Il viadotto Morandi e migliaia di strutture a rischio. Come “guarire” il calcestruzzo armato; 1ª parte
Lavori di ripristino sulla Salerno Reggio Calabria

Ritratto di un materiale che non è eterno

Il tragico crollo del viadotto Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018 sulla A10, a Genova, ha portato alla ribalta il diffuso degrado di molte grandi opere in calcestruzzo armato. Sconcertante per dinamica e dimensioni, il disastro ha contribuito a rinvigorire un senso di diffusa insicurezza tra gli utenti della strada e nella cittadinanza in generale.

La sciagura di Genova è stata la più scioccante, ma già molti cedimenti di ponti, talvolta anche recenti (dalla A19 Palermo-Reggio Calabria di tre anni fa, al cavalcavia della circonvallazione di Fossano nel 2017), in questi anni si sono susseguiti lungo la Penisola. Molti sono in attesa di ricostruzione.

L’indignazione è generale, si cercano i colpevoli. Tra i vari imputati, l’attenzione e il sospetto si sono concentrati anche su quel materiale a cui è affidata la nostra quotidianità.

Sarà possibile riappacificarci con il calcestruzzo armato e con l’attraversamento di un ponte? E come? L’opinione pubblica attende chiarezza e interventi di risanamento.

Completo ripristino di un ponte in Cls. (Foto Azichem)

Il calcestruzzo armato: forza e debolezza

Il calcestruzzo armato è un materiale formato da un sodalizio tra calcestruzzo e tondino d’acciaio. La sua paternità è attribuita al brevetto di Joseph Monier, un giardiniere parigino, depositato il 16 luglio 1867. A quel tempo di case in pietra e legno a rischio incendio, il materiale fu definito "miracoloso", e in parte era vero. Il successo immediato cambiò la storia delle grandi opere civili e militari, consentendo costruzioni sempre più ardite, nel nome dell’eternità attribuita al nuovo materiale.

In realtà, il calcestruzzo armato, o cemento armato, ha dimostrato che di eterno c’è soltanto il tempo. Il materiale, oggi si sa essere soggetto a molte interazioni che ne accelerano il degrado. Le più comuni:

  • errori progettuali e di posa in opera;
  • mancato rispetto della qualità del Cls come prescritta dalle normative;
  • azione di agenti atmosferici e chimici, sale, piogge acide e CO2;
  • fuoco, sbalzi di temperatura;
  • cicli di gelo & disgelo e logorio da movimento;
  • urti, erosione e abrasione di particelle portate dal vento;
  • combinazioni di sollecitazioni meccaniche statiche e dinamiche;
  • soprattutto il contatto dell’acciaio con l’umidità e con l’acqua.

Queste interazioni lo indeboliscono a vari livelli, aumentando la porosità e favorendo fessurazioni che creano permeabilità nella malta, lasciando infiltrare CO2, prima causa di danni. Da qui si innesca un calo del pH che permea il cemento, determinando l’indebolimento dello strato di idrossido ferroso che riveste le armature “annegate” nel calcestruzzo.

Questo processo, genera una progressiva corrosione delle armature in acciaio che perdono le loro caratteristiche meccaniche e nello stesso tempo, si ha uno sgretolamento del rivestimento cementizio delle armature stesse, portando sempre più i ferri a vista, quindi a disgregazione.

Tutto questo, in breve, è l’insieme di “malattie” a cui è sensibile un materiale che conserva tantissimi meriti di posa in opera e di resistenza agli sforzi. Un materiale che ha contribuito a cambiare il rapporto tra uomo e costruzioni, sia in termini di tempo che di grandezze.

Tra le grandi opere in cemento armato vi sono ponti, viadotti e cavalcavia. Hanno la stessa funzione con definizioni diverse: un ponte è una struttura edificata per superare un ostacolo naturale o artificiale, ad esempio, un fiume. Saranno classificati viadotti se varcano una vallata, si dicono cavalcavia se superano un'altra via di comunicazione.

La più parte dei ponti realizzati dalla metà del secolo scorso, sono in cemento armato (i più recenti, con travi in precompresso). Ma ancor prima della recente tragedia del viadotto Morandi a Genova, altri ponti avevano ceduto e il cemento armato aveva mostrato di richiedere attenzione, cura nella costruzione, quindi, controlli e manutenzione. Infine, il degrado dei ferri era già evidente da tempo su molte strutture.

Il cavalcavia della circonvallazione di Fossano in attesa di ripristino

Inoltrarci qui tra i motivi di mancati interventi, è storia di burocrazia, italica povertà nei bilanci e intralci tra “competenze”. Andrebbe oltre le intenzioni analitiche del testo che invece, tende verso una panoramica di possibilità e soluzioni tecnologiche.

Più di altri paesi europei, a causa della sua morfologia, l’Italia ha una rete viaria popolata da ponti e viadotti, ma non siamo i soli. Uno studio del 1999 (Reliability-Based Assessment of Highway Bridges) ha riscontrato che circa il 30% dei ponti stradali europei presenta segni di criticità dovuta alla corrosione dell’armatura o dei tiranti precompressi.

Azione delle radici di piante infestanti (ailanto). Ancora poco considerata

Perché i ponti sono a rischio

Il calcestruzzo armato offre una formidabile resistenza agli sforzi meccanici, assorbiti dalle proprietà dell’acciaio e del calcestruzzo, ma queste grandi opere, esposte agli agenti atmosferici e interessate più di altre, da continue risultanti di forze dinamiche, subiscono somme di interazione distruttive. Rispetto all’architettura abitativa e industriale poi, vi sono altri elementi che collaborano allo stress e al degrado dei ponti, come per esempio:

  • la costante vibrazione dovuta al traffico (effetto amplificato per i ponti costruiti quando il traffico era minore);
  • i pesanti carichi aggiunti sul ponte e non previsti al momento del progetto (es: i separatori di corsie “jersey”).

Al tempo del loro progetto, si pensava che molti ponti avrebbero reso servizio per oltre un secolo. L’esperienza ha spinto ad accorciarne “l’aspettativa di vita”, più o meno dimezzandola. Questo significa che nel mondo, migliaia di ponti sono a rischio se non si effettueranno consistenti interventi, così da rigenerarne la vita e la sicurezza.

Monitoraggio e ispezioni sono perciò fondamentali per individuare i difetti e scegliere la tecnica di ripristino della monoliticità dell’opera, anche se molto compromessa. Ma è possibile farlo? E come?

La cronaca di questi giorni ci riporta del ponte più lungo del mondo costruito tra Macao e Hong Kong; 55 km con i pilastri nel mare! Dimostra che nel corso degli anni, la qualità del calcestruzzo è migliorata tantissimo con l’aggiunta di vari materiali di sintesi, che ne hanno aumentato la resistenza meccanica e l’impermeabilità agli agenti degradanti.

55 km di pilastri in mezzo al Mar della Cina. Tutto si può fare!

Fine prima parte.  

A breve la seconda: tecnica del ripristino strutturale del calcestruzzo armato.

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http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=30849 

 

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Articolo pubblicato il 27/10/2018