Il bello e il sublime (seconda parte) – nell’Alchimia e nel Romanticismo
Tempio dell’armonia, Agrigento, 440-430 a.C. circa

Il sublime rappresenta nell’estetica la qualità della grandezza dal punto di vista fisico, morale, intellettuale, metafisico, estetico, spirituale e artistico. Fa riferimento a un tipo di grandezza al di fuori di ogni calcolo, misurazione o imitazione.

 

L’esperienza del Sublime

In questa tendenza va vista una ripresa dell’anima, ripresa che prosegue nel significato “elevato”, “tendente verso l’alto” e persino, nel peggiore dei casi, “ambizioso”.

Nella mistica di Meister Eckhart, come pure nella filosofia di Ficino e Cusano, il “tendente verso l’alto” lo incontriamo soprattutto nell’aspirazione a vivere l’ideale classico del bello e dell’unità. Il neoplatonico Plotino lo relaziona all’Uno. Jan van Ruysbroeck fa uso della parola per descrivere la coscienza che si eleva, per descrivere l’esperienza di uno stato d’essere illuminato, come un fuoco interiore intenso e forte, come un immenso calore (la sublimità delle Nozze spirituali). In questo modo le Nozze diventano un processo interiore, alchemico.

L’elevarsi dello spirito, riconoscibile attraverso l’anima che vede il proprio cambiamento, lo incontriamo in Ermete Trismegisto, dove questa sublime esperienza è unita allo spegnersi di tutti i sensi corporali: Un giorno, mentre riflettevo sulle cose essenziali e il mio cuore – il mio stato d’essere – si elevava, i miei sensi corporali si assopirono completamente, come accade a chi, dopo un pasto troppo abbondante o a causa di una grande fatica fisica, viene sorpreso da un profondo sonno.

A ben vedere, questa non è una difesa della sensibilità, bensì un esempio per permettere alla comprensione profana di aprirsi al sublime. L’abbinamento dell’indole che si eleva con l’addormentarsi dei sensi viene percepito da noi come strano, perché ci chiediamo come il bello, in quanto valore assoluto nell’arte e nella scienza, possa essere esperito se non attraverso gli organi di senso.

Non è forse questa la prova che il bello come componente del sublime, come valore assoluto nell’arte e nella scienza non può esistere?

E che il brutto è infatti la dimostrazione che la bellezza è solo apparenza?

Un filosofo di un periodo successivo, Spinoza, descrisse un processo simile: abbandonare ogni desiderio di ricchezza, di onore e di piacere, per poter elevare il proprio stato d’essere. Come Ermete, egli impresse questa esperienza nel suo animo. La sublimità in Spinoza corrisponde alla ragione superiore e assomiglia al “Vero” di Platone.

 

Esperire il sublime con gli organi di senso?

Nel corso del tempo, a partire all’incirca dal 1750 in poi, la tendenza a credere nell’impossibilità di esperire il sublime con gli organi di senso è andata calando. Durante l’Illuminismo e il Romanticismo si è scoperto come nondimeno la bellezza perfetta può essere riconosciuta e come questa, con l’aiuto degli organi di senso, è in grado di trasmettere alla percezione un’esperienza elevata che concorda con quella del “bello” astratto di Platone.

Durante il Romanticismo si affermò l’aspetto emozionale di ciò che si riteneva essere il concetto greco del bello: gli antichi valori classici che nel Rinascimento erano stati indagati da un punto di vista razionale, anche allora si esprimevano già nel sentimento. All’inizio il bello era ancora perfetta armonia in misura, numero, forma, colore e architettura. Un artista era, in base a dei canoni universali, un grande creatore di ordine secondo il proprio vissuto. Il caos divenne il cosmo nell’esperienza sublime del bello. Per i Greci il bello era “ordine divino” (Pitagora) e più tardi, con Plotino “splendore divino” e il divino era considerato dai Greci “sublime”.

È come se la bellezza fosse diventata intoccabile e di un chiarore abbagliante, ma la perfetta armonia produce una bellezza statica, così come la proiezione di un cielo come spazio vitale perfetto può respingere molti a causa di una supposta noia, poiché non sarebbe più fonte di ispirazione e non causerebbe nessuna emozione, come se la vita vi si fosse allontanata.

