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Ospitalità sessuale
Foto elaborata da Fabio Mandaglio
Sulle tracce di Marco Polo
Articolo di Armeno Nardini
Pubblicato in data 24/01/2024

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Venezia quest’anno, 700 anni dopo la sua morte, ricorda Marco Polo, il suo grande viaggiatore che, d’un Oriente esotico e lontano, misterioso e quasi completamente sconosciuto, disvelò all’ Occidente della sua epoca le meraviglie e certe strane usanze.

A Kamul, oasi del Turkestan “dedita ai sollazzi e alla vita gioiosa”, racconta Marco Polo, il marito abbandonava il tetto coniugale per consentire all’ospite di godere pienamente dei favori della propria moglie e le donne, molto belle e allegre, gradivano tale usanza, che la sociologia indaga nell’ambito della “ospitalità sessuale”, espressione non comunemente esplicita. 

Il fenomeno si riscontra per lo più nella fascia calda del nostro pianeta dove, nei contesti culturali, sociali e religiosi di alcune società ancestrali e in alcune ancora oggi legate agli schemi di vita d’un tempo, la concessione della consorte solennizza la sacralità dell’ospite e il rifiuto è percepito talvolta di tale gravità che, potrebbe essere lavato solo col sangue.

Anche nel gelido Nord esiste una pratica riconducibile alla ospitalità sessuale. Si è a lungo favoleggiato, infatti, degli Inuit e delle loro donne particolarmente disinibite, ma l’accoglienza dell’ospite, nelle loro terre, ha ragioni diverse. A Kamul, il marito lasciava il tetto coniugale per dare all’ospite come “commodity” la moglie, che gradiva tale usanza; in Alaska, invece, il marito torna alla tenda domestica dopo la caccia e nulla ha da ridire sul fatto che, nei suoi molti giorni di assenza, la moglie potrebbe essersi data in “commodity” all’ospite di passaggio.

A Kamul c’è una tradizione da rispettare, perfusa quasi di sacralità per l’ospite, che onora la casa e al quale questo onore va ricambiato, consentendogli di sentirsi almeno come, e possibilmente meglio, che a casa propria. 

I freddi del Nord congelano invece certe effusioni di ospitalità. Nei villaggi di poche capanne, lontani tra loro, dove vive un numero ristretto di persone, i cui contatti sono limitati dalle avversità ambientali, i figli finirebbero per essere frutto continuo di relazioni tra consanguinei, lesive di impoverimento genetico. Non ci sarebbe forse più traccia alcuna di certi gruppi, senza provvidenziali incontri forieri di ospitalità sessuale, praticata in adempimento istintivo di sanità della prole, orgoglio d’ogni mamma e anche del marito inconsapevole.   

Non per sport, ma per necessità di procurarsi cibo, le battute di caccia in quelle lande ghiacciate tengono gli uomini lontani anche per giorni dalle tende domestiche. Può capitare che passino, di lì, solitari cacciatori ai quali le mogli, restate  sole, mosse da sentimenti empatici per la loro spossatezza, offrano una sosta bene accetta nel tepore della tenda, un pasto caldo e magari anche un momentaneo giaciglio più confortevole, pensando intanto al proprio uomo, che sperano possa aver trovato la stessa accoglienza a conforto del freddo e della fatica, in un‘altra tenda, da un’altra donna, altrettanto generosa.

Nel caldo di Kamul, si offre la moglie all’ospite. Nel freddo del Nord, la moglie si offre all’ospite.
Lì, donna, oggetto delle decisioni altrui.  Qui, donna, soggetto di decisioni proprie.

Concezioni arcaiche entrambe, ma culturalmente obsoleta la prima, che pare rivivere in alcuni atteggiamenti paternalistici d’oggi, non del tutto sopiti anche in certi ambiti politici; capace invece, la seconda, di riverberare tutta la propria valenza contemporanea.
Si vales, vàleo.

 

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