Inchiesta sulle arti lontane

Finalizzata e conoscere meglio le arti etnologiche

Félix Fénéon (1861-1944), giornalista e critico d’arte, nel 1920 pubblicò, su “Le Bulletin de la vie artistique”, le riposte raccolte nel corso di un’inchiesta “sulle arti lontane” e finalizzata e conoscere meglio le arti etnologiche, quelle che allora erano dette, generalizzando, “arti dei negri” o dei “popoli selvaggi”. L’inchiesta si strutturava su un questionario che di fatto cercava di chiarire se l’arte delle culture “altre” potesse avere identica dignità dell’arte occidentale e di conseguenza essere esposta negli spazi deputati all’arte occidentale, nello specifico caso il Louvre. A  essere interpellati scrittori, storici dell’arte, antropologi e collezionisti.

Oggi i risultati di quell’illuminante inchiesta sono riproposti nel libro Inchiesta sulle arti lontane, che raccoglie le schede fatte compilare da Fénéon e organizzate con cura filologica da Paolo Campione, che ne ha curato l’attuale edizione critica edita da Ibis.

Un’opera che, pur considerando che data circa un secolo, risulta di straordinario interesse per chi in modo diverso guarda oggi all’arte etnologica.

Dobbiamo considerare che allora l’arte “primitiva” era di fatto tutta quella che precedeva l’arte ellenica: di conseguenza anche l’arte egizia rientrava nell’alveo delle opere considerate “primitive”. Solo dopo ricerche e studi approfonditi fu possibile separare il corpus della “nera”, ponendone in evidenza le sue peculiarità culturali, etniche e poi, in tempi più recenti, anche quelle eminentemente estetiche.

L’apparizione dei prodotti dell’arte africana ebbe per gli artisti occidentali un fascino rilevante, andando ben oltre quelle che furono le infatuazioni per il cosiddetto esotismo. I cubisti, in particolare, furono particolarmente attratti dalla capacità degli artisti africani nel sostituire la prospettiva ottica, con quella realistica, sorretta da un’impostazione che risultava svincolata dai canoni compositivi occidentali moderni.

L’incontro con l’arte primitiva di fatto coincise con il periodo in cui quella europea era interessata a una rottura con la tradizione, che di fatto attraversò tutto il XX secolo, basti pensare, per esempio, alla passione francese per Hokusai e la japonaiserie dal 1860: humus particolarmente fertile e condizionante per la prima generazione post-espressionista.

Nella sua dinamica interna, l’arte delle “terre lontane” ha assunto, a differenza dell’orientalismo e in parte del giapponismo, una connotazione profondamente antropologica, rispondendo alle tendenze etnografiche che contrassegnavano la cultura occidentale tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Va ricordato che, all’inizio del XX secolo, la storiografia dell’arte etichettava comunque con “primitiva” ogni espressione dell’arte che presentasse caratteristiche atte a condurla al di fuori della tradizione europea-occidentale. Come già indicato, erano allora “primitive” le opere dell’antico Egitto, ma anche quelle bizantine e orientali, “primitivi” erano anche riconosciuti i grandi maestri della pittura prerinascimentale come Giotto, Masaccio, Paolo Uccello.

Félix Fénéon, Inchiesta sulle arti lontane, Ibis, pag. 238, Euro 19,00.

 

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Articolo pubblicato il 15/02/2024