L’occhio e il testimone – la prospettiva di Jacob Böhme
Raffaello - Ritratto di Bindo Altoviti (particolare), 1515, olio su tavola, National Gallery of Art, Washington

"Rendete compiuta la vita. Non tra poco né altrove, ma nell’eternità dell’oggi."

Un’idea diffusa è che la personalità svanisca completamente dopo la morte. Pertanto, “chi muore prima della morte, non muore al momento della morte” – e diviene testimone di un processo miracoloso che conduce all’armonia. A lui o lei si rivela, come una stella remota, la sorgente della sua esistenza e lui o lei divengono Uno con essa. Jacob Böhme spiega quindi che «la sua anima diventa un occhio che percepisce».

Oltre alla nascita in questo mondo, due momenti sono importanti da un punto di vista superiore, cosmico.

Il primo è il momento in cui il cuore è toccato e si apre ad una sconosciuta che è la Gnosi. Si tratta di una legge della Luce, e le leggi della Luce non variano. È sottoscrivere la verità che viene espressa in una poesia molto semplice ma molto significativa di Catharose de Petri, tratta dal suo libro Sette Voci parlano:

«Ora che l’Io è perduto nelle sabbie del deserto, ora che non sono più nulla, eccomi eletto. La Luce mi ha trovato in questi luoghi desolati e da quest’aridità mi chiama verso il Fiume Divino».

Quando si è veramente fatto l’esperienza di questo momento eccezionale, si è esistenzialmente collegati al campo di vita cosmico. Là una stella si è messa a brillare e qui si è come nati interiormente. Di quel campo si ignora tutto, alla stessa maniera di un neonato che non percepisce ancora nulla in modo cosciente del mondo che lo circonda. Ebbene, nel campo di vita planetario una Luce si è accesa. Un’onda di aiuto piena d’amore si è liberata da quel campo che corrisponde a quello dei documenti di viaggio originali, quelli che il microcosmo ricevette quanto intraprese il suo Grande Viaggio.

Il secondo momento importante è quello in cui si lasciano le contrade terrestri. Non è impossibile che, oltrepassando la frontiera, ci si ritrovi a casa, nel paese di partenza. È questo un caso particolarmente felice perché è possibile allora, potentemente inspirati dagli impulsi dello Spirito, proseguire il lavoro, in qualità di nuove personalità trasfigurate.

Può anche darsi che non si abbia preso coscienza del confine nel corso del quarto d’ora di ricreazione sulla terra. In questo caso, una volta usciti, nulla è cambiato; tutte le circostanze continuano ad essere identiche e lo stesso anche i problemi, lo stesso per tutte le regole che venivano seguite sulla terra. Se una situazione è senza via di uscita, si pensa che sia proprio così.

Tuttavia in questo secondo caso, c’è comunque qualcosa di cambiato: non va più bene nulla. Dall’altra parte della frontiera non è più possibile agire. Certo, si impara a vedere in tutt’altro modo secondo un processo di effetto retrospettivo e di disgregazione, ma non c’è modo di cambiare ciò che è. È un tempo di riposo, contrassegnato da un che di eterno, simile alla quiete del Lete dantesco, il fiume dell’Oblio. Quindi tutto si dissolve lentamente.

Ci si ricorda di essere stati attivi, energici; ora si è diventati il testimone di ciò che sembra riguardare ognuno personalmente. Tutto scorre dinnanzi e si rivive sia la benevolenza sia il disaccordo di cui è stato oggetto il prossimo. Giustizia è fatta. E la Luce dice: «Come ho insegnato a Noé, a te ora insegno». Queste leggi sono invarianti. Può essere utile a volte essere messi di fronte alla realtà.

Essere testimoni, ecco una bella espressione per dire che si è partecipi. Essere partecipi nello specifico significa essere inclusi in ciò che sta all’origine. Questo è l’essenziale del cammino dell’essere umano.

Il processo che si attraversa assomiglia alla «dissoluzione degli abiti» che sopraggiunge normalmente dopo il decesso. Questa dissoluzione si compie seguendo le linee maestre della vita planetaria valevoli per tutti.

