Ailanto – l’albero killer che sta invadendo boschi e città
L'ex centro di riabilitazione funzionale sepolto dall'ailanto (Parco della Maddalena TO)

La pianta cinese che si sta espandendo come un silenzioso, vorace, verde predatore. Come arrestare il flagello?

L’ailanto, Ailanthus altissima, conosciuto anche come albero del paradiso, è una pianta di origine cinese importata a scopo ornamentale in Inghilterra a metà del ‘700. Un albero che, nel corso degli anni, si è adeguato alle nuove terre, proliferando nei paesi a clima temperato, minacciando di decimare la flora autoctona a causa della sua invasiva “indole infestante”.

L’appellativo di Albero del paradiso gli è stato attribuito nelle regioni d’origine, perché si sviluppa rapidamente in altezza fino a 20-25 m in pochi anni (a toccare il cielo). In compenso, la singola pianta ha una vita breve, ma si moltiplica con una rapidità inarrestabile diventando “l’albero dell’inferno”.

Un primo piano della pianta di ailanto

Caratteristiche fisiche dell’Ailanto

L’ailanto è facilmente distinguibile andando a spasso per strade e boschi, ma dove l’occhio non arriva, è dotato di una robusta radice fittonante che si sviluppa in profondità.

Il tronco, ritto e colonnare, ha una corteccia liscia di colore grigio topo che, con il tempo,  si fessura assumendo un color marrone.

Sulla corteccia sono presenti numerose forme cellulari allungate, che favoriscono gli scambi gassosi tra i tessuti interni e l’esterno.

La chioma è composta da numerosi rami lunghi, flessibili di colore grigio ricoperti da fitte foglie caduche di tinta verde brillante disposte in composizione “pennata”.

fiori, di color giallo-verdastro, hanno la corolla composta da 5-6 petali. L’ailanto è una pianta dioica ovvero i fiori maschili e femminili sono portati da piante diverse.

Il caratteraccio aggressivo dell’Ailanto

L’Ailanto è una pianta che si sviluppa in fretta sia in luoghi ombreggiati sia in quelli soleggiati. Tollera il freddo e le temperature al di sotto dello zero, non necessita di cure, si accontenta delle acque piovane e una volta radicato, si impossessa del territorio, sgretolando anche muri e asfalto. È un “fusto” che si sta impiantando in aree urbane e boschive di mezza Europa, e naturalmente, anche del Piemonte, soprattutto in pianura, lungo i fiumi, e nelle zone collinari prossime alle città.

L’allarme comincia a squillare nelle silvestri tartufaie delle Langhe, nel Monferrato, sulla collina del torinese, ai confini con la Liguria, nel Verbano e nel Biellese, ma è un allarme in forte ritardo.

L’Ailanto è dappertutto e nessuno lo sa; probabilmente chi legge ci passa ogni giorno accanto senza vederlo, eppure l’occhio percepisce che c’è qualcosa che non va. Un disordine verde che trent’anni fa non c’era, accompagna chi viaggia su ogni strada e persino in città.

Ho personalmente effettuato alcune escursioni per indagare sulle condizioni della collina torinese. Sono stato impressionato dall’invasione nelle zone dei bellissimi parchi collinari, vittime di colpevole incuria. Dal colle della Maddalena a Pino torinese, fino a Superga, le splendide pinete e i castagneti che fino a pochi anni fa svettavano in un sottobosco curato e pulito, oggi sono letteralmente “fagocitate” dall’ailanto, abbandonate a se stesse da una politica forestale che preferisce dar la caccia a qualche motociclista che si addentra in fuoristrada…. Lo spettacolo è desolante! Pare che nessuno veda, sappia o se ne renda conto. Ritornando ho fatto un giro per Chieri. Una volta individuato, si scopre che l’ailanto è dappertutto, nel cortile di una villa abbandonata, dietro al cimitero della grande città… (L’autore)

Un tratto della panoramica Pino TO-Superga. Il grande parco è invaso ovunque

La pianta, se per follia la si volesse, va messa a dimora lontano da altri alberi per evitare l’antagonismo radicale. Un fenomeno noto come allelopatia. È accertato, infatti, che l’Ailanto emette una tossina che impedisce l’attecchimento di altre specie nelle sue vicinanze, replicando se stesso.

Come se non bastasse, oltre a essere infestante, l’Ailanto, che abita volentieri in altitudini da 0, fin oltre i 1200 m, è una pianta urticante. Il contatto infatti, può causare dermatiti allergiche.

Per evitare la diffusione di questa pianta quasi belloccia, laddove è stata inserita si potano i polloni basali, i rami secchi e anzitutto, quelli che portano i frutti. Assai più arduo contrastarne l’espansione in ambito naturale, poiché una volta attecchito, è molto difficile anche da sradicare.

L’Ailanto è sotto esame da un po’, ma poco si fa, e non si capisce bene, perché lo si dovrebbe desiderare in giardino. Stava bene dov’era, tra le foreste della Cina e delle Molucche, dove nessuno si è mai lamentato di lui, anzi. Come tutte le opere viventi della natura, ha i suoi lati positivi.

