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L’uomo, i misteri e l’ignoto
Che sapore ha il latte? Che cosa è il mare? Chi siamo noi?
È praticamente impossibile spiegare qualcosa a qualcuno che, in qualche modo, non ne abbia già fatto esperienza.
Articolo di Pietro Cartella
Pubblicato in data 17/11/2022

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 66 del 07.12.2021 che è stato suddiviso in 9 articoli. Questo è il n°7.

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Agiamo in base al nostro stato di coscienza e conoscenza. È un dato di fatto che potrebbe sembrare una sentenza definitiva. Ed è così, infatti, se non interviene qualcosa “altro” che metta in crisi l’intero nostro sistema di valori, di riferimenti, di risposte automatiche a qualsiasi tipo di sollecitazione.

 

Occorre un altro tipo di approccio generale verso ogni cosa alla cui base ci sia la conoscenza di sé stessi, di cosa siamo noi, di che cosa sia la vita, di che cosa sia il contesto nel quale viviamo, quali scambi avvengono tra tutto ciò che vive ed esiste. Una conoscenza e comprensione dei processi della vita e la loro accettazione cosciente e responsabile. Una accettazione responsabile perché si è compreso il senso di ciò che accade anche se ci fa soffrire (che non significa essere masochisti).

 

C’è una analogia con, o facilita la comprensione del concetto, la visione di Aurobindo, il surrender (= arrendersi, accettarsi), perché forse accettazione di sé non rende allo stesso modo. Tu prima hai citato la famosa frase “sia fatta la tua volontà”, era per poterci intendere, è il significato più vicino, ma slegato da tutti i contesti, perché è una presa di coscienza che esula da quello che è un giudizio morale costruito ormai su una rete biologica, religiosa, o di altri tipi, possiamo metterci tutto quello che vogliamo, ma è una scala di valori costruita per rendere il mondo a misura e di conseguenza anche noi. Con questa grande illusione che riduce la vita ad una visone ristretta. Nel momento in cui c’è il “surrender” la visione si apre e tutto cambia. Ma il prezzo da pagare, non si può spiegare. L’unica cosa che si può fare è mandare in tilt il mentale, ma in senso buono.

 

Certamente occorre mettere il mentale in corto circuito, ma occorre fare un’attenzione particolare per evitare guai dai quali non si esce più. Occorre, prima di agire in tal senso, comprendere molto bene di che si tratta e come arrivarci. Non ci si abbandona passivamente, ma coscientemente e responsabilmente. Altrimenti ci si arrende non tanto a ciò che serve, ma al suo contrario. La resa indiscriminata a sé non è una resa alla vera essenza, ma all’immagine più profonda che noi abbiamo di lei legata all’egoismo. Perché fin quando non conosciamo altro che la nostra immagine di noi stessi a questa rispondiamo e non alla nostra vera essenza. È una condizione che anziché essere centrifuga, ovvero aprirsi al mondo e alla vita, diventa sempre più centripeta, chiudendosi, concentrandosi via via sul nucleo dell’egoismo più estremo, anche quando si riveste di bontà, altruismo ed umanitarismo.

 

 

Fino a diventare una statua di sale come la moglie di Lot, quando si girò all’indietro per tornare sui suoi passi mentre le era stato detto di proseguire sulla sua strada senza ripensamenti né nostalgie o sentimenti di un certo tipo.

 

Come nel mito di Orfeo ed Euridice.

 

Non c’è mai colpa di qualcuno. Ma le cose non comprese producono danni lo stesso. Infatti, nel mito citato, ignorare le condizioni di base porta alla morte dell’anima anche se si agisce con la migliore delle intenzioni.

 

Nel cercare di spiegare però, non rischiamo di essere nuovamente prigionieri del mentale?

 

