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L’uomo, i misteri e l’ignoto
La vita è come una giostra …
… sulla quale si continua a girare anche quando non ci si diverte più e non se ne capisce la ragione di continuare a farlo.
Articolo di Pietro Cartella
Pubblicato in data 10/11/2022

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 66 del 07.12.2021 che è stato suddiviso in 9 articoli. Questo è il n°3.

 

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Un progetto complesso è tale quando lo osserviamo nella sua interezza e costante trasformazione, ma, non lo è più allo stesso modo se ne possiamo vedere l’inizio e partecipiamo al suo svolgimento come attori e osservatori allo stesso tempo. E non esiste processo più complesso della vita nel quale ciascuno di noi ha spazio, ruolo e responsabilità.

 

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Prosegue dal precedente articolo …

Il nostro compito, disponendo di una personalità e corpi vari, una coscienza relativa al nostro stato di vita ed un principio originale che ci dà la vita e grazie ai quali possiamo agire in questo mondo, è riuscire a comprendere come liberare quella cabina dalla ruota e lasciarla andare nella vita che c’è tutto intorno. Il senso di girare su questa ruota esiste, non è solo un girare inutile; ma permanervi all’infinito non è lo scopo e non è di alcuna utilità continuare a girare oltre quanto necessario. Quindi, se anche la maggioranza preferisce continuare a girare sulla ruota, altri stanno cominciando a farsi delle domande, altri hanno compreso un diverso senso dell’esistenza, altri si stanno chiedendo come fare o stanno provando a sganciare la cabina dalla ruota. Hanno intrapreso un cammino di conoscenza e responsabilità, cominciando ad agire concretamente per liberare le cabine dalla ruota. Ciò può avvenire solo durante la percorrenza di quello spicchio, di quell’ottavo in cui tali cabine sono abitate dai nostri corpi. In quell’ottavo che si trova più vicino a terra, ovvero nel tratto in cui si può scendere a terra, nel punto in cui la ruota è “appoggiata a terra”. Proprio come nelle ruote delle giostre, nel punto in cui normalmente si fermano per far scendere le persone. Solo che nel nostro caso è la cabina a scendere con noi dentro (un po’ come se fosse una navicella spaziale con il suo occupante). Solo in quello spicchio è possibile farlo mentre negli altri no, perché mancherebbe una parte interna essenziale per il funzionamento della cabina: noi. Ecco perché l’immagine che danno dell’aldilà alcune religioni, come luogo o condizione di arrivo di un percorso, non è vera. È corretta solo fino a quando si riferisce a quelle entità che devono ancora fare l’esperienza all’interno di religioni dogmatiche o chiese, esattamente come un bambino deve frequentare le scuole elementari prima delle medie, delle superiori e l’università per poi, così equipaggiato, proseguire nella vita.

 

Ma nel momento in cui si acquisisce la capacità di scendere dalla ruota, ecco, per fare cosa? A me pare di capire che un giro di questa ruota sia l’esperienza totale di una esistenza. Scendere non interrompe altro?

 

