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Cutro
Nelle secche della spiaggia di Steccato affogano esuli disperati mentre si incagliano le nostre roboanti Istituzioni
Articolo di Armeno Nardini
Pubblicato in data 10/03/2023

Un forte vento di scirocco. Onde alte come una palazzina di tre piani. Capovolgono e squassano un natante, col suo carico umano, arenato nelle secche sabbiose di Cutro, a 150 metri dalla spiaggia di Steccato. Su quel lido della speranza, dove pensavano di arrivarci da vivi, la gente del posto ramazza quindi gli annegati. Sono una settantina. Altrettanti, e forse più, saranno cullati in eterno da quelle acque, splendide e infide, con tutti gli altri che li hanno preceduti, varie miglia più in là, in tempi addietro anche non lontani. Alcuni, si spera, potrebbe ancora portarli a riva la marea, per dare quindi una tomba a poveri resti, da piangere sapendo almeno dove sono.

Dopo il messaggio di allerta, davanti alle secche ci arrivano per primi. Conoscono bene la bellezza e la cattiveria del loro mare e aspettano a terra la calma, quando lo scirocco spara a mitraglia le sue onde, devastanti come quelle, che scaraventano corpi senza più vita a riva. Qui, i marinai del luogo prendono a ripescar cadaveri, usando una cima come lazo da cowboy a catturare corpi inerti, che la risacca ghermisce loro per riportarli al largo. Lì dove, preposti alla sorveglianza dei sacri confini della Patria, difesi forse, nella circostanza, con eccesso di zelo, hanno latitato i mezzi del nostro Stato, con uomini a bordo, che si sono sempre distinti, in condizioni di tempo altrettanto proibitive, nelle operazioni di soccorso a tanti altri natanti, stracolmi della misera gente partita da coste africane antistanti. Nella drammatica notte del disastro, però, pare che sia in loro venuto meno il senso del dovere sancito dalle leggi del mare, comunque ben radicato nell’ imprinting di ogni uomo di mare, di prestare soccorso a chi sta rischiando la vita tra onde assassine, migrante da accogliere o clandestino che sia, poi da respingere. E questo non può essere vero!

I mezzi aerei di pattugliamento segnalano il natante ma, così pare, non i trasportati tutti sottocoperta, dove tanti restano poi intrappolati quando la barca si rovescia per una improvvida manovra di inesperti scafisti, anche questo così pare, e offre il fianco al vento e alle onde, che ne frantumano in breve i legni, marci da tempo. La Summer love, all’apparenza, non è uno dei soliti “taxi della morte” (Tommaso Foti dixit; è il capo gruppo FdI alla Camera), stracolmi di extracomunitari ammassati a cielo aperto su bagnarole al limite del galleggiamento, provenienti da lidi tunisini o libici. La barca è turca ed è partita da Smirne. Trasporta anche famiglie intere, che scappano da luoghi di terrore e di morte. Scappano dall’Afghanistan, dove spadroneggiano i talebani; dall’Iran, dove la polizia ha il grilletto facile; dalla Siria, funestata da una guerra che dura da dieci anni; dalla Somalia, in guerra da oltre 30 anni; dalla Palestina, pur essa in guerra, ma da sempre. Non hanno il permesso di lasciare liberamente il proprio Paese, ma hanno soldi per abbandonarlo di frodo e sono compulsati a farlo, dalla forza della disperazione, che li spinge a mettere in salvo i figli, ed essi stesi con loro, consapevoli certo delle incertezze, del disagio e dei pericoli d’un viaggio estremamente avventuroso, sorretti però dalla grande speranza d’una vita futura, che vedono inesorabilmente compromessa nella loro terra.

Ora, la magistratura sta “indagando perché probabilmente qualcuno nel governo italiano non voleva salvarli”, scrive la professoressa Laura Eduati su LA STAMPA sulla quale, peraltro, Massimo Giannini, che ne è direttore, ricorda come “il dramma locale dei migranti ci sconvolge e ci coinvolge da decenni, a prescindere dal colore partitico di chi siede a Palazzo Chigi”.

Michele Ciociola, giudice per le indagini preliminari, convalida celermente l’arresto di due dei tre presunti scafisti coinvolti nel naufragio di Cutro con una ordinanza di custodia cautelare, che suscita commenti di velata ironia per l’incipit colorito: “In attesa dell'atteso ed osannato turismo crocieristico, l'Italia per alcuni giorni scopre altri esotici viaggi alla volta di Crotone e dintorni…”. Sue, sono anche queste amare considerazioni: "Immarcescibili e sempre più opulente organizzazioni criminali turche brindano all'ultima tragedia umanitaria".

Francesco Caringella, Magistrato e Consigliere di Stato, in una delle sue 10 lezioni sulla giustizia per cittadini curiosi e perplessi ricorda, però, che “i giudici non sono angeli salvifici, pedagoghi illuminati, filosofi con la verità in tasca… sono uomini, con tutti i loro difetti e le loro imperfezioni”.

C‘è poco, dunque, da disapprovare nella ordinanza del giudice Ciociola, di fronte allo sconforto dell’uomo che è in lui, il quale sa e, con frase tagliente, stigmatizza a modo suo la gravità di un evento, che tocca le corde più profonde della sensibilità di tutti. Non c’è caduta di stile istituzionale in quell’incipit, ma un senso di partecipe solidarietà dell’uomo con le aspirazione della gente del crotonese, che vede le proprie spiagge, meritevoli di approdi turistici per gente in vacanza, rifugio invece di chi scappa da guerre, sopraffazioni, violenze spesso gratuite.

Quando la fuga finisce in tragedia, nell’immediato e prima che se ne cerchino le cause è il cuore che prende il sopravvento sul cervello anche nei magistrati, nei politici, negli uomini delle istituzioni e di governo e certe loro estemporanee dichiarazioni possono spesso risultare prive della correttezza dovuta e che ci si aspetta sempre dalle autorità.

La disperazione non giustifica viaggi che mettono in pericolo i figli” ha detto Matteo Piantedosi quando si contavano già 16 bambini morti, diventati 29 mentre stiamo scrivendo, con una decina ancora dispersi, forse per sempre. Ha sollevato un immediato coro di critiche, con molte richieste di sue dimissioni. Sono parole inumane, per Elly Schlein da poco eletta Segretaria del PD; degne di un questurino, per Donatella Di Cesare, che così le ha giudicate nella trasmissione Di Martedì condotta da Giovanni Floris su La 7. In effetti, alle spalle di questo Ministro dell’interno c’è tutta una carriera da funzionario della Polizia di Stato, con incarichi perfino da Prefetto. Nel suo attuale ruolo di governo, avrebbe dovuto usare parole forse più adeguate alla gravità della circostanza, ma ha parlato l’uomo che era in lui, plasmato anche dal suo passato.

I genitori non devono esporre i figli al pericolo di certi viaggi, ma erano genitori disperati. Per sottrarre i propri figli al pericolo certo di vessazioni non facilmente descrivibili, hanno affrontato quei viaggi, sorretti dalla speranza, che non lasciava loro alcuno scampo se fossero rimasti a casa. Solo i morti a Cutro sapevano, e quei sopravvissuti sanno, quanto sia peggio il mondo che hanno così drammaticamente abbandonato rispetto ai rischi previsti e corsi, e questo induce a empatica solidarietà.

Si vales, vàleo

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