Egli non ha bisogno di considerare il modo in cui i suoi veicoli si dissolvono, egli vede un’altra cosa; egli vede come i processi elementari della vita mentale, astrale ed eterica si armonizzano.

La pacificazione del suo essere interiore è dovuta al fatto che tutto si spegne precocemente, vale a dire le tempeste infiammate dei sentimenti, le forze vitali che attraversano come lampi il campo aurale riducendo in polvere la sua aspirazione di pace, la lotta tra i sensi di colpa, i dubbi alternati alla presunta sicurezza, tutte le ben note lotte mentali, tutti i fuochi e le fiamme...

Tutto ciò che consumava le forze vitali ritrova un equilibrio. Lo stato di equilibrio è quello che richiede la minor energia. Chi è partecipe non perde quindi la sorgente dell’energia concessa alla sua esistenza. Questa sorgente è sorta come un sole. Egli fa l’esperienza “dell’avvicinarsi dei fuochi della grazia” sotto forma di una nuova lucidità e di una crescente certezza interiore. Egli si sente potente, equilibrato, pronto a mettersi all’opera. Si stupisce e si domanda cosa ha potuto fare di lui un eletto, cosa gli ha permesso di vivere questa meravigliosa leggerezza interiore, questa semplicità, questa quiete.

Un giorno dei maestri posero divertiti questa domanda a Jacob Böhme: «Sei ben certo, ciabattino, che il divino ci ha prescelti?» Böhme rispose: «I prescelti non hanno l’abitudine di vantarsene, è soprattutto un modo di rivelarsi nella temporalità delle cose che è colmo dei dolori del parto e di pericoli. C’è il sigillo del divino impresso sulla fronte di coloro che nel tempo si manifestano. Il prescelto non è tale solo per un istante, ma è l’obiettivo da migliaia di anni e nasce nel tempo della grande annata per rendere manifeste le meraviglie che il divino immagina. Da moltissimo tempo si preparano la fine e l’inizio di una nuova era per il genere umano e tale è il momento in cui ci troviamo attualmente».

Il cercatore serio che si interessa alle vicissitudini degli uomini e delle donne incontrerà molte testimonianze di questo genere. Ma fermiamoci un attimo accanto a questo calzolaio della Slesia.

La risposta di Böhme suscitò una controversia tale che tutti di lì a poco si misero a discuterne. Si voleva mettere in risalto il fatto che Böhme stesse diffondendo un messaggio molto diverso da quello delle Sacre Scritture. Alcuni lo trattarono come un personaggio pericoloso ed eretico.

Altri gli rimproverarono di non rifiutare né fuggire questo mondo come avevano fatto alcuni santi della storia della Chiesa, ma al contrario di ricercarlo, e gli obiettarono: «Noi sappiamo che se l’anima vuole conoscere il divino, deve fuggire dal mondo». Böhme, combattivo, replicava loro: «Se l’anima potesse conoscere il divino senza avere bisogno del mondo, il mondo non sarebbe stato creato per lei. Non c’è motivo di fuggire dal mondo, occorre preservarlo».

Una giovane voce comprensiva esclamò: «Come potrebbe allora un essere umano irradiare tutte le sue meravigliose proprietà senza incontrare la resistenza del mondo? L’onore, l’amore, il coraggio hanno lucentezza perché il mondo vi oppone la sua oscurità».

A questa discussione prendeva parte Balthazar Walter, famoso per essere uno scettico, un essere umano infelice e inquieto che percorreva il mondo in cerca della verità. La sua parola metteva soggezione. Ed ecco che egli incontrava qualcuno che testimoniava la verità con forza e sicurezza, una persona che lasciava discendere e sondare la sua lancia così profondamente da incontrare il principio originale medesimo della creazione. Walter dichiarò: «In nessun luogo e con nessun sapiente, mi sono mai sentito così rallegrato come in questo momento. Fino ad oggi ignoravo che il sapere interiore potesse rendere così felici».