 

Alchimia

Questo apparirà con maggiore chiarezza se confrontiamo le precedenti affermazioni con alcune fasi alchemiche:

Solutio: abbandono di sé, la dissoluzione, la consapevolezza della goccia nell’oceano.

Coagulatio: il collegamento dell’essenza spirituale con la goccia nel mare.

Conjunctio: la fusione degli elementi nello Spirito unico e indipendente.

 

La Natura sorprendente e indomita: un’esperienza sublime

In alcuni momenti, quando la volontà umana è messa fuori gioco insieme al suo preteso controllo, i fenomeni naturali diventano per noi sublimi. Stiamo parlando della Natura nella sua potenza selvaggia e imponente, non manipolata da volontà umana, la Natura come appare nei dipinti di Turner: una tempesta, l’oceano che infuria, uragani, vulcani, vette, scogliere, fiumi impetuosi. Con la sua sola presenza, la Natura scuote gli umani sensi in una dimensione in cui naturale e umano si fondono generando uno stato di “oblio di sé” di “abbandono di sé”. Questo stato è l’esperienza dell’unione con la Natura. «L’esperienza di questa unione restituisce alla Natura quel carattere indistruttibile di realtà in cui siamo radicati e di cui viviamo» (Christa Anbeek, Overlevingskunst – L’arte della sopravvivenza).

Ma prima che tutto ciò possa accadere, è indispensabile rendersi conto della combinazione di sentimenti opposti, unità e separazione, che mettono a nudo l’illusione della nostra autonomia morale riportandola a un sentimento di unità.

Una tale esperienza ci rivela che la percezione del sublime non è necessariamente data dalla pienezza dei sensi, che le leggi della natura non sono necessariamente uguali a quelle umane, e che siamo in possesso di un principio autonomo, indipendente da tutte le emozioni morali.

 

Il Romanticismo e il Sublime in altre espressioni artistiche

Dopo l’esperienza mentale della perfezione nel numero e nella misura, ricercata nel Rinascimento e nel Barocco, il Romanticismo andò alla ricerca del “bello” nella natura, per essere afferrati dal carattere selvaggio e incolto della natura e dalla più alta sollecitazione nervosa del pericolo (come ad es. per il pittore William Turner) per vivere pienamente l’assoluta crudezza di questa natura. Nel XVIII secolo questa fu anche una conseguenza della separazione tra il bello e il sublime.

Nella natura il bello richiama sentimenti di armonia, serenità e pace ma si possono provare anche esperienze caotiche e sorprendenti, tendenti a produrre sbigottimento, disordine e paura, ma nello stupore si apre anche la possibilità del manifestarsi del sublime.

Friedrich Schiller, nel suo trattato Intorno al sublime (1801), descrive il sentimento per il sublime come una mescolanza di dolore che si esprime in un’altissima elevazione come fremito e gioia che può svilupparsi sino all’estasi.

Jacob Böhme descrive questo dolore come una lotta cavalleresca che dobbiamo accettare all’interno di noi. L’estasi non è “confusione dei sensi” poiché nella fase dello stupore i sensi hanno un ruolo importante. E benché non si tratti di un piacere, per le anime elevate il sentimento è ampiamente preferito a quello dei sensi. Sembra che anche Ermete e Spinoza cerchino di farci comprendere questo.

Beethoven, Chopin, Mahler, Debussy, Arvo Pärt (e altri ancora) sono compositori che hanno lasciato risuonare la natura imponente e selvaggia, lo stato di pacificazione e la dissoluzione nella loro musica romantica. Nel suo Flauto magico, Mozart ha messo in musica le Nozze Alchemiche di Cristiano Rosacroce. In effetti, tutte le arti, letteratura compresa, nel periodo romantico hanno cercato di rendere, rappresentare, comunicare l’esperienza del sublime.

 

Articolo tratto dalle pubblicazioni di: Edizioni Lectorium Rosicrucianum

Scuola Internazionale della Rosacroce d'Oro

https://www.lectoriumrosicrucianum.it/

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Articolo pubblicato il 13/05/2019