La Giustizia italiana : processo penale o penoso ?

Tutti i dati confermano che in Italia siamo agli ultimi posti nel mondo per la lentezza dei processi

Forse, dall’alto di un quarto di secolo di sperimentazione, è venuto il momento di dire che il “nuovo” processo penale italiano è stato un clamoroso fallimento.

D' altronde non sono certo i sovrabbondanti avvocati italiani che desiderano così intensamente la riforma della Giustizia, in quanto sono 250.000 e più in confronto ai 50.000 della Francia, e tutti i nostri sembra che se la passino piuttosto bene, barcamenandosi e guadagnandoci con le lungaggini dei processi.

Chi c’era si ricorda bene quanto veniva gridato ai quattro venti nell’ottobre 1989, quando (evviva!) entrò in vigore la riforma del codice di procedura. Si diceva: ora basta con la prevalenza dell’accusa, finalmente avremo processi equilibrati, “all’americana”, meglio ancora “alla Perry Mason”.

Si inneggiava: i riti alternativi faranno presto breccia e ridurranno l’intollerabile carico dei processi. Si assicurava: finiamola con l’inutile diarchia tra giudice istruttore e pubblico ministero, ora le indagini preliminari concederanno al pm, finalmente libero di agire entro regole severe e continui controlli del gip (il mitico giudice per le indagini preliminari), un tempo ragionevole per indagare; comunque dopo un massimo di due anni tutto finirà sul tavolo di un giudice terzo, che eviterà abusi, eccessi, lungaggini. In un’orgia di ottimismo positivistico, pareva a tutti che la rinnovata dialettica tra accusa e difesa avrebbe schiuso le porte a un’era di perfetta giustizia.

Ebbene, quasi 25 anni dopo si può dire che purtroppo non è stato così. Le indagini preliminari sono spesso una mostruosa macchina da guerra, priva di un controllo legale, se non addirittura di quello democratico. Troppi gip firmano automaticamente e a raffica i prolungamenti delle indagini (tant’è che il 65 per cento delle prescrizioni avviene in questa fase) e non hanno un potere effettivo né sulla registrazione dei reati, né sulle inchieste che ne derivano: possono respingere un’archiviazione, per esempio, ma non imporre al pm la chiusura di un’indagine sballata.

I faldoni girati ai giornali
Quanto all’equilibrio tra accusa e difesa, be’, resta un’utopia. Basti pensare che il 73 per cento dei penalisti si dice convinto che le procure intercettino e trascrivano perfino le telefonate tra indagato e difensore, rigidamente proibite per legge. Non parliamo poi degli effetti mediatici del nostro “processo all’americana”: alla fine delle indagini preliminari il pm, dotato di ultrapoteri e incontrollato, passa ai giornali faldoni carichi di intercettazioni e interrogatori, e di prove a senso unico che ogni volta vengono assunte quali verità assolute. Il processo “vero”, quello che fa più male all’imputato anche quando è innocente, di solito finisce a quel punto. Alla faccia della parità con il povero avvocato, disarmato e silenziato. E Perry Mason? È ancora lì che osserva e se la ride.

Ma anche i riti alternativi (patteggiamento, rito abbreviato, processo immediato e direttissimo) non sono mai decollati e purtroppo servono a molto poco. Si calcola che chiudano meno del 10 per cento dei 2 milioni di procedimenti aperti ogni anno. Oggi il governo Renzi pensa di reintrodurre il patteggiamento anche in appello, dimenticando che quel sistema dette vita a clamorose incongruenze nell’equità della pena (nel caso di Ruggero Jucker, l’omicida milanese, nel 2005 servì a dimezzargli la condanna da 30 a 16 anni di reclusione).

L’idea, per ora ventilata, dimostra una volta di più che il legislatore non agisce in base a criteri logici né basandosi sulla sperimentazione, ma da troppo tempo improvvisa.

Per questo in campo penale si continuano a produrre false riforme, da infilare sulle lance dell’opinione pubblica: pene più severe, prescrizione allungata, nuovi reati. Ogni volta è un inutile bla-bla. In realtà, un governo o un Parlamento che volessero governare davvero e con coraggio la giustizia penale dovrebbero prendere il “nuovo” codice di procedura del 1989 e… fare un ’48. Ma con questi ritmi, con questi governi, e con questi Parlamenti, ci vorrà ancora un secolo.

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Articolo pubblicato il 10/08/2015