No, non interrompe altro. Accade esattamente come se noi nella nostra vita avessimo bisogno di andare in un ospedale. Ci vai, fai quello che devi fare, ma poi non continui a vivere nell’ospedale per sempre. Ritorni a vivere fuori. Nella tua vita. Dobbiamo considerare i giri di ruota come esperienze necessarie per comprendere tutte quelle cose che stiamo cercando di comprendere e di acquisire coscientemente. Quella capacità di manovrare quel senso pratico che ci consente di vedere quanto sto dicendo in questo momento esattamente come noi possiamo con gli altri sensi sperimentare le cose sensorialmente. È un senso che ci manca in questo momento solo perché ce ne siamo dimenticati e si è atrofizzato. Inoltre non è un senso proprio della nostra personalità, appartiene alla cabina che, una volta riattivato, lo sperimenta anche, ma non solo, attraverso la personalità. Appartiene alla cabina con la quale, mediante la personalità, viviamo in simbiosi. Un po’ come avviene ad un animale domestico con il suo padrone. Due entità apparentemente separate in realtà non lo sono più. Sono simbiotiche. Infatti si dice che dopo l’esperienza umana la stessa esperienza toccherà agli animali ed è un processo nel quale noi seguiamo altre strade, ma tutti insieme seguiamo una strada evolutiva strumentale che è propria a ciascuno. Scendere nella vita è proprio come uscire da un ospedale ed entrare nella vastità di tutto ciò che esiste e che noi abbiamo fino a quel punto solamente osservato da quel gigantesco strumento, la ruota, come guardando dalle finestre di un ospedale. Fuori è la vita (in cui è compreso anche l’ospedale), dentro è l’ospedale, in cui potremo comunque continuare a vivere, ma come in una esistenza limitata. Così avviene per tanti che vivono una esistenza artificiale come se per vivere avessero bisogno di restare attaccati ad una macchina. Sono paragoni efficaci per dare un’idea di quello che succede. Ma comprendere bene quali legami e quali reciproci trasferimenti di informazioni avvengono tra le varie parti interessate in tali contesti non è cosa semplice. Non sono solo processi lineari e non sono solo qualcosa di sperimentabile totalmente con i cinque sensi consueti, ed i sottosensi ad essi relativi, che sono molti di più.

 

Inizierò con una battuta in ambito cinofilo, mio ambito professionale. Il binomio uomo-cane funziona benissimo perché il cane è più evoluto dell’uomo. Detto questo, tornando al processo entropico di cui si è parlato l’altra volta, e se uscendo dalla ruota finissimo in una ruota più grande? Dove servirebbe un salto quantico ed energetico più grande per riallacciarsi al discorso di prima?

 

In realtà è proprio così! Questo salto di ruota in ruota non finisce mai o meglio non finisce mai secondo i nostri criteri attuali perché noi ragioniamo per dimensioni separate e indipendenti. Mentre la dimensione originale è una e contiene ogni espressione di sé qualunque essa sia e solo dopo aver acquisito la capacità di non legarsi ad alcuna di queste ruote può permettere ad ogni parte di sé (compreso gli esseri umani propriamente detti) un transito tra le varie ruote, senza ostacoli e senza soluzione di continuità. Così come è sempre stato.

 

Sempre relativo ad una visione matematica, perché una divisione in otto?

 

Perché quanto osservato rispetto all’argomento ed in relazione alla durata di una vita con il corpo, stabilita per comodità in cento anni, prima di una successiva incarnazione, una successiva esperienza di quella cabina o essere umano propriamente detto e completo, devono passare circa 700 anni senza corpo. Quindi 100+700=800:100=8.

 

 

 