Dalle sue parti infatti, l’Ailanto è sempre stato ritenuto un magico rimedio per decotti atti a combattere attacchi di asma, epilessia, palpitazioni di origine nervosa, dissenteria, febbre, influenze ed amebe.

Nelle Molucche la sua velocità di crescita è insita nel suo nome che significa: albero che arriva al cielo. È per questo che, una volta elencate le sue proprietà negative, occorre concentrarsi su quello che può fare questa maledetta pianta per noi, una volta messo radici qui.

Come rapportarsi con un “vegetale” così intraprendente?

Se è vero che l’Ailanto si sta stabilendo in città, tra le crepe degli asfalti, nelle ville abbandonate, e tra appezzamenti e boschi lasciati al loro destino, è altrettanto vero che, se l’uomo, primo elemento infestante della natura, volesse sfruttare la pianta, a sua volta appestante, in questo caso sarebbe giustificato.

Il legno tenero dell’albero del paradiso, poiché si rigenera in fretta, sarebbe adatto per l’industria cartaria, ma da qualche anno, la guerra a questa pianta invasiva si è tramutata in un tentativo di risorsa di cui si attende il risultato.

È un progetto del 2016:  «Ailanto, da problema a risorsa». Un’idea di strage nei confronti di questa pianta aliena da cui ricavare chimicamente “diserbanti” e “pesticidi”, e soprattutto una produzione di energia. Il progetto, ideato dal prof. Roberto Bedini dell’istituto di biologia marina di Piombino, ha unito gli interessi del Comune di Piombino, e della facoltà di Scienze Agrarie e Chimica Farmaceutica dell’Università di Pisa.

I tronchi d’Ailanto, dovevano venire dalla pulizia di un’area urbana, quindi trasformati  in biomassa destinata a prove di combustione nell’impianto della centrale Enel Green Power «Cornia 2» che si trova a circa 40 km da Piombino.

A oggi, della iniziativa si aspettano notizie fresche e quando le cose si arenano in questo modo, colpe e sospetti si intrecciano con l’italianità dei silenzi. È quindi probabile che il "legno maledetto" non abbia dato risultati economici & commerciali appetibili per qualcuno. Pare così che l’albero killer sia destinato a farla franca, ed è un peccato, perché l’idea di trasformarlo in biomassa, rimane tuttora quasi indispensabile.

L’Ailanto dunque, ha trovato terreno per l’invasione, moltiplicandosi persino a far del bene, a tener su le rive instabili e abbandonate di fiumi e torrenti. Intanto, ha scoperto un suo habitat nelle aree dismesse delle città, nelle metropoli. È una pianta che sa arrangiarsi, tollera bene l’inquinamento e come tutti gli alberi trasforma il CO2 in ossigeno.

In definitiva, bloccare l’uso ornamentale è imperativo ed estirpare l’ailanto dove sta annullando la biodiversità è un provvedimento urgente. Lo si può fare in maniera metodica e in vari modi, dall’abbattimento all’intervento chimico, prestando attenzione nello smaltimento, ma sfruttarlo per migliorare col verde alcune aree delle nostre città e i bordi delle strade, è un’idea da valutare.

Se avete degli ailanti, vi consiglio vivamente di eliminarli, sostituendoli con essenze nostrane. L’ailanto non solo cresce a dismisura soffocando le altre piante, ma altera la composizione chimica del terreno per contrastare i concorrenti! Più tardi lo si taglia e più tardi il terreno ricomincia a respirare. Circa 10 anni fa ne abbiamo abbattuto uno gigantesco per dar spazio a 2 giovani noci. È stata una delle cose più sante mai fatte. La matrice è morta solo molto tempo dopo, spargendo sale sul taglio. (Testimonianza dal Web)

Ma da altre fonti giunge un monito e un consiglio, pare sia molto importante  non tagliarla. Ogni volta che l'albero viene attaccato con il taglio o l’abbattimento infatti, le gemme latenti vengono stimolate. Quindi non si risolve il problema, ma lo si peggiora, stimolando la generazione di nuove piante. Se si vuole estirpare un ailanto è bene rivolgersi a personale esperto.

Il disordinato ombreggiare dell'ailanto accompagna il nostro viaggio

Ma siccome l’Ailanto cresce in fretta ovunque, è una caratteristica che andrebbe sfruttata, in quanto è vero che le sue radici ridanno tenuta al suolo, ai pendii inariditi. In condizioni di dissesto idrogeologico come quelle in cui si trova l’Italia, non è un requisito da poco.

Dai fiori d’Ailanto infine, le api ottengono un miele con aroma fruttato e gusto deciso ottimo come astringente e terapeutico in tutti quei disturbi per il quale è apprezzato alle sue latitudini d’origine e dalle sue popolazioni asiatiche. Lo vogliamo perdonare perlomeno assaggiandolo?

Altro vegetale importato e fortemente invasivo è l’Ambrosia, ma questa è un’altra foglia, un’altra storia di terribile allergia.

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Articolo pubblicato il 25/09/2018