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L’uomo, i misteri e l’ignoto
Se non siamo in grado di intravedere a sufficienza il quadro generale della nostra situazione di vita, ...
… rischiamo di prendere decisioni incoerenti con esso e determinare, pur con le migliori intenzioni, ulteriori complicazioni del karma.
Articolo di Pietro Cartella
Pubblicato in data 09/02/2023

Quanto segue si riferisce all’incontro n° 68 del 28.12.2021 che è stato suddiviso in 7 articoli. Questo è il n°1.

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Quante volte il rimedio si rivela peggiore del male che doveva curare? Quante volte gli sforzi fatti per risolvere una situazione si rivelano controproducenti? Perché quello che accade ci sembra talmente assurdo da portarci a pensare che ci sia qualcosa di sbagliato nelle cose che avvengono nel mondo? Queste sono solo alcune delle domande che ogni tanto nascono dentro di noi in conseguenza di ciò che vediamo accadere dentro ed intorno a noi. Domande che portano alla luce del sole quanto poco conosciamo di noi stessi e dell’ambiente in cui viviamo. Domande che esigono di essere prese in considerazione nel loro intero valore per condurci sulla strada costruita dalle risposte continue che esse contengono, quella strada che per sua stessa natura provvede al viandante che la percorre.

 

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Benvenuti!

 

Apro con una domanda legata a quanto hai detto la volta scorsa. È una mia curiosità perché mi ha interessata molto ciò che hai detto riguardo alla morte. Hai detto che l’essenza del defunto nei giorni successivi alla sua morte vive quell’esperienza molto particolare durante la quale dovrebbe essere lasciato molto tranquillo perché possa svolgersi quel riavvolgimento del nastro su cui sono impresse le esperienze della propria vita, ripercorse al contrario. Essa rivive le proprie esperienze dal punto di vista però delle persone con le quali il defunto si è rapportato. La domanda è questa: ma ciò avviene anche nel caso in cui il defunto sia stata la vittima di una situazione? Vado al concreto così ci capiamo subito. Il caso di un prigioniero di un campo di concentramento, cioè, una persona che è stata vittima di una condizione così particolare, rivive questa sua esperienza dal punto di vista del suo carnefice?

 