Non ci sono altre ragioni se non questa semplice operazione numerica non certificata. Un modo per chiudere semplicemente e temporaneamente un argomento senza concentrare su di esso la nostra attenzione, distogliendola da altro che in questo momento è più importante recepire. Così come stiamo facendo noi con la nostra vita o osservando le cose attraverso un microscopio. Ci stiamo sempre più riducendo all’osservazione del niente, piuttosto di dedicarci all’osservazione e comprensione del tutto, del complessivo. Anche questa è una strada per giungere alla meta, ma più lunga e più dispersiva. È un po’ come dire che quando ho sete è più semplice bere un bicchiere d’acqua che cercare di spiegare prima tutti i processi per cui sento sete e perché devo procurarmi l’acqua ed in quale modo e attraverso quali meccanismi, bevendo, si arriva a spegnere quella sete. Tutto ha una spiegazione ma non tutto deve sempre essere necessariamente spiegato ogni volta. Basti pensare a quanti milioni di funzioni dovremmo fare attenzione e quanti milioni di ordini dovremmo dare a milioni di organi, organelli, cellule, atomi e particelle semplicemente per far in modo che il nostro corpo scenda il gradino di una scala. Occorrerebbe il tempo di una vita solo per scendere un gradino. Per quanto riguarda invece la questione delle relazioni tra cane ed essere umano, man mano che svilupperemo questo argomento vedremo come in realtà alcuni animali sono in grado di vedere nei nostri piani o corpi sottili meglio di noi solamente perché non sono distratti dal farlo, non potendo discriminare, ragionare e speculare, su ciò che vedono. E secondo ciò che vedono devono reagire seguendo schemi automatici che noi umanizziamo, che noi crediamo siano umani. A tal punto che per riuscire ad utilizzare al meglio questo legame, che si crea per vicinanza, anziché portare, scusate il termine, non è un giudizio, verso un’evoluzione quella entità, che è ancora in una fase completamente automatica, scendiamo noi al piano dell’automatismo comune ai due. Perché solo così può funzionare quella relazione. Basterebbe fare alcuni esperimenti per comprendere bene che tutto quello che noi facciamo non è valido, ma se noi vogliamo metterci nelle condizioni che valgano i meccanismi automatici possiamo farlo e li vediamo funzionare. E possiamo ripeterli, e vedendoli ripetuti e funzionanti costantemente diciamo che sono veri. Sono veri perché li posso riprodurre come farebbe uno scienziato in laboratorio. Ma in ogni caso, ciò che si fa verso il cane o quello che fa uno scienziato sono autolimitazioni perché non si tengono in considerazione gli aspetti evolutivi ma solo quelli automatici ripetitivi. Quelli evolutivi sono di gran lunga superiori, più numerosi e imprevedibili di quelli che servono per il mantenimento in uno stato automatico o addirittura regressivo ad un precedente livello di esistenza di un essere. Non si tratta di un giudizio ma di una osservazione del funzionamento delle cose e delle loro relazioni nei diversi piani possibili. Così facciamo anche con l’automobile. Anche in relazione all’automobile mettiamo in atto, ben presto e senza accorgercene, automatismi di guida e di movimenti e non per questo diventiamo più stupidi noi o migliore l’automobile. Attenzione: quando comincio a parlare di queste cose c’è sempre qualcuno che dice: ciao, va bene, ci vediamo tra qualche incarnazione! Quando io avrò fatto quello che dovevo fare e tu ti sarai reso conto di quanto sia assurdo parlare di queste cose. Che sono strane sia per un pazzo che per chi, pur vivendo in una forma, non ha relazioni con essa. In realtà tutto ciò avviene perché tutti noi siamo al 99 virgola qualcosa per cento ancora e solo animali a tutti gli effetti. Con uno zero virgola zero uno, se ci va bene, che tende a diventare altro. Ma per portare con una così piccola percentuale di altro tutto il resto verso qualcosa di meglio dovremo fare una fatica, uno sforzo così grande, che è molto più semplice fare il contrario. I nostri amici animali hanno la nostra stessa dignità, così come ciò che producono come rifiuto o una roccia e anche qualsiasi cosa che noi scartiamo della natura o che riteniamo immondizia o che ci porta malattie. Tutto ciò che esiste ha la stessa dignità e serve allo stesso scopo. Siamo noi che facciamo separazioni e classifiche di merito. E facendo queste separazioni vuol dire che abbiamo applicato un giudizio e questo giudizio separativo ci rende impossibile renderci conto di cosa significhi vivere una vita piena, perché non esclude niente e quindi nemmeno noi dovremo escludere qualcosa. Mentre invece passiamo la vita a difenderci da tutto e tutti, richiudendoci sempre di più in quella prigione che ci andiamo costruendo con le nostre stesse mani. E sempre più autolimitandoci dentro quella scatola, quella cabina che gira su quella ruota. Non solo, ma c’è anche chi vive senza sapere di essere all’interno di una cabina, pensando di essere soltanto il corpo fisico che vede e tocca. Vivendo così un dramma senza soluzione poiché non c’è dubbio che quel corpo prima o poi muore e non torna più.  Muore il corpo e tutto finisce. Una situazione che non lascia scampo né speranza di cambiamento. Mentre la vita se ne frega tranquillamente di ciò che noi pensiamo di tutto ciò. Semplicemente perché di corpi ne può creare ed usare quanti ne vuole, con le forme che vuole, su qualsiasi piano voglia esprimersi. Indipendentemente da ciò che noi pensiamo sia un piano naturale, artificiale, cosmico, trascendente o immanente. Con o senza il nostro permesso.

 

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto, schema e testo

pietro cartella

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