Certamente! Ed infatti, come ho detto, vi sto raccontando cose che non stanno né in cielo né in terra. Non c’è una logica in questo. C’è un “vedere”, un riuscire a “comprendere”. Chi è capace di spiegare cosa sia il mare o il cielo ad un cieco semplicemente guardandolo seduto sulla spiaggia? Vorrei che qualcuno me lo spiegasse! O spiegasse il gusto del latte a qualcuno che non lo abbia già assaggiato. Ora è chiaro che la nostra logica è assai limitata e funzionale a qualcosa di specifico e mostra i suoi limiti proprio se si cerca di andare oltre le sue capacità e il suo compito ristretto a tale ambito specifico. Non serve per tutto, semplicemente perché non può. Ciò che tu hai detto è estremamente importante per far comprendere quali siano i limiti entro i quali si muovono le scienze umane, matematica compresa. Incognite, possibilità di risoluzione, possono trovare l’equazione risolutiva. Non è così. Occorre una matematica di nuovo tipo che possa mettere in relazione e risolvere equazioni formulate in modo inconcepibile attualmente per qualsiasi essere umano secondo quanto conosciuto scientificamente ad oggi. Ci sono variabili di altro tipo e leggi diverse che trovano applicazioni diverse secondo logiche diverse, che non hanno niente a che vedere con quello che pensiamo e ipotizziamo noi in questo momento e in questa situazione. Esattamente come ci viene detto da alcuni fin dalla notte dei tempi, ma che noi riteniamo neppure degno di nota. Vogliamo spiegare mediante le leggi bidimensionali una dimensione in cui vigono leggi tridimensionali e una dimensione in cui vigono leggi quadrimensionali. Dove non servono solo logica, analogia, matematica, ma anche altri strumenti di conoscenza e comprensione che nemmeno immaginiamo. Percezione, intuizione, illuminazione, termini abusati di cui non sappiamo veramente niente ma parliamo molto. Ed altri ancora che non sappiamo neppure indicare con un nome. Dobbiamo ammettere che della vita non sappiamo quasi niente. Anche se chi studia biologia ed altri specialisti dicono il contrario e noi ci crediamo. Variabili sconosciute che si introducono al momento opportuno anche nei nostri processi vitali quando e come servono, che ci piaccia o no, quando si raggiunge la massa critica degli elementi che servono per tali processi. E nel migliore dei casi potremo solo rincorrere ciò che è già avvenuto. Masse critiche che possono produrre l’effetto di un cambiamento di parametri di esperienza ed osservazione dell’esperienza che ci proporranno. Noi, o meglio il sistema essere umano complessivo in cui siamo compresi, proviene da un’origine in cui ogni cosa in divenire è compresa fin dal primo istante ed ancora prima, ma oggi tutto questo si è ristretto ad un campo di osservazione di una pseudo-realtà basata su convenzioni circoscritte a pochi elementi selezionati come degni di attenzione e non sulla complessità e infinitezza della vita. Veniamo da un’idea che non esclude nulla, da un‘idea onnicomprensiva. Non solo il nostro corpo vi è compreso ma una infinità di altri elementi di egual valore ed egualmente necessari e sostituibili alla bisogna per la sua espressione materiale al fine di portare alla nascita di un organo la cui funzione è produrre, creare, coscienza di sé. Non solo il corpo, ma quello che si esprime attraverso di esso, di quello che c’è dentro e che con la forma ha una certa relazione, anche se non così importante come crediamo o almeno speriamo. È una necessità, ma nell’universo la vita si esprime diversamente sotto altre forme e per altri fini. Ed ancora diversamente negli universi e nell’idea originale stessa. È una generazione continua di cose che non muoiono mai e si trasformano sempre. E noi quindi a cosa ci dobbiamo riferire? Ad un libro? ad un personaggio? Ad un lampione? A un tombino? Comprendete che ci stiamo riferendo a qualcosa di diverso? A qualcosa di diverso da ciò che siamo abituati ad osservare. Ora il prezzo da pagare è riferito al fatto che uscendo fuori da uno schema consolidato e condiviso da tutti, pur potendo vivere all’interno di una dimensione come questa, e come se fossimo presenti qui solo attraverso un sensore, l’intera nostra personalità dotata di un corpo, ma tutto il resto della nostra esperienza, di quella dell’intero complessivo del vero essere umano propriamente detto, si svolgesse all’interno della vita in tutte le sue dimensioni, caratteristiche, funzioni e scopi, senza alcuna limitazione di qualsiasi genere, pensabile o meno. In uno spazio illimitato anziché all’interno di una casa anche se grande come la terra.  O composto da un luogo preciso, da un gruppo di persone. Per comprendere veramente il significato di cosa ciò significhi praticamente bisogna averlo sperimentato o farne esperienza. Questa sperimentazione è una cosa che abbiamo bisogno di rifare per ricordarcene nuovamente. Abbiamo già fatto questa esperienza perché è compresa nell’idea originale condensata e latente dentro di noi, anche se non sappiamo quante volte (non è un fattore di discriminazione, ma solo di maturazione temporale per necessità pratica, al momento trascurabile per quanto stiamo dicendo e tuttavia presente e non trascurabile per tutto ciò che comporta nel processo di evoluzione umano e per il perseguimento della finalità originale). Se non riusciamo a ritrovarla, per almeno un istante, continueremo la nostra esistenza come brancolando nel buio in quanto non esiste un gps per indicarcene il percorso per giungervi. O meglio, anche se è presente dentro di noi, non sappiamo come attivarlo o come lasciare che si attivi, lasciandogli la possibilità di farlo senza ostacolarlo continuamente. Consideriamo per esempio che oggi tutta l’umanità ha un grado di depressione, considerata malattia, che invece è l’unica possibilità che ha per lasciar entrare, in quello spazio depresso, qualcosa di nuovo che invece viene sempre tenuto fuori, saturando con ogni tipo di attività e cose inutili quello spazio a disposizione. Si capisce meglio ora quale sia il prezzo da pagare? Ogni volta che ci viene prospettata questa possibilità, noi corriamo da qualcuno a farci mettere una pezza sopra o giriamo la testa dall’altra parte per evitare di prendere in considerazione un diverso aspetto di quella situazione che ci provoca sofferenza. Perché non vogliamo sentire tutto questo, anche se sappiamo che è un grido di richiesta di aiuto dell’anima che deve manifestarsi. Non vogliamo cambiare di stato, preferiamo stare nel nostro brodo. Vogliamo risolvercela così, cambiando senza cambiare.

 

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto, schema e testo

pietro cartella

 

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