Böhme, il quale vedeva interiormente l’anima agitata di quest’uomo errante, e provava per costui una grande simpatia, così gli rispose: «La gioia è ciò che c’è di più divino per l’essere umano. Infatti, non appena l’Uomo Nuovo è risvegliato, la sua forma è parimenti riempita di gioia. Così come l’essere umano esteriore vede il mondo esteriore, l’essere umano rinato vede allo stesso tempo il mondo divino in cui lui abita. Lo spirito divino, nel suo giubilo, non vede l’ora di condurre l’anima nella scuola divina di saggezza dove essa potrà imparare più che in tutte le scuole del mondo».

Cosa fa di più Cristiano Rosacroce oltre a essere testimone durante i sette giorni del suo viaggio? Meravigliato osserva il processo delle Nozze Alchemiche e ne gioisce enormemente. E quando, arrivato alla fine, pensa di dover assumere l’indomani il ruolo del guardiano della soglia, egli è rientrato in Lui.

 

Quaranta domande rivolte all’anima

Lo stesso Balthazar Walter, nel 1620, pose quaranta domande a Jacob Böhme. Tutte riguardavano l’anima. Tutte erano formulate dalla ragione umana. «Da dove proviene l’anima? Dove respira? Come giunge nel corpo? Quali sono i corpi gloriosi che essa conoscerà?» Böhme dovette sospirare alquanto, ma rispose a ciascuna di queste domande, poiché colui che chiede ha diritto a una risposta. «Non che noi ne sapessimo più di un altro, ma ci è concesso di rispondervi – disse Böhme – al fine di ricevere più chiarezza nei nostri pensieri, nella sincerità della nostra ricerca e nell’aspirazione del nostro cuore».

La quinta domanda di B. Walter era: «A cosa assomiglia l’anima e come si forma?» E la risposta di J. Böhme: «All’immagine di un ramo che cresce da un albero e prende la forma dell’albero; sul modello di un bambino che è l’immagine di sua madre, l’anima ha, nel suo principio primo, la forma di una bolla o di una sfera; esattamente come l’originale, essa ha la forma di un occhio. Non può essere altrimenti poiché non c’è nulla che le possa donare un’altra forma. Nondimeno essa è duplice come un cuore nel quale vi è la croce.

Inoltre, nel suo secondo principio, l’anima è uno spirito, essa è un’immagine perfetta come lo è l’essere umano esteriore. In aggiunta a ciò, l’anima, nel suo terzo principio, è uno specchio del mondo intero, di tutto ciò che c’è in cielo e sulla terra; ogni proprietà di ogni creatura vi è contenuta; giacché questo specchio è come il firmamento e le stelle.

Essa è simile a una corona dove la cifra del corso della vita dell’essere umano esteriore è inscritta, così come il termine della sua esistenza, comprese tutte le gioie e le disgrazie che gli si possono presentare».

In questo modo è possibile vedere l’anima come un occhio che osserva, uno spirito che dirige e uno specchio di tutte le forze del mondo. È in questa triplice via che l’essere umano si situa. Ciascuno dei tre princìpi è un mistero, dice Böhme, o un arcano, un segreto per gli altri due, e ciascun mistero desidera gli altri due; è esattamente questo lo scopo della creazione. E l’Uno Assoluto, il creatore infinito, la sostanza celeste, desidera questo specchio perché questo mondo visto nella sua triplicità è di una somiglianza assoluta con l’essere divino e la sua sostanza.

Non potenzialmente ma in realtà, la divinità è manifesta in una parvenza terrestre, dice Böhme. Poiché è impossibile che il gran miracolo dell’arcano, o il mistero nascosto, possa essere accessibile nel mondo degli angeli, essendo questo completamente interiore e nato dall’Amore. Ciò che è interiore e respira in questo Amore conosce solamente la beatitudine, ma non la forza del desiderio, non può dunque che irradiare l’Amore divino e assistere così i regni inferiori. Mentre in questo mondo terrestre, dove sono mescolati l’amore e la collera, il miracolo è possibile. Qui un essere umano può nascere due volte!

Böhme prosegue: «Nella doppia nascita è possibile, lì il miracolo si può produrre. Poiché tutto l’esteriore aspira intensamente all’interiore, ricerca la sua immagine originale e desidera la libertà, desidera essere libero dalla sua limitazione che è l’ignoranza degli altri due».

