Torino e il cambio di rotta

Tra programmi e antirenzismo, il capoluogo piemontese cambia la guida della città e vota Appendino

La prima cosa che andrebbe detta, dopo la ventata nuova con cui il M5S ha spazzato via parte della vecchia politica italiana in queste amministrative, è che, per quanto il dibattito del voto amministrativo si sia concentrato soprattutto su Milano e Roma, il vero voto che deve stupire è indubbiamente quello su Torino.

Dopo il primo turno, era piuttosto facile prevedere che il risultato del ballottaggio avrebbe riconfermato i temporanei vincitori a Roma (dove i cittadini ne avevano sinceramente basta di aver provato sia il centrodestra che il centrosinistra ritrovandosi con i soliti sprechi, buche nelle strade, immondizia e molto altro), a Napoli (con De Magistris dato per vincente già prima delle elezioni) e Sala a Milano (anche se con un vantaggio esiguo).

In queste tre città, appunto, ha vinto chi poi era già in vantaggio dopo il primo turno, cosa che invece non avvenuta a Torino, e questa è la prima ragione dell’attenzione che si dovrebbe dare all’esito del capoluogo piemontese.

C’è, però, un altro motivo assai più importante. Se a Roma le precedenti amministrazioni non erano piaciute ai Romani per gli svariati motivi che tutti conosciamo, a Torino, invece, l’ex sindaco Piero Fassino non aveva mai attirato particolare scontento tra la maggior parte dei Torinesi; lo stesso Fassino e i sindaci di sinistra che lo hanno preceduto (Castellani e Chiamparino) hanno contribuito a trasformare la Torino che oggi conosciamo (sei milioni di turisti all’anno, metropolitana, centro storico rinnovato con zone pedonali, bike sharing, nuovo polo reale, mostre, cultura, Olimpiadi, il ritorno del Salone dell’auto…).

Dunque, perché Fassino ha perso a Torino, dopo aver raggiunto anche un buon distacco dopo il primo turno? A mio avviso, sono riscontrabili tre motivazioni di carattere diverso.

La prima, ma non necessariamente in ordine di importanza, è che appare ormai evidente un atteggiamento antirenzista piuttosto diffuso in tutto il Paese, tanto è vero che il PD ha perso laddove non aveva governato bene (Roma) ma appunto anche laddove aveva raccolto successi incontrastati per due decenni (Torino).

Questa prima motivazione, dunque, è di natura più politica che amministrativa, poiché non riguarda necessariamente il candidato, ma comunque il desiderio di volere a tutti i costi qualcosa di nuovo.

Una seconda motivazione del successo del M5S è legata ad un punto del programma e della campagna elettorale di Chiara Appendino rispetto a quanto ha fatto e ha promesso Piero Fassino.

Durante queste settimane, si è sentito ricordare più volte da Piero Fassino ciò che è stato realizzato nel passato e ciò che si sarebbe progettato per il futuro (linea due del metro, città della salute, palazzo del lavoro, …) mentre la sfidante Chiara Appendino ha puntato molto sul discorso legato alle periferie, alla crisi, alla disoccupazione, agli sprechi.

Quello che deve essere apparso ai Torinesi come qualcosa di diverso è stato il fatto che, seppur Torino sia cresciuta in questi anni nel centro storico e nell’attuazione delle grandi opere, probabilmente poco o meno si è fatto per povertà, occupazione e periferie, e che ciò sia vero o no, la crisi che continua a vivere Torino da molti anni (si pensi solo ai 1600 pendolari costretti ogni giorno a emigrare a Milano per lavorare) ha indubbiamente sensibilizzato e deluso i Torinesi che hanno visto nella nuova candidata una persona più vicina alla gente e ai suoi problemi.

Il terzo motivo del successo di Chiara Appendino, così come quello di Virginia Raggi a Roma, è legato all’idea del cambiamento generazionale. Dopo vent’anni di sinistra al comando di Torino, è evidente che una persona nuova, giovane, e di un movimento che non avuto ancora l’opportunità di mettersi in gioco in una grande città, sono elementi che hanno fatto presa sui Torinesi.

Che l’Italia abbia (ancora) grossi problemi a livello sia locale che nazionale per quel che riguarda soprattutto la crisi occupazionale e imprenditoriale non ci sono dubbi. Certo è che nei prossimi anni bisognerà verificare se, sia a livello amministrativo (con Raggi e Appendino) che a livello centrale (un eventuale Di Maio dopo Renzi?), gli uomini e le donne del M5S siano stati in grado di modificare questo Paese o se, al di là del voto di protesta, le cause del nostro malessere non si possano risolvere solo con il cambio di vento pur che sia.

Per il momento, speriamo che Torino prosegua la sua corsa di innovazione e cambiamento, con un’attenzione particolare all’occupazione e allo sviluppo imprenditoriale.

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Articolo pubblicato il 21/06/2016