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AD ECATE PIACENDO di Mario Marchiso
Un percorso di antico sapere e di saggezza.
Articolo di Chicca Morone
Pubblicato in data 05/12/2023

Diego Riccobene è poeta, docente e musicista nato ad Alba nel 1981. Dopo la laurea in Filologia moderna presso l’Università degli Studi di Torino è entrato nel mondo del lavoro insegnando lettere in un liceo di Cuneo. È collaboratore della rivista Menabò on-line. Alchimia e negromanzia sono le coordinate entro cui agisce in questo nuovo volume “Ad Ecate piacendo” edito da Arcipelago Itaca: parole dure e nello stesso tempo accattivanti come per un gioco di specchi attraverso i quali vedere sfocata l’immagine del poeta nascosta nella poesia. Ma forse è solo un’illusione per rimanere osservatore osservato in bilico tra mondi differenti. C.M.

 

Il marchio di fabbrica di Diego Riccobene, vale a dire il suo arduo stile geometrico, si ripropone oggi con queste lussureggianti Larvae [1].

 

I versi del nostro poeta, che sanno «affascinare» nel senso etimologico del termine, continuano dunque l'impresa che ha avuto inizio con le Ballate nere.

 

Ma già a una prima delibazione emerge anche un elemento nuovo: all'apostrofe, al tragico contrapporsi dialettico di «giudice» e «imputato» subentra infatti una modalità per così dire prescrittiva; sebbene già presente nelle Ballate, essa acquista ora un altro scopo e un altro significato, sui quali tornerò a breve.

 

Anzitutto, sarà utile spendere ancora una parola sullo stile di Riccobene, intimamente funzionale com'è a un discorso poetico in cui non si lesinano gli arcaismi, serrato e coerente, proteso a forgiare una filigrana tanto ostica al lettore pigro quanto larga di ricompense a quello che non si accontenta di liriche banali smerciate con supponenza.

 

Pro captu lectoris habent sua fata libelli: la poesia di Riccobene non farà certo eccezione, non potendo in ogni caso venir compresa e apprezzata ove latiti la necessaria strumentazione ricettiva.

 

Assai utile all'intelligenza dei testi risulta comunque la dotta analisi di Carlo Ragliani posta in calce al volume, che chiarisce le coordinate del mondo espressivo di questo poeta non meno dotto e in particolare delle sue Larvae.

 

Iniziando dalla prosodia stessa: «il lamentoso ritmo giambico», dominante nelle Ballate, cede ora con frequenza «il passo all'accostamento metrico ibrido, [...] dato dall'abbinare e meticciare l'andamento sacralizzante del dattilo a quello più lugubre dell'anapestico» [2].

 

Si diradano fin quasi a sparire le immagini baroccheggianti del libro d'esordio; alla ritualità del simbolismo alchemico che lo improntava – pur infiltrato dal furore del sabba – si sostituisce nei versi di Larvae un ritualismo ancor più intenso.

 

Occorre infatti forzare l'intercapedine occulta che separa i vivi dal regno dei morti. Un'impresa legata a regole ferree.

 

Non sarebbe corretto, a questo proposito, parlare soltanto di catàbasi, poiché qui va anche in scena il movimento opposto, e chi pronuncia le formule non è detto che sia un «vivente».

 

La fabula costruita da Riccobene prende vigore quando viene attivato l'interscambio fra i due mondi paralleli, quello visibile e quello invisibile.

 

Ciò spiega altresì la ricorrenza di un atteggiamento verbale prescrittivo, come accennavo poc'anzi, un dire che non si esaurisce nel descrivere quanto piuttosto nell'essere «dettati» e quindi «descritti».

 

Da chi o da che cosa? - Dalle norme che presiedono al commercio con i manes. Come ad esempio nel memorabile inno in settenari da cui estraggo alcune quartine: «Esprimi il gorgo. Espira / nel freddo della linea / chiomata dallo scisto / e quarzo semi-pallido; // falsificante, illivido, / l'anacronismo è un hortus / conclusus di rizomi / che adombrano quell'estasi. / [...] Immergi il capo. Emergi, / le viole che ti cingono / ne stilleranno albasia, / così poi la tua fronte, // battesimale vasca / di lacrime che verso / nel vindice ricamo / del vento, sul partenio» [3].

 

Ecco il motivo per cui le Larvae riccobeniane non avrebbero potuto che assumere la duplice veste di introduzione a quell'oscuro commercio e di epitome dell'impresa compiuta; nonché di ritorno - problematico - al sé profano, il quale tuttavia non sarà mai più lo stesso che precedette l'opus.

 

La conferma di questa metamorfosi è anche di ordine linguistico, come si evince dalle due opposte cornici del libro: Ordo naturale e Ordo artificiale.

 

Nella seconda, ci vengono incontro, a ridosso della conclusione, parole inequivoche: «Suademmo il sema, ma la tomba è il corpo / che ne recinge il debito, la spiga / immietuta al sospetto [...]» [4].

 

Un itinerario, dunque, destinato a coinvolgere a pieno titolo la retorica stessa, facendone l'ancella che lo inaugura e lo sigilla, a modo suo eternandolo.

 

NOTE

 

[1] D. Riccobene, Larvae, Arcipelago Itaca 2023. Hanno preceduto quest'opera le Ballate nere (Italic, 2021) e una plaquette di dodici poesie, Synagoga (Fallone 2023).

[2] C. Ragliani, Die geister, ovvero delle larve, in: D. Riccobene, Larvae, cit., p. 107.

[3] (pp. 39-40). E ancora: «Uccidi tutti gli umili e conficcali / sul palo della Dea» (p. 67); «La chiave la s'infila / tra nove leghe, tutte sull'ingresso» (p. 81).

[4] (p. 104).

 

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