di San Vito sono dovute al fatto che il proprietario di quei resti era un parrocchiano, fatto questo che rende fisiologico il loro trasferimento nel locale centro di culto.

Mentre è priva di fondamento la leggenda che vorrebbe il santo attivo nella collina torinese; a smentire questa tesi il documento trovato nel 1769, quando l’arcivescovo effettuò la ricognizione: si tratta dell’autentica del cardinale Marco Antonio Colonna, vicario generale del papa e della Curia romana, che indica nel cimitero di Sant’Agata la provenienza delle reliquie.

 

Tale provenienza non inficia comunque la devozione riconosciuta a questo santo nella nostra città: anche se si tratta di ipotesi non sorrette dalle necessarie pezze d’appoggio richieste dalla critica storica, la sua diffusione potrebbe essersi affermata già nei primi secoli del cristianesimo. Emblematico il toponimo del parco sul Po, retaggio si dice della cultura romana e poi dei primi anni del cristianesimo, quando in quell’area forse sorgeva una cappella dedicata al santo, sulla quale probabilmente fu costruita quella in cui, nel VIII secolo, furono poste le reliquie.

 

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Articolo pubblicato il 14/02/2024