Come se Jacob Böhme comprendesse che ciò è troppo complesso per gli altri, egli arriva in fin dei conti a spiegarlo così: «Voi comprendete pur sempre che nella natura tutte le forme aspirano alla Luce poiché da questo desiderio proviene l’olio (egli vuole dire: la sostanza) nel seno del quale la Luce può essere conosciuta, poiché essa procede originariamente dalla misericordia».

Bisogna innanzitutto conoscere la vita, la quale si situa in mezzo al fuoco poiché la vita brucia nel fuoco.

E poi bisogna rafforzarsi nel desiderio dell’Amore e verso l’Amore, che originariamente emana dalla Parola e si dispiega nel più alto dei cieli, delle anime pure in cui il cuore divino dirige verso ognuno il suo grande desiderio per trarci nel suo mistero. «Trarre», è così che lo esprime Böhme. Infine, bisogna studiare, sondare il «reame magico» di questo mondo che brucia in ognuno e ci immerge con forza nei suoi splendori, perché questo reame vuole manifestarsi!

Infatti, l’essere umano è creato, generato al fine di rivelare questo grande mistero triplice e portare il prodigio alla luce, donargli forma, secondo la saggezza eterna. Queste mirabili parole non sono fortemente simili a quella della Rosacroce classica, dell’Ordine? è come se, da uno sguardo e un sapere differenti, ci fosse concesso di avere un colpo d’occhio del tempio funerario mentre i fratelli della Rosacroce scoprivano il corpo intatto di Cristiano Rosacroce in qualità di matrice dell’Uomo Nuovo.

Forti della scoperta di questo tesoro, si resta essenzialmente pragmatici. Nel mezzo di un mondo lacerato, è possibile vedere ben poco di questa gloriosa e armoniosa immagine. Lo stesso era per Böhme che visse durante la devastante guerra dei Trent’anni. Del resto lui stesso, la sua opera e la sua persona furono bersaglio di ripetuti attacchi lungo tutto il corso della sua vita. Nonostante ciò, egli non smise di ricondurre le persone alle realtà spirituali e di testimoniare delle verità profonde in merito all’esistenza e al Reame, il grande e il piccolo mondo.

Quanto all’essere umano di oggi, sì deve elevare al di sopra della mischia e di tutte le sue disarmonie nel rispetto dei tre princìpi seguenti:

1. È sufficiente osservare, vale a dire essere testimoni.

2. C’è uno spirito guida, un principio mille volte più sicuro e ben più pervaso d’amore dello spirito personale, il quale è in esso totalmente incluso.

3. Lo specchio può riflettere lo splendore della creazione nella misura in cui l’alchimista che ognuno è, lascia fondere armoniosamente tutte le forze.

 

Dopo la rinascita interiore, questa sorgente vuole in primo luogo aiutare e attirare magneticamente ognuno nel suo mistero. In seguito e come contropartita, essa conta interamente su ogni essere umano nella misura in cui ognuno fa discendere la sonda della ricerca fino all’abisso originale. In questo Ungrund (senza fondo), non viene più sperimentato il positivo e il negativo, né i fuochi della grazia e quelli dell’opposizione come un vincolo angosciante, ma come le forze costitutive della creazione. Colui che guarda in questo specchio vede il divino, le sorgenti delle forze eterne che bruciano anche in lui stesso.

Così, infine, questa particolare vita terrestre è creata per essere interamente immersa nel prodigio del reame, sia interiormente sia esteriormente, in alto come in basso.

Rendete compiuta la vita. Non tra poco né altrove, ma nell’eternità dell’oggi

Coloro che pensano che la saggezza non sia altro che ciò che possiamo comprendere, che la felicità non sia altro che ciò che può essere realizzato, sono ancora lontani dalla vera ed eterna saggezza. La saggezza più alta consiste nel sapere questo: ciò che è inaccessibile per l’intelletto può essere comunque conseguito in un modo che è al di là di ogni comprensione intellettuale.

Niccolò Cusano

 

Articolo tratto dalla rivista Pentagramma - Edizioni Lectorium Rosicrucianum

Scuola Internazionale della Rosacroce d'Oro

https://www.lectoriumrosicrucianum.it/

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Articolo pubblicato il 26/06/2019