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“Maria che del mare hai il nome” di Antonella Barina
Raccolta di poesie con introduzione di Nadia Lucchesi
Articolo di Chicca Morone
Pubblicato in data 24/09/2023

Capita, a volte, di “incontrare” un testo che avresti voluto scrivere tu e che senti così profondamente da pensare che, anche se giunto attraverso un’altra, ti appartiene.

È il caso di questa raccolta di poesie dedicate alla Madonna, alla Madre di tutte le Donne, scritte in un lasso di tempo di cinquant’anni. Una vita intera.

Si può credere che la poetessa nell’arco di tanti anni sia maturata e abbia potuto cambiare stile, profondità, prospettive: non quando la sua sensibilità l’ha portata già nell’adolescenza a percepire le immagini non lontano dalla matrice, in quella zona dell’inconscio collettivo accessibile a pochi.

È per questo motivo che mi sembra opportuno trascrivere l’introduzione della raccolta firmata da Nadia Lucchesi - approfondita studiosa e interprete del messaggio cristiano come esito della sapienza femminile e che tra i numerosi impegni da qualche anno è anche responsabile dell’Accademia della Maestria femminile della Spiritualità - prima di entrare nel vivo della scrittura in diverse occasioni.

(Chicca Morone)

 

VERSO UNA CONVIVENZA DI PACE

 

Antonella scrive di Maria, lo fa con i suoi versi che spesso mi incatenano e mi incantano, risuonano nella mia testa e mi colpiscono al cuore.

Perché ritrovo me stessa, la mia storia, la mia necessità, le mie domande, le mie risposte, quando ne ho.

 

Rivivo la mia devozione di bambina, nel cortile delle suore canossiane alla Giudecca, dove ho passato tutti i pomeriggi della mia infanzia: pregavo in fila con le altre davanti alla madonnina, la cui statua ricompariva anche in una piccola cappella.

Lì accedevo solo se me lo meritavo e qualche volta è accaduto che le portassi le mie bambole, per farle benedire da Lei, sempre disponibile.

 

Poi l’infanzia è svanita e anch’io mi sono dimenticata di Maria.

 

Ma la sua immagine ha lavorato per anni dentro di me e mi è ricomparsa con la potenza di un appello ineludibile.

 

Come scrive Antonella, al di là della storia che di lei ci è stata trasmessa (“Ci serve un mito di maternità e castigo / dissero gli Evangelisti”), Maria risveglia in noi, (“Monache senza convento / Eremite in cella / Combattenti sempre sul campo”), la memoria della forza ereditata dalle tante Vergini Madri, che l’hanno preceduta nei secoli.

 

Demetra, “donna che addolorata va cercando la figlia”; Tethys, “il mare profondo”; Asherat, Athirat, Astarte, “che dalle nostre viscere accompagni alla vita il frutto del ventre nostro e sulla creatura poni la mano santa”; Dylan, Belisama, Acionna “che le genti invocarono e invocano quando il vento scuote le vele”; Matsu, Guang-jjin, Ehuang “drago che sfiori il fragile fondo delle nostre barche disperse”; Tefnut, Nefti, Anuqet “del mare che si ritrae su se stesso”; Yamuna, Sarasvati, Ganga “che accogli le nostre ceneri bruciate dal fuoco della vita”; Arnapkapfaaluk e Sedna dell'implacabile vento del nord che vetrifica l'anima e il fiato; Ondina, Sequanna, Aquana, Anguana, tutte Dee possenti e salvifiche, che ci mostrano la luce e ci ricordano il nostro nome sacro, quello che non si dice a nessuno.

 

Se Maria è l’addolorata, e come noi sperimenta l’angoscia, la sofferenza, resta pur sempre colei con cui in extremis possiamo parlare.

 

Maria Marina assorbì il dolore come tante ragazze madri, come “le madri ragazze che generano l’umanità e la rinnovano”.

Ma ci vuole consapevolezza, non essere tra le “schiere dei servi e di quelle promosse per scipita insipienza”, saper riconoscere Colei “che danza sui nostri corpi, che l'evidente segreto a suo figlio sussurra”.

(Quale sia questo segreto possiamo dirlo? Io lo sussurro: sono io che ti ho dato la vita, prima del Padre io sono Colei che è).

 

Antonella scrive versi a Maria e intanto non smette di interrogarsi su se stessa, anche se alcune certezze le ha: “Accetto la glorificazione partenogenetica delle dee, non l’inseminazione domestico riproduttiva”.

Che è, dico io, un modo per fare definitivamente sparire la madre, per incoraggiare femminicidi, suicidi, una logica di guerra totale, prima di tutto fra i sessi.

 

Mentre spesso, sempre più spesso mi pare, le ragazze strapazzano l’umanità “sotto i piedi come una luna sgualcita un serpente soffocato e sotto a tutto se stesse”.

 

Forse perché hanno dimenticato la loro origine, la loro forza, la loro bellezza, la loro sapienza e imitano, sconsideratamente, i modi degli uomini, la loro fascinazione per la morte, la distruzione.

 

Restiamo impotenti davanti a questa devastazione, a questo insensato sacrificio?

Io non ci credo: possiamo riappropriarci della luna, vederla di nuovo brillare, come fa Antonella, ricordarci che esiste una storia non sacrificale di donne che salvaguardano la vita, la proteggono, la onorano.

 

Anche e soprattutto nell’inferno della guerra, della desertificazione della terra e del disprezzo delle creature che come noi la abitano.

 

Donne che sanno continuare a ridere, anche di se stesse; donne che offrono al mondo la grazia, la gioia, che insegnano la riconoscenza verso la Madre, uno dei cui nomi è Maria.

 

Provo gratitudine per questa raccolta di versi, per questa memoria scolpita in parole che ci aiutano a meditare, a ritrovare la strada verso una convivenza di pace, verso un intreccio amoroso di saperi femminili, ma necessari soprattutto agli uomini, in questo tempo di deliri mortiferi.

 

LA MADONNA SI GUARDAVA PENSOSA

 

La Madonna si guardava pensosa

le mani rigate dal gelo

Dall’altra parte della stanza

Gesù ammazzava il tempo

schiacciando formiche

Ci serve un mito di

maternità e castigo

dissero gli Evangelisti

e uno di loro scrisse

Madonna adorata

Bimbo divino

Allora la Madonna alzò gli occhi

Gesù guardò verso la porta

Un dio terribile si mostrò loro

Impauriti

corsero l’uno nelle braccia dell’altro

Così li colse il pittore

che li falsificò in un sorriso

 

ALLA MADRE DI DIO

 

Svegliati, dio addormentato

sulla punta delle baionette

genius di foiba e lager

Scrollami di dosso queste cimici

spurgo di opposte fazioni

che in tuo nome

dannano lo spirito

E tu Signora non asservirti

alle schiere dei servi

e di quelle promosse

per scipita insipienza

Tu che danzi sui nostri corpi

l'evidente segreto

a tuo figlio sussurra

 

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