Certamente! Ciò si lega ad un fatto estremamente importante. Non c’è praticamente niente che accade a qualcuno o chiunque di noi che non abbia un senso (significato) preciso nella manifestazione della vita. Purtroppo per noi, essendo praticamente identificati in una personalità, vediamo tutto come se fosse limitato al suo interno, dentro di essa. Ma la personalità è solo uno strumento. Possiamo dire che se mi faccio male ad un dito, o anche perdo un dito, per il mio corpo è sì un problema, ma si tratta solo di un dito, non di tutto il corpo. Quindi faccio l’esperienza ed una parte di me viene meno, ma il corpo continua ad esistere, funzionare, fare esperienze. E dato che noi siamo parte integrante non solo dell’umanità, ma dell’universo e anche dell’origine, in realtà per queste sovraentità, rispetto a noi, alla singola parte, al dito, tale esperienza viene vissuta in maniera del tutto differente. Poniamo il caso del dito che viene perso. Se noi potessimo vedere tutta la situazione nella sua interezza ci renderemmo conto, per esempio, che l’alternativa alla perdita di quel dito poteva essere la perdita di tutto il corpo. Ed è chiaro che a quel punto il male dovuto alla perdita del dito viene visto dalla parte del corpo come il male minore, come un male accettabile. Non solo. Noi siamo identificati nel nostro corpo, ma anche il nostro legame con gli stati d’animo e le emozioni è allo stesso modo identificato e riduttivo. Per cui sentiamo male in maniera esagerata rispetto a determinate condizioni, per esempio un mal di denti. Quando siamo assaliti e pervasi dal mal di denti non siamo più in grado di ragionare con sufficiente chiarezza. Per esempio non ci rendiamo più conto che il resto del corpo è in grado di funzionare lo stesso, anche se abbiamo mal di denti. O, al contrario, abbiamo mal di testa e per un istante siamo completamente concentrati su un lavoro che ci piace fare. In tale frangente il mal di testa sembra essere sparito, salvo ripresentarsi ai sensi (ma in realtà non era mai sparito) non appena la situazione di concentrazione cessa. Ora, per quanto riguarda la vita ciascuno di noi non è separato da essa e dagli altri, non è esterno a qualcosa, ma è integrato in tutto e in ogni cosa. Fa parte della vita. E così come il nostro corpo non ci fa sentire quando una nostra cellula muore, o viene sostituita, così vale per tale sovraentità che, seppure sa cosa succede dentro di sé, non ha questi attaccamenti, queste relazioni sensoriali, così come le abbiamo sviluppate nella nostra limitatezza. Noi sentiamo questo perché ogni volta guardiamo una parte limitata di quello che siamo e ci concentriamo su di essa come se fosse tutto e non esistesse nulla di altro. Questa condizione si è strutturata nel tempo; non era così in origine. In origine non c’erano tutte queste sfumature del sentire. C’era un sentire generale, una idea generale. Esattamente come noi quando qualcuno ci dice: vieni a fare questo lavoro. Per esempio il lavoro di segreteria. In linea di massima puoi averne un’idea, ma quando scendi nei particolari operativi scopri di quante azioni essi sono composti: le fotocopie, le email, la cancelleria, le relazioni degli incontri, l’archiviazione dei documenti, la distruzione dei documenti obsoleti e così via. Così, poco per volta, tutte le attività comprese nel lavoro generale di segreteria prendono identità, funzione, ruolo e consistenza. Ciascuna di queste attività genera reazioni e conseguenze. Se una fotocopia risulta illeggibile ingenera una reazione di valutazione e di presa d’atto di doverla rifare o fare altro ancora. Se trasliamo tale esempio nella nostra quotidianità, nella nostra biologia e metabolismo, troveremo per analogia risposte analoghe. Man mano che noi riduciamo la nostra capacità di vedere l’insieme diventiamo sempre di più dipendenti da queste impressioni separate, puntuali, riduttive. Quindi lo scopo del percorrere a ritroso le esperienze fatte sarebbe quello di rimettere insieme tutti gli aspetti di ogni esperienza, facendola ricordare nella sua interezza, non solo in quelle parti che noi abbiamo potuto vedere durante quella vita. Per fortuna accade così, altrimenti quella vita sarebbe in gran parte sprecata perché l’esperienza non potrebbe essere ricordata o solo frammentariamente o in modo distorto. E purtroppo durante il periodo post mortem ci sono tutte quelle attività che vediamo fare normalmente, per tradizione e cultura, che disturbano questo processo di assimilazione corretta delle esperienze all’interno della banca dati personale e generale. E perciò accade che alcuni di noi, arrivato al momento di essere connesso con quella banca dati, anziché poter immediatamente cogliere il significato essenziale di una esperienza ne coglie solo alcuni aspetti, il più delle volte distorti, credendo che sia vero e giusto, facendo il disastro che sperimentiamo.

 

Ma, concretamente, siccome la morte ci riguarda tutti, nel caso in cui ci capiti di avere a che fare con un caro defunto se siamo figli o amici, mogli, cioè sarebbe bene per quella essenza che è a quel momento ancora presente per qualche giorno, sarebbe quindi bene che ci allontanassimo anche fisicamente dal suo corpo.

 

Certamente! Sì! La cosa migliore sarebbe, per tutto quel tempo, lasciare in pace, in totale tranquillità, quella persona. Vedremo, nel corso di quello che andremo dicendo, quanto ciò sia estremamente importante per il proseguimento della vita, quando un altro corpo e un’altra personalità prenderà in carico l’esperienza fatta dal corpo e personalità precedenti all’interno del sistema essere umano completo, quella cabina di circa 16 metri di diametro entro la quale la personalità svolge la sua esperienza sulla ruota, perché l’esperienza prosegua senza troppi ostacoli o prove da superare.

 

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prosegue nei prossimi articoli …

 

foto e testo

pietro cartella

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